• Info

Cristiana Allievi

~ Interviste illuminanti

Cristiana Allievi

Archivi della categoria: Sport

La perfezione di John

06 lunedì Mag 2019

Posted by cristianaallievi in arte, cinema, Miti, Sport

≈ Lascia un commento

Tag

campioni, D La repubblica, interviste illuminanti, John McEnroe, Julien Faraut, L'impero della perfezione, uomini

John McEnroe in un’immagine del film L’impero della perfezione che lo ritrae negli anni Ottanta.

IL 6 MAGGIO ESCE NELLE SALE IL FILM di JULIEN FARAUT, CHE UNISCE LE LEGGI DELLE SCIENZE MOTORIE, L’AGONISMO E L’ESTRO DI UNO DEI GIOCATORI DI TENNIS PIU’ ORIGINALI DEL SECOLO SCORSO. SI INTITOLA L’IMPERO DELLA PERFEZIONE E A GIRARLO È STATO UN (EX) ARCHIVISTA

Lo si vede discutere con l’arbitro. Lamentarsi dei clic delle macchine fotografiche. Allontanare i cameraman. E si resta ipnotizzati dalla faccia con cui fissa un punto dall’altra parte della rete. Le immagini sono così concentrate sulla sua figura che lo spettatore si sente trasportato in campo, a soffrire con lui. E inizia a comprendere qualcosa che fino a quel momento non aveva visto. «Ho capito che il tennis per lui andava al di là dello sport: era un bisogno vitale, lui doveva vincere». Julien Faraut, 41 anni,  lavora per l’archivio del Ministero dello Sport. Un giorno scopre un vero tesoro: ore di girato di Gil de Karmadec, sportivo e regista appassionato che dagli anni Cinquanta si è dedicato alla didattica attraverso l’analisi del gesto dei tennisti. A un certo punto, però, rinuncia alle riprese con quello scopo e segue ciò che un campione fa dal vero. È con questo materiale che Faraut decide di restituire la genialità del tennista che nel 1984 vince su  tutte le superfici, tentando di entrare nella sua testa. Le straordinarie riprese in 16 mm mai montate prima sono già cinema (all’epoca circolavano solo immagini video), e con esse cerca di rispondere a una domanda: cosa rende unico John McEnroe, l’uomo che con il  96.5 % di vittorie in una stagione vanta un  primato ancora oggi imbattuto? Le risposte sono affidate alla voce narrante di Mathieu Amalric, che scandisce verità vertiginose. L’impero della perfezione- John McEnroe è una folgorazione, un fenomenale viaggio fra il cinema e lo sport. «Dall’inizio ho voluto parlare con uno psicologo, dicendo che stavo facendo un ritratto di McEnroe», racconta. «Volevo capire la sua collera, e mi ha spiegato che un perfezionista vede un mondo per definizione imperfetto e si trova in uno stato di insoddisfazione permanente». Se in molti hanno pensato che McEnroe ci marciasse, sulle sue collere, per destabilizzare gli avversari, Faraut porta una nuova sfumatura. «Sono arrivato a concludere che era sincero, non aveva secondi fini, non poteva evitare quel vulcano emotivo. Ma mentre chiunque altro lasciandosi andare a queste emozioni avrebbe sbagliato due volte, lui vinceva, la sua rabbia lo caricava». Attraverso una spietata analisi delle relazioni familiari, con un padre avvocato d’affari assente  e una madre gelida che vuole un figlio campione, la tensione sale.  Da una parte si delinea il mantra di John, “se non sono il top, loro non mi amano”, atteggiamento molto distruttivo che lo ha portato ai vertici del tennis. Dall’altra si arriva al culmine del racconto, la mitica finale di Roland Garros in cui dopo 1 ora e 29 minuti di gioco sublime, McEnroe crolla e perde al quinto set contro Ivan Lendl. Un match di cui gli appassionati ricordano ogni istante di sofferenza. «Ci sono due modi per guardare il tennis, a bordo campo o in tv. Io dovevo creare una terza via, spingere una persona ad andare al cinema. Hitchcock ha sempre detto che la suspence di una storia non sta alla fine, ma durante il racconto».

