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Cristiana Allievi

~ Interviste illuminanti

Cristiana Allievi

Archivi tag: cinema

Valeria Bruni Tedeschi, «La mia Duse»

29 venerdì Ago 2025

Posted by Cristiana Allievi in Attulità, cinema, Cultura, Personaggi

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cinema, cover story, Cristiana Allievi, Donna Moderna, donne, Duse, Duse The Greatest, Eleonora duse, femminismo, interviste illuminanti, L'attachement, Les Amandiers, Storia di Copertina, Teatro, VAleria Bruni Tedeschi

di Cristiana Allievi

Storia di copertina del 28 Agosto 2025 adesso in edicola

Siamo a Parigi. Indossa jeans e una maglia blu con la scritta rock and roll. Si volta verso il publicist che è nella stanza con noi e, gesto raro, gli chiede di avere più tempo per raccontarsi. Le faccio notare che è più rilassata dell’ultima volta che ci siamo incontrate. Lei scherza: «oggi non ho i miei figli a cui badare!». Valeria Bruni Tedeschi ride, come farà spesso in questa intervista. Nei prossimi giorni porta in Concorso alla Mostra del Cinema Di Venezia Duse, di Pietro Marcello (nelle sale dal 18 settembre con PiperFilm) in cui interpreta Eleonora Duse negli ultimi anni della sua vita. E chi, meglio dell’attrice e regista torinese naturalizzata francese, avrebbe potuto incarnare gli ultimi anni di una donna nata nel 1858, capace ancora oggi di essere un’icona nonostante di lei siano rimasti solo un film muto e le riprese del suo funerale a New York? Nessuna. Dal 2 ottobre la vedremo anche in L’attachement – La tenerezza, di Carine Tardieu (No.Mad Entertainment), tratto dal romanzo L’Intimité di Alice Ferney: qui è una bibliotecaria cinquantenne single per scelta che si trova ad instaurare un legame speciale  con il suo vicino di casa e i suoi bambini.

(continua…)

L’intervista di copertina completa è su Donna Moderna del 28 Agosto 2025

© Riproduzione riservata

Sean Penn: «Sono abbastanza maturo per godermi la vita»

18 sabato Gen 2025

Posted by Cristiana Allievi in Attulità, cinema, Cultura, Festival di Cannes, Personaggi

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Asphalt City, Brooklyn, cinema, Città d'asfalto, Core, El Chapo, golden retriver, interviste illuminanti, Jean Stephane Sauvaire, Milk, Mystic River, New York, Sean Penn, surf, U La Repubblica, Ucraina, Valeria Nikov, vecchiaia

VA A FARE SURF (E AL CINEMA) CON IL SUO GOLDEN RETRIEVER. HA RICOMINCIATO A LAVORARE IL LEGNO E UFFICIALIZZATO LA RELAZIONE CON UNA DONNA DI 34 ANNI PIU’ GIOVANE. SEAN PENN SI SENTE ABBASTANZA MATURO PER GODERSI LA VITA. IN ATTESA DELLA VECCHIAIA, CHE PER LUI INIZIERA’ UN GIORNO PRECISO

di Cristiana Allievi

(continua…)

Intervista integrale pubblicata su U La Repubblica – 16 Gennaio 2025

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Sebastian Stan, il “volto” di Trump: «È stato un debole, insegue la rivincita».

25 venerdì Ott 2024

Posted by Cristiana Allievi in arte, Attulità, cinema, Cultura, Festival di Cannes, Zurigo Film Festival

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5 Novembre, 7 Corriere della sera, A different man, Ali Abbasi, cinema, Donald Trump, elezioni, interviste illuminanti, Marvel, MElania Trump, presidente, presidente US, Presidenziali Usa, Roy Cohn, The apprentice, Usa, vita

È LUI IL GIOVANE THE DONALD IN THE APPRENTICE: IL SUO NARCISISMO È L’EFFETTO DI UN PASSATO IN CUI SI È SENTITO IMPOTENTE. PER REAGIRE SI È RIPROMESSO CHE NON SARA’ MAI PIU’ iN UNA POSIZIONE DI INFERIORITA’


di Cristiana Allievi

L’attore Sebastian Stan sul green carpet del Zurigo Film Festival, dove ha presentato The apprentice– Alle origini di Trump, il film in cui interpreta l’ex presidente Usa diretto dal regista Ali Abbasi.

