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Cristiana Allievi

~ Interviste illuminanti

Cristiana Allievi

Archivi tag: Terrence Malick

Natalie Portman: «La perfezione non esiste»

18 venerdì Nov 2016

Posted by cristianaallievi in cinema, Festival di Berlino, Mostra d'arte cinematografica di Venezia

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Benjamin Millepied, Christian Bale, Eating animals, Jackie, Luc Besson, Natalie Portman, Planetarium, Safran Foer, