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Cristiana Allievi

~ Interviste illuminanti

Cristiana Allievi

Archivi Mensili: novembre 2016

Gaspard Ulliel: «La sensualità non va controllata».

30 mercoledì Nov 2016

Posted by cristianaallievi in Festival di Cannes, Moda & cinema, Personaggi

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È solo la fine del mondo, Blue, Chanel, Gaspard Ulliel, The dancer, Xavier Dolan, Yves Saint Laurent

tumblr_lsxmu9Q5Z61qmei7mo1_500.pngL’amico di un amico della madre apre un’agenzia di casting e cerca belle facce. È così che Gaspard, ancora bambino, inizia a lavorare per la tv. È un gran curioso, e pur non prendendo quel mondo sul serio, si concede due lavori all’anno in modo da non saltare mai la scuola. Un passo dopo l’altro, dalle piccole parti passa alle grandi, quindi al cinema. All’università studia per diventare regista, ma ha troppe richieste come attore e il destino ha la meglio. È così che finisce a lavorare con i registi più chic in circolazione (Bertrand Bonello, André Thechiné), vince il Cesar (l’Oscar dei francesi) e fa della bellezza e dello stile un tratto distintivo. Sarà che ha sempre un taglio di capelli perfetto, sarà lo sguardo azzurrissimo a cui è difficile resistere, fatto sta che Gaspard è diventato un’icona recitando in Yves Saint Laurent e prestando il volto allo spot del profumo Chanel. E anche nelle relazioni sentimentali la bellezza è il suo marchio di fabbrica: ha avuto per fidanzate Cécile Cassel, sorella di Vincent la modella Jordan Crasselle, e da tre anni è legato alla modella Gaelle Pietri, con cui otto mesi fa ha avuto il primo figlio. All’ultimo festival di Cannes è stato una star assoluta, con un film presente nella sezione Un certain regard e un secondo in competizione. E proprio questo film vedremo dal 7 dicembre, quando sarà uno scrittore omosessuale a cui rimane poco da vivere, l’uomo al centro del nuovo film del regista di culto Xavier Dolan, È solo la fine del mondo, gran premio alla regia all’ultimo Festival di Cannes. Da gennaio sarà in Vietnam per tre mesi sul set del film di Guillaume Nicloux, un film d’epoca sulla guerra in Indocina nel 1945. E sempre il prossimo anno lo vedremo in The dancer, biopic non convenzionale sulla danzatrice americana Loie Fuller e magnifico esordio dietro la macchina da presa di Stephanie Di Giusto.

La sensualità è elemento cha ha molto a che fare con la sua immagine. Come la vive? «Non so se ne sono consapevole, è qualcosa di organico che non dovresti controllare. Nessuno dovrebbe cercare di avere un’idea precisa della propria sensualità, perderebbe di forza».

Il suo volto è associato a un notissimo profumo, da attore non ha mai avuto timore di questo tipo di esposizione? «Quando mi ha chiamato Chanel ero un giovane attore, ci ho pensato a lungo prima di accettare. Quando ti sei affermato puoi fare quel che vuoi, ma io non ero ancora conosciuto, avrebbe potuto essere pericoloso. Invece è andata benissimo, mi ha reso indipendente economicamente, libero di scegliere i film che volevo davvero girare, e ormai è parte della mia immagine. Da attore mi piace essere associato a una fragranza, non è come fare pubblicità per una scarpa o una borsa. Il profumo è qualcosa di astratto, è poesia, è un’essenza».

Parlando di sensi, cosa preferisce mangiare e bere? «Quando mi sento sensuale non mi viene in mente il cibo, mentre sono ossessionato dal vino. In questo periodo gli do una tale importanza che mi capita di sceglierlo per primo e poi gli accosto il cibo più adatto. Ho appena scoperto un vino spagnolo che mi ha stregato, il Vega Sicilia Unico. È difficilissimo da trovare in Francia, ne ho acciuffata una bottiglia vintage del 2004 su ebay. Per fortuna ci sono persone che non sanno cosa stanno vendendo, e capitano dei veri affari».

 Il suo cocktail preferito? «L’Old fashion, il migliore l’ho bevuto in un piccolo bar di Lisbona».