Quando ha raccontato alla madre che il suo prossimo ruolo al cinema sarebbe stato quello dell’ex presidente Trump, lei era felice perché il figlio si sarebbe dovuto radere. Diversa la reazione a Hollywood: quando ha chiesto un parere a publicist e ceo, gli hanno sconsigliato di accettare quel ruolo. Essendo però il super soldato della Marvel Bucky Barnes, Sebastian Stan (un astro del cinema d’autore, lo si capirà quando vedremo in Italia A different man) non si è spaventato. Si è affidato al talentuoso regista iraniano naturalizzato danese  Ali Abbasi, e insieme hanno costruito il protagonista di The apprentice –  Alle origini di Trump. Un film la cui genesi è durata sei anni perché le istituzioni di Hollywood non volevano finanziarlo, e che dall’anteprima  mondiale a Cannes in avanti ha ricevuto minacce di denunce da parte dello stesso Trump, che pochi giorni fa lo ha dichiarato “un lavoro d’accetta politicamente disgustoso”. Abbiamo incontrato Sebastian Stan qualche giorno fa al Festival di Zurigo. È stato capace di restituirci un Trump meno conosciuto di quello che domina la comunicazione e spara sui social. Già diretto da grandi del cinema, da Ridley Scott a Steven Soderbergh, l’attore eccelle nella figura di un Trump ventenne nella Manhattan degli anni 70, che ha frequentato la scuola militare ed è determinato a uscire dall’ombra del potente e anaffettivo padre, facendosi un nome nel settore immobiliare. Ma le sue ambizioni sono superiori alle sue capacità, e gli serve l’aiuto di Roy Cohn (Jeremy Strong), un avvocato faccendiere che assomiglia a un demonio. La loro relazione è la chiave  per comprendere il Trump che cresce imparando le  regole che lo hanno reso famoso: l’inganno, l’intimidazione e la manipolazione mediatica. The apprentice è un invito a spostarci su un terreno di confronto più profondo dell’odi et amo che va per la maggiore, perché il giovane Trump, se ben compreso nelle sue dinamiche, spiega l’uomo di oggi, colui che con la sua reazione al film ha ribadito la prima lezione impartitagli da Cohn: “Negare, negare, negare”.

Lei ci restituisce un Trump che assume anfetamine, si sottopone a liposuzione e riceve un trapianto di capelli. Una  versione in un certo senso “umanizzata” è un pregio o un difetto del film?  «Ho pensato molto a questo aspetto. Credo che non ci si debba fermare alla riflessione che suscita,  cioè che gli esseri umani hanno dei difetti. Se cresci insicuro e castrato da tuo padre quello è sicuramente un difetto, e da spettatore non basta osservare “provo un po’ di empatia per lui e la cosa mi sorprende…”. Occorre chiedersi “come farà,  una persona così compromessa, a prendere in futuro decisioni che riguardano milioni di persone?”».

Per mesi  molti si sono chiesti se avreste influenzato le elezioni, con il film. «Non è mai stato quello l’intento, anche perché per anni il progetto non ha trovato finanziamenti».

Ma crede che possa spingere più persone ad andare a votare il 5 novembre? «Credo che viverlo con il proprio istinto, con le viscere, abbia un forte valore in sé. Si tratta di guardare questa persona, e le altre persone coinvolte nella storia, chiedendosi:  “Mi fido di questo individuo?”, “Di cosa è davvero capace?”».

Potremmo anche definire The apprentice come la genesi di un mostro agghiacciante? «È la quintessenza di un personaggio americano.  Se il signor Trump fosse stato un costruttore di successo in Germania, con una moglie che veniva dall’Europa dell’est, sarebbe una di quelle cinque persone che prova a mettersi in politica e forse fallisce, forse no. Ma nel darwinismo sociale americano tutto diventa un fenomeno diverso».

Non ha avuto paura delle ripercussioni del suo ruolo? «Trump si vanta di essere il leader di un mondo libero, mi chiedo se si può aver paura di un film come questo dopo che per anni ne abbiamo visti su personaggi ancora più controversi. Avere paura va contro quello che è il nostro lavoro di creativi, che è cercare di riflettere il più sinceramente possibile l’epoca in cui viviamo».