(continua…)

Articolo pubblicato su D La Repubblica del 16 febbraio 2019

© Riproduzione riservata

Valeria (Solarino) è come Agassi

15 sabato Dic 2018

Posted by cristianaallievi in cinema, Personaggi, Sport

≈ Lascia un commento

Tag

Andre Agassi, D La repubblica, Danza con me 2, Giovanni Veronesi, infanzia, interviste, interviste illuminanti, Moschettieri del re, Rai 1, Roberto Bolle, Valeria Solarino

PER FARE L’ATTRICE HA ADOTTATO LA STESSA DISCIPLINA DEGLI ATLETI: E COSI’ SOLARINO HA IMPARATO CHE LA PASSIONE È UN’ARTE RIGOROSA

«Rispettare gli orari, mangiare in un certo modo, avere qualcuno che mi dice cosa fare: cose che mi piacciono moltissimo. Nel lavoro ho dovuto imparare da sola a essere disciplinata». Ecco spiegata la folgorazione avuta qualche anno fa per Andrea Agassi e il tennis, dopo aver letto anni fa Open. Ma anche l’entusiasmo con cui annuncia la propria presenza accanto a Roberto Bolle, l’1 gennaio, in Danza con me 2, su Rai 1. Comune denominatore dei suoi eroi? «Sono atleti modellati dalla fatica». La voce di Valeria Solarino è forte e chiara. Ha appena festeggiato i quaranta a Modica, in provincia di Ragusa, dove c’è la casa di suo padre. Nata in Venezuela, e trasferitasi a Torino a 3 anni, i suoi si sono divisi che era una bambina. «Il mio legame con il Venezuela è solo romantico, nonostante  abbia ancora parenti lì. La mia città è Torino, ci ho vissuto fino ai 23 anni, lì ho preso decisioni importanti, come iscrivermi alla facoltà di Filosofia». Poi è arrivata la seconda grande decisione, iscriversi alla scuola dello Stabile di Torino, col risultato che non ha finito gli studi. «Roma è arrivata dopo, oggi è la città legata al lavoro. In Sicilia invece ci sono le mie radici, è il luogo in cui passavo tutte le estati, un appuntamento che agognavo. Ricordo la prima volta in motorino, il primo bagno di notte, le feste sulla spiaggia…».

La provochiamo, accennando al fatto che i racconti sull’isola ricordano un po’ A casa tutti bene, il film di Gabriele Muccino che le ha dato una grande popolarità. «Ma quella era una famiglia in cui i membri non si vorrebbero mai incontrare… Di simile c’è il fatto che siamo stati su un’isola per due mesi, a Ischia, e avrebbe potuto non essere facile.  Ma Gabriele ha gestito benissimo una situazione difficile con tanti attori abituati a fare i protagonisti. Ci ha amati in un modo speciale, abbiamo ancora un gruppo WhatsApp in cui ci diamo consigli, è raro nel mio ambiente».

(continua…) 

Intervista pubblicata su D La Repubblica del 15 Dicembre 2018

© RIPRODUZIONE RISERVATA

La libertà di correre, secondo Pierre Morath

03 sabato Giu 2017

Posted by cristianaallievi in cinema, Cultura, Personaggi, Sport

≈ Lascia un commento

Tag

corsa, Cristiana Allievi, Free to run, KAthrine Switzer, maratona, New York, Noel Tamini, Olimpiadi, Pierre Morath, Spiridon, Steve Prefontaine

Scaled Image.jpg

Pierre Morath, giornalista sportivo, regista, storico ed ex atleta (foto di Miguel Bueno).

 

Chi crede che infilarsi le sneakers e lanciarsi in una corsa al parco sia uno dei gesti più naturali che si possano immaginare, non crederà ai propri occhi. Davanti alle immagini di Free to run (al cinema), si resta di stucco e allo stesso tempo si esce galvanizzati. Si vedono i primi corridori “liberi” per le strade del Bronx a petto nudo, inseguiti dalla polizia come sovversivi. Ma anche la nascita della Maratona di New York, le battaglie di Steve Prefontaine -il James Dean della corsa-, le vittorie olimpiche di Franck Shorter e le prime Olimpiadi a cui parteciparono anche le donne.