Diceva che non bisogna essere troppo consapevoli della sensualità, vale anche per lo stile? «Quello è dato da come cammini, ti muovi, sorridi. È la combinazione di molti fattori, ed è più importante della moda: lo stile resta per sempre, la moda cambia».

Lei ha due genitori che vengono da quel mondo… «Mio padre era un fashion designer e mia madre una stylist, ci è voluto molto tempo prima di potermi vestire come volevo! Mia madre sceglieva cosa mettermi quando andavo a scuola, ogni mattina. Tutt’oggi dice qualcosa su quello che indosso, ma ormai ho il mio stile e non la ascolto più (ride, ndr)».

(….continua)

Intervista pubblicata su D La Repubblica del 19/11/2016

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

 

 

 

Natalie Portman: «La perfezione non esiste»

18 venerdì Nov 2016

Posted by cristianaallievi in cinema, Festival di Berlino, Mostra d'arte cinematografica di Venezia

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Benjamin Millepied, Christian Bale, Eating animals, Jackie, Luc Besson, Natalie Portman, Planetarium, Safran Foer, Terrence Malick, The knight of cups, Weightless

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L’attrice israeliana naturalizzata statunitense Natalie Portman, 35 anni. 

«Avevo 19 anni e stavo recitando in Il gabbiano di Chekhov, al Delacorte Theatre in Central Park. Dopo la premiere sono uscite le prime critiche e ho fatto l’errore di leggerle. Sono andata in panico, ero quasi isterica. Mi sono precipitata nel camerino di Phil Semyour Hoffman, che era nel cast, urlando“non posso farcela, sono totalmente paralizzata!”. Lui, con una calma assoluta, mi ha detto: “Tutti quelli che sono sul palco con te, da Meryl Streep a Christopher Walken, a me, hanno fatto un sacco di casini quando erano alla scuola di teatro. Abbiamo sbagliato mentre non ci guardava nessuno, tu lo stai facendo là fuori, è normale avere paura!”. Mi stava autorizzando a sbagliare, e i quel momento ho capito che se un attore della sua portata, il migliore di tutti, è inciampato, allora potevo sbagliare anch’io». Il fatto che a pronunciare queste parole sia una delle attrici più pacate che ci siano in circolazione ha dell’incredibile. Indossa un abito Valentino Red color crema con disegni di pappagallini, e mi dice che oggi non commette più l’errore di leggere quello che scrivono di lei. L’incarnato del viso è perfetto, come ci si aspetta dal volto di Dior Parfums. Natalie Portman mi ha sempre dato l’idea di essere la prima della classe. A 13 anni era già sul set di Leon, e Luc Besson l’ha catapultata nel mondo del cinema che era una bambina. Ma a 18 anni, nonostante fosse già un’attrice sulla rampa di lancio, è tornata all’Università a studiare Psicologia. Cose che capitano, nelle famiglie borghesi, e Natalie è nata a Gerusalemme dal medico Avner Hershlag, ebreo di origine polacca, e da Shelley Stevens, casalinga di origini americane che poi è diventata la sua agente. Non bastasse, negli anni ha studiato giapponese, francese, tedesco e arabo, lingue che si aggiungono a quelle materne, l’ebraico e l’inglese. Insomma, se si pensa che ha anche sposato l’ex direttore del balletto dell’Opera di Parigi, Benjamin Millepied, e che è diventata produttrice e regista, sembra il ritratto della perfezione. Quando le elenco tutti i motivi per cui sarebbe facile etichettarla come “secchiona”, con l’aggravante di aver anche vinto il premio più ambito da un attore, l’Oscar, grazie a Il cigno nero, mi fa capire che mi sbaglio: «Quello è un falso idolo, e bisogna stare attenti a credere troppo alle statuette d’oro… ll consiglio che darei per avere successo? Non temere di fare casini! Non siamo sergenti, nessuno morirà per un nostro errore, la peggior cosa che può succedere a un attore è impegnarsi in qualcosa che non funziona: sbaglia quanto vuoi, va benissimo. Ancora meglio se accetti le conseguenze». Ora è al cinema con Knight of cups di Terrence Malick, e nel 2017 la vedremo in almeno tre film: Jackie, del regista cileno Pablo Larrain, presentato all’ultima Mostra d’arte cinematografica di Venezia, e sono in molti a scommettere che nei panni della moglie di Kennedy vincerà il secondo Oscar. Poi verrà Planetarium, della regista francese Rebecca Zlotowski quindi Annihilation, di Alex Garland. E nei panni di produttrice promuoverà il il documentario Eating animals, dalle memorie di Jonathan Safran Foer.