(continua…)

Intervista integrale pubblicata su 7 Corriere della Sera del 25 ottobre 2024

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Tommaso Ragno, «Sul set ho compreso la fatica di mio padre»

20 venerdì Set 2024

Posted by Cristiana Allievi in arte, Attulità, cinema, Cultura, giornalismo, Mostra d'arte cinematografica di Venezia

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7 Corriere della sera, cinema, Corriere della Sera, guerra, interviste illuminanti, Lucky Red, MAura Delpero, neve, poesia, Tommaso Ragno, Trentino, Vermiglio

IN VERMIGLIO, FILM LEONE D’ARGENTO A VENEZIA E ORA AL CINEMA, HA SEI FIGLI PER I QUALI È MENTORE E PATRIARCA. NELLA RELATA’ È UN PAPA’ A DISTANZA

di Cristiana Allievi

Intervista pubblicata su 7 Corriere della Sera del 20 Settembre 2024

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Daniel Auteuil: «Cinema, figlie e Rock’n’roll

16 lunedì Set 2024

Posted by Cristiana Allievi in arte, Attulità, Cannes, cinema, Cultura, Miti, Musica

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attore, Bim distribuzione, cantante, cinea, cinema, cinema francese, Cristiana Allievi, Daniel Auteuil, Donna Moderna, interviste illuminanti, LA misura del dubbio, regista, rock and roll

IN LA MISURA DEL DUBBIO È PROTAGONISTA, REGISTA E PER LA PRIMA VOLTA, SCENEGGIATORE. UNA SFIDA CHE HA PARECCHIO A CHE FARE DON LA SUA FAMIGLIA E CON UNA NUOVA CARRIERA NELLA MUSICA

di Cristiana Allievi

Intervista pubblicata su Donna Modera del 12 Settembre 2024

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Kristen Stewart, «Quella sirena che urla dentro di me a squarciagola»

03 martedì Set 2024

Posted by Cristiana Allievi in cinema, Cultura, Festival di Berlino, giornalismo, Personaggi

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7 Corriere della sera, Attrici, cinema, Corriere della Sera, Cristiana Allievi, interviste illuminanti, Kristen Stewart, Love Lies Bleeding, Pablo LArrain, Sils Maria, Spencer, The Chronology of the water, Twilight

di Cristiana Allievi

Articolo integrale pubblicato su 7 Corriere della Sera

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Olivia Colman «Felicità è dire le parolacce»

20 sabato Apr 2024

Posted by Cristiana Allievi in Academy Awards, arte, Attulità, cinema, Cultura, Personaggi

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CAttiverie a domicilio, cinema, Jessie Buckley, La favorita, La figlia oscura, La guerra dei Roses, Olivia Colman

di Cristiana Allievi

Riesce a farsi abitare, in simultanea, da due sentimenti opposti come le risate e l’angoscia. È questo il vero super potere di Sarah Caroline Colman, grazie al quale la notizia di questi giorni, in cui con Benedicth Cumberbatch girerà un remake di La guerra dei Roses, ha già suscitato molto interesse. Nata nel Norfolk 50 anni fa, ha studiato a Cambridge per diventare insegnante di scuola elementare. Ma la passione per la recitazione è sempre stata il suo motore, e per mantenersi durante la scuola d’arte ha fatto di tutto, dalla segretaria alla donna delle pulizie, avendo sempre chiaro il suo obiettivo, tanto da arrivare a vincere un Oscar. Punto di svolta sono state le nove stagioni di Peep Show, la sit com che le ha cambiato la vita: da lì in poi l’abbiamo vista in ruoli iconici come quelli della regina Elisabetta (The Crown) e anche dell’immensa regina Anna in cui l’ha trasformata  Yogor Lanthimos (La favorita), come in quelli di madre ferita (La figlia Oscura) e di figlia scioccata (The father).  Tutte donne, queste, con cui ci ha inchiodati alle sedie senza possibilità di noia, come accade di nuovo in Cattiverie a domicilio (Lucky Red), nuovo film diretto dalla regista inglese Thea Sharrock. È una storia vera quanto assurda accaduta cento anni fa a Littlehampton, cittadina costiera dell’Inghilterra, in cui Colman è Edith Swan, la figlia di un padre autoritario (Timothy Spall) che le imponeun’educazione rigidissima. Come vicina di casa ha Rose (Jessie Buckley, già con lei in La figlia Oscura), giovane immigrata irlandese che sembra rivendicare una libertà sconosciuta agli altri. Quando in paese iniziano ad arrivare lettere scabrose e piene di parole oscene, i sospetti ricadono subito su Rose. Ma una poliziotta che si fa strada a fatica in un mondo maschile (Anjana Vasan) è a capo delle indagini, e con l’aiuto dalle altre donne del paese scoprirà qual è l’incredibile verità.