Pierre Morath, 47 anni, svizzero francese, è l’autore di un vero e proprio inno alla libertà individuale attraverso la corsa. Il suo occhio di storico e giornalista ha voluto raccontare una storia sportiva facendola andare di pari passo con le trasformazioni sociali e, soprattutto, con gli step dell’emancipazione femminile. Perché per quanto surreale sia da credere, le donne hanno dovuto lottare persino per conquistarsi il diritto di correre, e hanno potuto partecipare alla prima Olimpiade solo nel 1984. «Sono state Bobbi Gibb e Kathrine Switzer a sfondare vere barriere ideologiche», racconta Morat, un incrocio perfetto tra Chris Martin, Vincent Cassel e Benedict Cumberbatch, «quando i preconcetti e l’ignoranza in fatto di medicina faceva si che esistessero slogan come “se corri diventerai un uomo” e “se ti spingi oltre gli 800 metri ti cadrà l’utero…” volte a scoraggiare le donne», ricorda questo runner che ha mancato le qualificazioni alle Olimpiadi di Atlanta del 1996 nei 1500 metri per colpa di una tendinite. Quello che mostra sembra un altro mondo. «Negli anni Sessanta lo sport non era visto come oggi, era una cosa utile nella misura in cui si gareggiava e si dava visibilità a un team e a una nazione, altrimenti non aveva senso. Inoltre la corsa era praticata solo in pista, in un’area chiusa, e la maratona non solo era vista come qualcosa per ottimi atleti, ma era la specialità dei lavoratori, contro la corsa sulla media distanza che vedeva tra i suoi runnes studenti di medicina». In pratica correre in mutande per strada, e senza essere dei campioni, era vista come una follia, e dal 1968 in poi, allo scoppio delle prime proteste, la libertà di correre viene presa anche in Europa come il simbolo di egualitarismo e di ribellione nei confronti di una società troppo conformista.

Nel 2002, quando viene folgorato dalla storia di Kathrine Switzer e Noel Tamini, Morath non è un regista ma sta scrivendo un libro sulla corsa su strada. Inizia a collaborare come giornalista con una tv di Ginevra e nel 2005 dirige il suo primo documentario, Les regles du jeu, ritratto del mondo dell’hockey su ghiaccio, Nel 2008 è la volta di Togo, ambientato nel paese africano. «Racconta la miracolosa qualificazione della squadra di football per la World Cup nel 2006, uno specchio di come il football in Africa fosse connesso alla politica: “se ci qualifichiamo tutti i problemi spariranno”, dicevano». E in effetti la qualificazione della nazionale ha evitato una guerra civile ormai alle porte. Più avanti, nel 2012, Morath fa una divagazione dal mondo dello sport con Chronique d’une mort oubliée, la ricostruzione del caso di Michel Christen, trovato nel suo appartamento a Ginevra a due anni dalla morte.

0356CD-free-to-run.jpg

Gli archivi olimpionici costano qualcosa come 20 mila dollari per un minuto di immagini, e allo stesso tempo mostrare un movimento “libertarian” che diventa liberalismo, come quello della corsa, diventa un’ossessione per Morath. Ma nel frattempo si è affermato come regista ed è riuscito a raccogliere il budget di un milione e mezzo di euro, così contta la donna che lo aveva folgorato anni prima. «Katherine era una teeneger americana a cui il padre consiglia di correre un miglio al giorno per diventare forte. Lei si allena, si sente sempre meglio, ma la federazione non vuole farla correre con gli uomini». A Boston nel 1967 si corre la prima maratona aperta a tutti, e lei riesce a farsi registare ufficialmente con il nome di un uomo. Ma Jock Semple, direttore della corsa, si presenta in pista per strapparle il pettorale numero 261 e farla ritirare dalla corsa. Stretta tra il fidanzato e il coach, la Switzer procede fino al nastro d’arrivo. «Quando ho contattato Kathrine è stata molto aperta, ma tempo dopo ho scoperto che era piuttosto scettica: da giornalista non credeva che saremmo riusciti a terminare il lavoro. Mi ha aiutato molto a fare le prime interviste, è diventata centrale nel film perché il problema delle donne lo è, in questa storia. All’epoca non esisteva la medicina sportiva, e la verità è che la società aveva paura che le donne lasciassero le case come mogli e madri, l’idea era troppo spaventosa». Mentre quella combatte la sua battaglia negli Usa, dall’altra parte del mondo, in Svizzera-dove il clima è ancora più inflessibile e le donne non hanno nemmemno diritto di voto- c’è Noel Tamini, fondatore della rivista Spiridon. È l’uomo a cui si deve la diffusione di una nuova visione della corsa a lunga distanza e il recupero del suo aspetto mistico in mezzo alla natura. E soprattutto è lui che mostra le prime immagini di donne che corrono e sono belle, femminili e in forma.