Lavorare con Terrence Malick dev’essere molto affascinante, si è ispirata a lui per diventare regista? «Ho preso molto da Terrence, soprattutto il suo abbracciare le cose difficili del percorso. Se piove di solito i set si fermano, mentre con lui si gira con la pioggia. C’è vento? Lui riprende il vento… Il mondo ha bisogno dei suoi film, pieni di bellezza, spirito ed energia positiva».

L’ha voluta anche per il suo Weightless, in cui si trova al centro di un triangolo amoroso con Christian Bale e Michael Fassbender. «Il mio personaggio è molto diverso dal precedente, sarò bionda. Ma non le dirò di più, il rischio che si corre quando si gira con Terrence è di non ritrovarsi nemmeno in una scena del film».

Con A tale of love and darkness ha esordito alla regia. Essere sceneggiatrice, attrice e dirigere un film l’ha cambiata? «È stata una sfida enorme, trovare persone che credono in te, recitare in ebraico, scrivere una sceneggiatura che rispetti la realtà delle cose ed essere madre allo stesso tempo… Coinvolgerti in una cosa tutta tua, e per lungo tempo, da una soddisfazione enorme, ti prendi i meriti e le critiche. Da attore lavori per qualche settimana e poi ti presenti alla premiere un anno dopo. E se il film non va bene, è sempre colpa del regista».

 Com’è arrivata a impegnarsi in un film dalla storia particolare come Planetarium? «Conosco Rebecca da una decina d’anni, la make up artist dei suoi film, Saraï Fiszel, è un’amica comune che vive a Los Angeles. Mi ha chiamata per dirmi che voleva interpretassi un’americana trasferitasi in Francia, era proprio il periodo in cui ero andata a vivere a Parigi con mio marito».

Nel film lei ha il dono di parlare con i fantasmi e insieme a sua sorella vi esibite in giro per la Francia, finché un produttore non vi lancia nel mondo del cinema. Cosa ha a che fare tutto questo con lei? «L’idea di collegare lo spiritismo al cinema mi affascina molto. Il desiderio di “catturare” i morti, da una parte, e il fatto che tra cento anni si vedranno film che trasmettono ancora qualcosa nonostante gli attori siano defunti, è una nuova prospettiva sul cinema a cui non avevo mai pensato».

Con chi cercherebbe di mettersi in contatto, del suo passato? «Mi affascinerebbe sapere qualcosa di alcuni membri della mia famiglia di varie generazioni fa, di cui non so nulla».

Si dice che abbia coinvolto lei Lily Rose Depp nel film. «Rebecca faticava a trovare una brava attrice che parlasse francese e inglese e che potesse sembrare mia sorella, Lily Rose mi somiglia molto. È più matura per la sua età, mentre io sono molto immatura per la mia, ci incontriamo a metà strada (ride, ndr)».

Questo film e Jackie non sono diretti da hollywoodiani. «Li ho girati mentre vivevo a Parigi e mi interessava lavorare con registi con cui non avrei potuto collaborare negli Usa, perché appartengono a una tipologia che non pensa a un attore americano per i propri film. Pablo e Rebecca sono stati un dono per me».

L’anno scorso mi ha detto “vivendo in Europa mi sono accorta di quanto abbiamo perso noi americani senza accorgercene. A Parigi c’è una libreria ogni tre passi, a Los Angeles ce ne saranno due in tutta la città…”. Oggi  che è tornata a vivere in Usa con la sua famiglia, cosa dice? «In Europa ho imparato molto di me stessa, ho capito quanto sono americana (ride, ndr). Voglio sempre che le persone siano a loro agio, che stiano bene e siano felici, a Parigi non sorridono molto. Amo Los Angeles, è un posto incredibile e al momento è una specie di luogo dei sogni. Siamo circondati da arte, musica e alberi!».