Cattiverie a domicilio è una commedia irriverente zeppa di parolacce: a lei e alla coprotagonista  Jessie Buckley è capitato di pronunciarne alcune sul set che non esistevano all’epoca?  «Ci tengo a dire che tutte quelle che diciamo sono vere, come lo sono le lettere.  Abbiamo fatto giochi e studiato dizionari di slang urbano, soprattutto quelli per i giovani. Sul set ne avevamo a bizzeffe, di imprecazioni, ma ne ho preparate alcune sconosciute per fare le interviste!».

Ad esempio? «Non mi chieda quali, non si possono mettere nero su bianco su un giornale, mi creda sulla parola. Le dico solo che qualche giorno fa in un’intervista tv ho ripetuto tre volte le parole “burro d’anatra”…».

Il significato? «Deve cercarlo, non le dirò nulla…».

Me ne pentirò, quando lo scoprirò? «Potrebbe, sì, potrebbe… (ride, ndr)».

Prima mi ha detto di cercare “wispernest”… «Quella però non è una parolaccia, è un’espressione più dolce, più intima. Indica l’esperienza di due persone che sono abituate l’una all’altra».

Invece la parolaccia che le capita più spesso di dire?

«”Fica”, la amo, è la mia parolaccia preferita in assoluto. Le donne dovrebbero possedere quel sostantivo, che per me è anche una cartina di tornasole: se lo pronuncio e sento che gli sfinteri delle persone che ho davanti si tendono, so che non andremo d’accordo».

(continua…)

Intervista rilasciata a Sette Corriere della Sera del 19.4.2024

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Donatella Finocchiaro, «Uomini che hanno odiato me»

10 venerdì Nov 2023

Posted by Cristiana Allievi in Attulità, cinema, Serie tv

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Capri Revolution, cinema, Donatella Finocchiaro, donne, Film, I leoni di Sicilia, Luca BArbareschi, Svenduti, uomini, violenza

HA CONOSCIUTO LA SOFFERENZA DI RELAZIONI TOSSICHE. «LA PRIMA A 24 ANNI: MI PICCHIAVA E MI INSULTAVA. LA SECONDA A 37: HA MINATO LA MIA AUTOSTIMA. LA TERZA, L’ANNO SCORSO: DOPO TRE MESI BELLISSIMI, È DIVENTATO RABBIOSO». MA SI È PRESA LA RIVINCITA. IN TV, AL CINEMA E NON SOLO

di Cristiana Allievi

Pelle vellutata, occhi scuri, fascino mediorientale, Donatella Finocchiaro appare proprio bella quando la incontriamo a pochi giorni dagli inizi delle riprese di Svenduti, la commedia in stile francese con il collega d’Oltralpe Bruno Todeschini che Luca Barbareschi sta girando a Filicudi.

Qualche settimana prima, racconta, era in coda per prendere un gelato davanti al Palazzo del Casino al Lido di Venezia. Sua figlia ha pestato inavvertitamente il piede a un uomo, che si è voltato e ha rovesciato il caffè avanzato nella tazzina addosso alla bambina, andandosene. Quando si è girata, ha visto Nina, nove anni, vestita di bianco, macchiata e in lacrime. Lei ha gridato all’uomo che, scappando e di spalle, le ha risposto “mi ha fatto sporcare la camicia…”. «Mi ha stupita il fatto che, pur assistendo a una violenza su una bambina, nessuno abbia alzato un dito», dice Donatella Finocchiaro. L’aneddoto, come si scoprirà leggendo, non capita a caso. Ma l’intervista non può che partire dalla prima parte della serie I leoni di Sicilia, diretta da Paolo Genovese, sulla sagra dei Florio, la famiglia calabrese che arriva in Sicilia e crea un impero nel sud Italia del primo Novecento, visibile sulla piattaforma Disney +.

Una siciliana è normale che giri storie siciliane, e in Sicilia,  corretto?  «La sicilianità è un valore aggiunto, nel Sud c’è tanta bellezza, e di noi si dice che abbiamo una teatralità naturale».

Ma? «In Italia la sicilianità è anche un limite. Spesso finiscono per chiamarti solo per i film del sud, e non solo: se non sei napoletana non giri film napoletani, così come non hai accesso a pellicole romana se non sei nata nella capitale.  Il neorealismo ci ha un po’ segnati, questa settorialità è troppo forte. Come Germano, Favino e Lo Cascio dimostrano, noi attori sappiamo essere personaggi diversi, fateci almeno fare i provini per dimostrarlo».

In I leoni di Sicilia lei è Giuseppina, moglie di Paolo Florio, patriarca della dinastia.  «Una donna ingabbiata in un matrimonio senza amore, che ha vissuto nel rimpianto del passato e della sua Calabria e non ha mai lottato per nulla. Morirà a 85 anni, quindi ogni giorno affrontavo quattro ore di trucco, come tutti gli altri attori».

Donne e cinema, come siamo messi? «Male, nonostante presenze forti come quella di Emma Dante. A Venezia non c’era una regista donna in concorso, e a parte nel film di Saverio Costanzo, non c’era nemmeno una donna protagonista. Il maschilismo è imperante, e risponde alla tesi “io sono io, voi non siete niente…”».

Il maschilismo domina nonostante i nuovi movimenti di emancipazione, quindi? «È diventato più subdolo. La violenza che le donne subiscono fra le mura di casa è ancora importante, facciamo tanto rumore per quelle che muoiono, e per carità ci mancherebbe, ma ci sono anche molti uomini che distruggono l’autostima delle donne, e non è un fatto meno grave».

Lei è stata vittima di violenza? «È successo almeno tre volte nella mia vita. La prima avevo 24 anni, e non ho capito subito, finché la violenza verbale è diventata fisica. Mi viene in mente La conduzione delle colpe di Antonio Ciraolo, psicanalista siciliano Big little liese scrittore. Racconta molto bene come la donna viva in un senso di colpa costante».

Da dove nasce questo senso di colpa? «L’uomo ti ingabbia, ti aggancia dicendoti che ti ama. Per un anno ho preso calci e pedate, era geloso anche del mio sguardo, mi insultava a parole poi mi diceva “scusa, io ti amo”, proprio come si vede nella serie tv con la Kidman, Big Little Lies. Io ci cascavo, ma era solo mania di possesso. Al terzo episodio me ne sono andata».

La seconda? «Avevo 37 anni, e per due anni ho subito una violenza che ha minato la mia autostima, fino alla depressione. Non so cosa mi sia scattato dentro, facevo solo un po’ di bioenergetica ma ho avuto un pensiero, “mi sta distruggendo…”».

Ha capito perché? «Di fronte alla donna capace, che guadagna più di lui ed era affermata, per reggere l’insicurezza mi insultava dicendomi  “non sei intelligente, non leggi abbastanza, sei una cretina, fai l’attrice…”. E mi ha convinta, nonostante mi facessi un mazzo tanto per lavorare sulla mia autostima. Finchè mi sono detta “devo sparire dalla mia vita”».

L’ultima relazione violenta? «L’ho avutal’anno scorso. Mi innamoro di un ragazzo più giovane di me, passiamo tre mesi bellissimi, a quel punto inizia la violenza verbale, diventa sgarbato, rabbioso».

Ha lavorato su se stessa per capire cosa la porta in queste relazioni? «Si e ho capito che ad agganciarmi è uno schema interiore, il modello di uomo che è stato mio padre. Era fumentino, faceva saltare le cose in aria. Non ha mai toccato mia madre ma era violento verbalmente. Ricordo che quando si arrabbiava per strada, con esplosioni di ira, mi vergognavo molto».

Fino a una certa età, la violenza verbale ha lo stesso impatto sulla nostra psiche di quella fisica. «Infatti il semplice “stai zitta”, ti schiaccia, come raccontava la Murgia nel suo God save the Queer. Il problema è la gestione delle emozioni, della rabbia». 