E se si vede Spiridon che contribuisce in modo fondamentale all’emancipazione dai sistemi federali per organizzare gare al di fuori degli stadi, una delle provocazioni di Free to run è mostrare gli Usa come pionieri di qualcosa di “libero”, per trasformarlo poco dopo in un business. In questo senso Fred Lebow, entusiasta della corsa e con grandi visioni imprenditoriali, è un personaggio chiave: è lui ad aver fondato la maratona di New York trasformando una corsa di poche centinaia di persone in una delle sfide più ambite al mondo, e in un affare da milioni di dollari. «Da storico è interessante chiedersi dove ci ha portati la rivoluzione. Nel 2017 abbiamo un senso idealistico degli anni Settanta, ma si dice che molti rivoluzionari dell’epoca oggi lavorino in banca. E la Nike, che era una società anti establishment, insieme a McDonald è diventata un simbolo del capitalismo moderno».

Le immagini finali del film trasportano lo spettatore in un’Etiopia in cui si corre di nuovo liberi nella natura. «Noel Tamini è il mio eroe, il mio modello. È l’uomo che ha creato un cambiamento di coscienza in Europa, ma appena ha visto il suo amore trasformato in business se n’è andato in Africa a “vivere con se stesso”». Non solo, a quanto pare. Perché lì ha fatto rivivere lo spirito originario e libero da cui era nata la maratona.

Articolo pubblicato su D La Repubblica  del 3/6/2017

© Riproduzione riservata 

 

 

 

 

 

 

Slava Fetisov, “cattivo” maestro

06 domenica Dic 2015

Posted by cristianaallievi in cinema, Miti, Sport

≈ Lascia un commento

Tag

asteroide 8806, CCCP player of the year, cinema, Cristiana Allievi, Festival di Cannes, Gabe Polski, Guerra fredda, hockey team, Icon, KGB, Panorama, Red Army, Slava Fetisov, Viktor Tikhnonov

190 centimetri di altezza, una stazza corporea considerevole. Capitano della nazionale di hockey russa per nove stagioni, due volte CCCP Player of the year, due medaglie d’oro alle Olimpiadi e sette ori ai campionati del Mondo fanno di lui uno degli atleti più forti di tutti i tempi. Ma i titoli sportivi impallidiscono, di fronte alla grandezza umana. Perché prima di diventare Ministro dello Sport di Putin, Vjačeslav Aleksandrovič, detto Slava, Fetisov, ha combattuto e vinto per la libertà delle generazioni a venire. È successo quando, a un certo punto della carriera, ha chiesto il passaporto per giocare negli Usa e, da eroe nazionale, in un istante si è trasformato in nemico politico. Alla fine di una lunga battaglia è riuscito a spuntarla. Lo incontro in un hotel della costa Azzurra dov’è venuto a presentare il docu film del candidato agli Oscar Gabe Polski, Red Army (sugli schermi Usa da gennaio 2015 e prossimamente in Italia). Questi 76 applauditissimi minuti all’anteprima mondiale dell’ultimo festival di Cannes raccontano quarant’anni di storia attraverso la sua vita, quella della Red Army – uno dei più grandi hockey team della storia- l’ex Urss di Gorbaciov, le Olimpiadi, le vittorie dei russi, in un misto di vertigine sportiva e interviste dei giorni nostri. Tanto sono frenetiche le splendide immagini di repertorio delle prime sfide Usa-Urss in piena guerra Fredda, tanto è placida la calma di Fetisov quando parla, con parole che pesano.