A proposito di positività, lei è di nuovo in dolce attesa: oggi pensa che per una donna sia fondamentale essere madre, per sentirsi totalmente appagata? «Le persone sono diverse, c’è chi si sente davvero realizzato con i figli e chi senza. Questa ossessione dei media sulla maternità è assurda, soprattutto se si tratta di attrici. Per me un figlio è stata una svolta meravigliosa, mi ha cambiato la vita, ma sono sicura che altre donne possano sentirsi realizzate anche senza».

 

Storia di copertina pubblicata su F del 23 novembre 2016

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Christian Bale, l’uomo senza vanità

07 lunedì Nov 2016

Posted by cristianaallievi in cinema, Festival di Berlino

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Batman Begins, Christian Bale, Christopher Nolan, Cristiana Allievi, Emmaline, L'impero del sole, Leonardo DiCaprio, Sibi Blazic, Stephen Spielberg, Terrence Malick, The knight of cups, Warner Herzog

IN KNIGHT OF CUPS DI TERRENCE MALICK SI PERDE TRA I LUSTRINI DI HOLLYWOOD. NELLA REALTA’ L’ATTORE TORNATO DA BATMAN AL CINEMA D’AUTORE CONSIDERA LA CELEBRITA’ “UNA BEFFA”.

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Christian Bale, 42 anni, attore gallese.

Cammina, stordito, in una landa desolata dalla bellezza ipnotica. Poco dopo attraversa luoghi polverosi, per approdare a feste in cui scorrono fiumi di champagne e splendide donne pendono dalle sue labbra. Mentre una voce fuori campo, che si scoprirà essere di suo padre, evoca la favola che gli raccontava da bambino, in cui un re spediva il proprio figlio in Egitto a cercare una perla e questi, dopo aver bevuto da una coppa, cadeva in un sonno profondo  dimenticandosi chi era. Christian Bale è perfetto nei panni di Rick, scrittore errante tra le luci di Los Angeles e Las Vegas alla ricerca di amore e di se stesso. È la trama di Knight of cups, scritto e diretto da Terrence Malick e presentato al festival di Berlino (al cinema dal 9 novembre), una grande metafora della vanità del mondo contemporaneo. Bale è perfetto perché recita da quando aveva 12 anni e se gli chiedi cosa pensa di tutto il contorno di star e luccichii ti risponde che il suo lavoro “non è sostanziale e non merita troppa attenzione”, che non gli piace parlarne e preferisce focalizzarsi sulle persone e le loro storie. Nato in Galles 42 anni fa e cresciuto tra l’Inghilterra e gli Usa in un contesto bohemienne, figlio di un’artista circense e di un pilota civile diventato in seguito famoso attivista, ha debuttato sullo schermo grazie a L’impero del sole di Steven Spielberg, sul cui set è stato paragonato al giovane Steve McQueen dal regista stesso e si è preso una cotta per Drew Barrymore. Di lì a poco ha pensato di smettere di recitare, mal sopportando l’attenzione che la fama gli ha subito portato. «Nel mio mondo ideale», racconta, «il cinema è gratis per tutti e io non promuovo i miei film. In quello reale ho deciso che il mio motto è “ricordati di non prenderti mai troppo sul serio”». È così che si è adattato alla scomodità della fama e ha tirato avanti. Negli anni Novanta ha lavorato moltissimo, finchè è arrivato American Psyco, nel 2000, in cui ha preso il posto di Leonardo DiCaprio, e grazie a cui è diventato un attore di culto, che per lui equivale a una beffa. Il passo successivo, con l’arrivo della rete, è stato diventare uno dei personaggi più noti nel web. Indossa una camicia nera su cargo color verde petrolio e sta molto bene con i capelli tirati indietro. Gli occhi brillano di un colore tra l’azzurro e il grigio, mentre racconta che le trasformazioni fisiche gli sono sempre piaciute. Il modo in cui Bale “abita” i personaggi è il suo tratto distintivo e a volte implica mutazioni clamorose, se si pensa a L’uomo senza sonno e ai 26 chili persi, fino al ruolo in Batman Begins di Christopher Nolan, un successo straordinario, come i due episodi successivi della saga. «Se mi chiede il primo ricordo che mi viene in mente, pensando a quel film, è di me seduto con addosso quella tuta, in un corridoio. Nelle pause delle riprese non potevo nemmeno uscire a prendere una boccata d’aria, non volevano rischiare che qualcuno mi fotografasse. Sono stato seduto lì per ore, tremendamente a disagio, pregavo solo dio che mi chiamassero sul set il prima possibile… Quel lavoro si è preso molto della mia stamina e della mia passione». Paradosso vuole che, nonostante trasformi il fisico secondo copione, Christian odi la palestra. «È tremendamente noiosa, sono inglese e preferisco andare al pub. E poi sono convinto che più ti si ingrossano i muscoli più perdi cellule del cervello. La cosa che mi piace davvero fare è dormire, è un meraviglioso lusso».