Vuole dire la repressione? «Copriamo le emozioni con i coperchi, fino a esplodere. Gli uomini si giustificano, accumulano fino ad arrivare a sfogarti la loro rabbia addosso, invece di imparare a gestirla, e ci sono mille modi per farlo che non sono l’alcol, il Lexotan o la cocaina».

Il suo stato attuale? «Sono single da cinque mesi, e sono aperta ad innamorarmi di nuovo. Per fortuna dopo un anno con questo giovane ci siamo separati, nonostante abbia sempre avuto partner più giovani di me, forse 15 anni di differenza sono troppi». 

È impegnata in teatro, gira film d’autore e lavora su set internazionali come quello di Trust di Danny Boyle (HBO). Dove la vedremo nei prossimi mesi? «Ho appena finito di girare una serie Netflix diretta da Michele Alhaique che non è ancora stata annunciata. È un poliziesco in cui sono la moglie di un poliziotto e l’amante di Marco Giallini. A breve dovrebbe uscire anche Greta e le favole vere,  storia in cui ho una figlia che vuole salvare il mondo. È la nostra Greta Thunberg e vuole riportare l’orso polare nei ghiacciai. A interpretarla è la bravissima Sara Ciocca, ci sono anche Sabina Impacciatore e Raul Bova che fa mio marito. Spero che lo vedremo a Natale».

Intervista pubblicata sul settimanale Oggi del 16 Novembre

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Bellocchio, Rohrwacher e Sollima portano il nostro cinema in India

24 martedì Ott 2023

Posted by Cristiana Allievi in Senza categoria

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Adagio, Alice Rohrwacher, Bollywood, cinema, cinema indiano, film critic, giornalismo, interviste illuminanti, Jio Mami Mumbai Festival, La chimera, Marco Bellocchio, Mumbai, Rapito, Stefano Sollima

Insieme festeggiano i 20 anni di vita del festival nella capitale del cinema di Bollywood. La direttrice del festival Anupama Chopra: «Il nostro pubblico è molto evoluto, conosce ciò che accade nel resto del mondo e si aspetta di vedere il meglio»

di Cristiana Allievi

Quest’anno l’impronta italiana sarà forte. A festeggiare 20 anni di vita del festival nella capitale del cinema di Bollywood saranno tre grandi come Marco Bellocchio, Alice Rohrwacher e Stefano Sollima, e non solo: a far parte dello staff di selezione sono due noti professionisti del nostro cinema. Tutto per festeggiare un grande ritorno per il Jio Mami Mumbai Festival. All’ultima edizione prima dello stop, nel 2019, la rassegna aveva raggiunto l’apice, riempiendo le sale sparse in venti siti della città. Il pubblico era entusiasta. Così quando si è trattato di pensare a come ripartire, dopo tre anni di stop, i vertici dell’organizzazione si sono chiesti come avrebbero potuto alzare ulteriormente l’asticella.

La risposta arriverà con l’imminente edizione, dal 26 ottobre al 5 novembre, quando il primo festival di cinema indipendente dell’India (il secondo del Paese, se si considera quello ufficiale di Stato fondato 60 anni fa a Goa, l’International film festival of India), aprirà la competizione a tutto il Sud asiatico, creando una grande community di riferimento nel settore. Si vedranno competere quindi registi nepalesi, di Bhutan, Vietnam e Bangladesh, e anche i film dei registi della diaspora provenienti da Germania e Uk, in una Mumbai che si appresta a diventare la prima fucina di coproduzioni intercontinentali del Paese. Lo spiega Anupama Chopra, direttrice del Festival, affiancata da Deepti Dcunha, direttrice artistica.

«IL NOSTRO OBIETTIVO PIÙ IMPORTANTE È PROIETTARE PER L’80 PER CENTO FILM DI LINGUE STRANIERE, PELLICOLE PRESENTATE A GRANDI FESTIVAL COME LA BERLINALE, TORONTO, CANNES, E IL SUNDANCE. PER 10 GIORNI MUMBAI È L’UNICO LUOGO DELL’INTERO CONTINENTE IN CUI POTER VEDERE QUEI TITOLI SUL GRANDE SCHERMO»

(continua…)

Pubblicato su Corriere.it

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Caleb Landry Jones, «Sono io l’uomo impossibile».