Nhl Fetisov

Fetisov alle Olimpiadi del 1980 con la maglia dell’Unione Sovietica.

«Mi chiede se mi pento degli anni spesi in allenamenti massacranti? Quando sei giovane e ambizioso, e vieni dai bassifondi della società, non te ne frega un cazzo di vivere in un camp per 11 mesi all’anno, non hai niente da perdere. I miei amici oggi sono tutti nella tomba, caduti sotto i colpi delle droghe e dell’alcool, io ho sempre voluto essere un bravo studente, mi sono allenato e non sono mai andato in conflitto col sistema, che in cambio mi dava la libertà». A giudicare dall’allenatore della Red Army, Viktor Tikhnonov, un vero dittatore che poi si è scoperto anche essere membro del Kgb, c’è da chiedersi di quale libertà parli. Del resto l’hockey era un affare di stato, uno strumento di propaganda attraverso cui, vittoria dopo vittoria, il governo dimostrava la superiorità del sistema sovietico sul resto del mondo: i suoi atleti ne erano l’arma micidiale. Li portavano a giocare negli Usa e gli toglievano il passaporto per non far venir voglia di scappare, alla vista di quei colleghi a stelle e strisce che indossavano moderni jeans e guadagnavano un sacco di soldi. «Non li invidiavo, ero felice, sul ghiaccio mi sentivo libero e non pensavo alla politica. A 21 anni ero già famoso nel mio paese, avevo un appartamento e ho sempre potuto scegliere la donna che volevo». Ma a metà degli anni Ottanta l’idealismo in Russia inizia a crollare e l’economia a stagnare. Arriva il vento dell’Occidente e con esso la proposta di trasferirsi, ma glielo impediscono. «Avevo firmato il contratto in Europa, il management americano avrebbe potuto “rapirmi”, ma io non volevo lasciare il mio paese fuggendo di nascosto. È stato un inferno, mi hanno messo sotto una pressione enorme: da campione ero diventato nemico della patria. Mi hanno sbattuto in prigione, picchiato, colpito a fuoco (silenzio, ndr), la sensazione era che mi potesse succedere di tutto». Ma alla fine ha vinto lui. Arrivato negli Usa, però, le cose non sono andate come previsto. «Mi odiavano, mi vedevano come comunista, uno che era lì per soldi da spedire a Mosca. Solo quando un amico di una grande famiglia americana mi ha chiesto di fare da padrino ai suoi figli le cose sono cambiate: ho iniziato a sentirmi accettato, ho vinto 3 Stanley Cup, mi hanno messo nella Hall of Fame e offerto un lavoro da coach». Ma Putin, nel frattempo succeduto a Gorbaciov, aveva altri progetti. Gli offre una squadra molto più grande e maggiori responsabilità, oltre a una casa di 1000 metri quadrati, con piscina e campi da tennis, e la libertà di scegliersi lo stipendio: è così che Fetisov torna in Russia, nel 2001, e diventa suo ministro dello Sport. «Ho trovato un disastro, non c’erano nè rispetto nè un governo, solo rovine. Anche nello sport c’erano ladri e nessuno riusciva a opporsi. Ho ideato un programma e la gente si è fidata, perché ho un nome che non è in vendita e che non posso spendere per cause sbagliate». Forma il team che nel 2014 avrebbe portato i Giochi olimpici a Sochi, da il via a un programma di facilitazioni per lo sport – mai esistito nell’Unione sovietica- che porta a costruire 300 campi di pattinaggio consentendo ai giovani di allenarsi in tutto il paese. Costituisce la League, in cui sonoimpegnate 30 squadre da 9 paesi, e supporta vecchie glorie dello sport: assicura a chiunque abbia vinto una medaglia olimpica 1000 dollari di pensione. Lasciato l’incarico da ministro dello sport dopo sette anni, oggi è senatore del Parlamento e lavora su questioni sociali, toglie i bambini dalla strada, dall’alcol e dalla droga e insegna loro i valori dello sport. Rimpianti? «In 12 anni di questo lavoro ho capito due cose: che la politica mi prende più di quello che mi da, e che la gente normale, come me, ottiene più fiducia dalle persone di chi sceglie questo mestiere come carriera, a caccia di potere, soldi e successo». L’asteroide 8806 è stato ribattezzato col suo nome, ci sembra il minimo che la sua fama sia finita sino in cielo. Un’altra, meritata, vittoria per un capitano fuori dall’ordinario.