Considerato che con Batman ha sbancato il botteghino in modalità multi milionaria, avrebbe potuto farlo per un bel po’. Invece ha optato per il cinema indie (The new World- Il nuovo mondo, di Malick, L’Alba della libertà, di Warner Erzog e The prestige, di Christopher Nolan). L’Oscar gli arriva per un’altra trasformazione fisica, in The fighter, in cui allena il fratello “Irish” Micky Ward interpretato da Mark Wahlberg. Knight of cups è il secondo lavoro con Terrence Malick e nel 2017 vedremo il terzo, Weightless, un doppio triangolo amoroso. «Malick non ti chiede mai di fare qualcosa di specifico o di raggiungere un punto in particolare, accetta quello che riceve, anziché domandare cose alle persone. Gli interessa vedere cosa succede, per questo ottiene ottime performance dagli attori. Può capitarti di fare qualcosa in un modo eccellente, ti volti verso di lui e vedi che stava riprendendo una tenda mossa dal vento! Lì capisci che non puoi ripetere niente, e che essere vanitosi non ha senso, è molto liberatorio. Terrence in un certo senso ti toglie dalle spalle quella fatica di voler piacere a tutti costi alle persone, a lui per primo. Accanto a Bale ci sono Cate Blanchett, Natalie Portman e Freida Pinto, e insieme evocano il fatiscente mondo hollywoodiano, nonostante il film ricordi La dolce vita di Fellini, ma anche il cinema di Antonioni. «Ho partecipato ai party ridicoli che si vedono sullo schermo, e sono cresciuto per la strada, facendomi le canne, non avevo idea che la gente potesse vivere così. Ma ho capito presto che non era cosa per me, io non appartengo a quel genere di persone. Ma il film va molto oltre il mondo di Hollywood, parla di sogni, desideri e raggiungimenti. Tutti possiamo relazionarci a quel senso di mancanza di appagamento, una volta raggiunto il successo che credevi te lo avrebbe dato. Da bambino hai un sentire che ti dice che nella vita c’è molto di più, ma da adulto ti accorgi che ti è sfuggito dalle mani, in un modo che non avresti mai pensato». Grazie a Winona Ryder, Bale ha conosciuto la sua attuale moglie, Sibi Blazic con cui hanno due figli, Emmaline, 11 anni, e Joseph, 2 anni. Non ama parlare della sua famiglia, “per un attore è sempre meglio che certi aspetti della vita privata restino tali, altrimenti la capacità di raccontare altro da sé si offusca”, ma qualcosa concede. «La mia famiglia è un’ancora perché rappresenta una vita diversa. Non investo tutto nel lavoro, c’è sempre qualcosa di più importante che mi aspetta. Quello che adoro fare con mia figlia? Correre, arrampicarmi, giocare a nascondino, sono le cose che apprezzo quando torno a casa». Non bastasse questo, c’è un particolare che dice tutto sulla sua idea di normalità. «Guido il mio pick up vecchio di 12 anni perché mi piace molto, e non mi interessa cosa dicono gli altri. È chi sono io, da dove vengo. Sono solo una persona tremendamente fortunata».

Articolo pubblicato su D LaRepubblica il 29 ottobre 2016

© Riproduzione riservata

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