27 mercoledì Set 2023

Posted by Cristiana Allievi in arte, Attulità, cinema, Mostra d'arte cinematografica di Venezia, Musica

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Caleb Landry Jones, cinema, interviste illuminanti, Jim Jarmush, Luc Besson, Musica, Vanity Fair

Per il suo ultimo film, Luc Besson temeva di non trovare l’attore giusto, ma a CALEB LANDRY JONES perconquistarloè bastato uno sguardo. In Dogman interpreta un ruolo complicato, come del resto è stata la sua vita da bambino. Difficile? Affatto, perché, dice, «è il dolore che ci accomuna»

di Cristiana Allievi

L’attore e musicista americano Caleb Landry Jones (foto courtesy PHILIPPE QUAISSE per Vanity Fair)

Ha occhi incredibilmente tranquilli. I capelli sono arruffati, li porta spesso indietro con la mano, il gesto di un ex bambino affetto da un disturbo ossessivo compulsivo che da adulto cerca (ancora) di fare ordine. Cresciuto in Texas in una fattoria, i suoi genitori – un imprenditore edile e un’insegnante – lo hanno incoraggiato a trovare una via espressiva per quelle emozioni che tendevano a restare incastrate dentro, producendo un senso di allarme che era il motore dei suoi incubi. Così Caleb Landry Jones disegnava su tutti i pavimenti di casa e poi si rifugiava in Barney, una serie tv per l’infanzia molto nota negli Usa. Il protagonista era un tirannosauro viola che sorrideva e cantava spesso. «Avrei fatto di tutto per andare a vivere nel suo mondo in cui il dolore sembrava non esistere davvero», ricorda. La madre, discendente di una dinastia di violinisti, lo aveva iscritto a danza classica e tip tap, poi lo aveva portato alla prima audizione. A 16 anni è apparso nella penultima scena di Non è un paese per vecchi. Da allora ha preso parte a 30 film per cui ha meritato premi importante come quello di miglior attore all’ultimo Cannes, per Nitram di Justin Kurzel. All’ottantesima Mostra di Venezia ha sfiorato la Coppa Volpi con Dogman di Luc Besson.

È lì che incontro Caleb, in un bellissimo hotel liberty. Ha una sigaretta arrotolata fra le dita e a differenza del suo Douglas non indossa guanti di velluto che si arrampicano lungo le braccia costellate di lentiggini.

Ispirata a un articolo di giornale che raccontava di un bambino di cinque anni tenuto chiuso in gabbia dal padre, la storia nera di Dogman è servita al regista francese per esplorare che cosa succede nella mente di chi cresce in quel modo, e scoprire come gestisce il dolore.

Dogman inizia con la frase di Alphonse de Lamartine “quando un uomo è in pericolo, Dio gli manda un cane”. A Douglas ne manda un centinaio. «Quello che interpreto è un ragazzo diverso, che viene accettato e accolto solo dai diversi, da coloro che soffrono. Le persone “normali” o lo respingono o lo usano».

Ha quasi sempre interpretato disperati e situazioni folli, le predilige? «Non le percepisco come folli, l’unica follia che avverto è la fatica di trovare un modo per rappresentarle (ride, ndr). Non sapendo da dove cominciare, osservo che le cose che a molti paiono strane a me non sembrano tali. Douglas non è affatto folle, lo è tutto ciò che lo circonda».

Ha travasato in lui tutto il dolore che conosce? «Quando creo qualcosa quello che emerge non è facilmente identificabile e non lo analizzo, lascio che sia il subconscio a lavorare l’amalgama di avvenimenti ed emozioni anche molto distanti nel tempo. Ma tutti conosciamo la perdita, sappiamo cos’è un cuore spezzato da un lutto, il dolore è qualcosa che condividiamo e di cui parliamo molto più di quanto non menzioniamo la gioia. Douglas cristallizza il dolore di tutti ed è completamente innocente, non ha fatto male a nessuno».

Ricorda cosa vi siete detti lei e Luc Besson al primo incontro?

«La sua più grande paura era quella di non incontrare l’attore giusto, caso in cui mi ha detto che avrebbe rinunciato al film».

(continua…)

L’intervista integrale è su Vanity Fair del 4 Ottobre 2023

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