10390916_10203570299035351_908739035165364465_n

Slava Fetisov con la giornalista Cristiana Allievi

Novembre 2014 Panorama Icon © Riproduzione Riservata 

 

 

Iscriviti

  • Articoli (RSS)
  • Commenti (RSS)

Archivi

  • febbraio 2023
  • dicembre 2022
  • novembre 2022
  • ottobre 2022
  • settembre 2022
  • luglio 2022
  • giugno 2022
  • Maggio 2022
  • aprile 2022
  • marzo 2022
  • febbraio 2022
  • gennaio 2022
  • dicembre 2021
  • novembre 2021
  • ottobre 2021
  • giugno 2021
  • Maggio 2021
  • aprile 2021
  • marzo 2021
  • febbraio 2021
  • dicembre 2020
  • novembre 2020
  • ottobre 2020
  • settembre 2020
  • agosto 2020
  • luglio 2020
  • giugno 2020
  • Maggio 2020
  • marzo 2020
  • febbraio 2020
  • novembre 2019
  • settembre 2019
  • luglio 2019
  • giugno 2019
  • Maggio 2019
  • aprile 2019
  • marzo 2019
  • febbraio 2019
  • gennaio 2019
  • dicembre 2018
  • novembre 2018
  • ottobre 2018
  • settembre 2018
  • agosto 2018
  • luglio 2018
  • giugno 2018
  • Maggio 2018
  • aprile 2018
  • marzo 2018
  • febbraio 2018
  • gennaio 2018
  • dicembre 2017
  • novembre 2017
  • ottobre 2017
  • settembre 2017
  • agosto 2017
  • luglio 2017
  • giugno 2017
  • Maggio 2017
  • marzo 2017
  • febbraio 2017
  • gennaio 2017
  • dicembre 2016
  • novembre 2016
  • ottobre 2016
  • settembre 2016
  • agosto 2016
  • luglio 2016
  • giugno 2016
  • Maggio 2016
  • marzo 2016
  • febbraio 2016
  • gennaio 2016
  • dicembre 2015
  • novembre 2015
  • ottobre 2015
  • settembre 2015
  • agosto 2015
  • giugno 2015
  • Maggio 2015
  • aprile 2015
  • marzo 2015
  • febbraio 2015
  • gennaio 2015
  • dicembre 2014
  • novembre 2014
  • ottobre 2014
  • settembre 2014

Categorie

  • Academy Awards
  • arte
  • Attulità
  • Berlinale
  • Cannes
  • cinema
  • Cultura
  • danza
  • Emmy Awards
  • Festival di Berlino
  • Festival di Cannes
  • Festival di Sanremo
  • Festival di Taormina
  • giornalismo
  • Golden Globes
  • Letteratura
  • Lusso
  • Miti
  • Moda & cinema
  • Mostra d'arte cinematografica di Venezia
  • Musica
  • Netflix
  • Oscar
  • Oscar 2018
  • Personaggi
  • pittura
  • Politica
  • Quella volta che
  • Riflessione del momento
  • Senza categoria
  • Serie tv
  • Sky
  • Sport
  • Sundance
  • Teatro
  • Televisione
  • Torino Film Festival
  • Zurigo Film Festival

Meta

  • Registrati
  • Accedi

Blog su WordPress.com.

Privacy e cookie: Questo sito utilizza cookie. Continuando a utilizzare questo sito web, si accetta l’utilizzo dei cookie.
Per ulteriori informazioni, anche sul controllo dei cookie, leggi qui: Informativa sui cookie
  • Segui Siti che segui
    • Cristiana Allievi
    • Segui assieme ad altri 84 follower
    • Hai già un account WordPress.com? Accedi ora.
    • Cristiana Allievi
    • Personalizza
    • Segui Siti che segui
    • Registrati
    • Accedi
    • Segnala questo contenuto
    • Visualizza il sito nel Reader
    • Gestisci gli abbonamenti
    • Riduci la barra
 

Caricamento commenti...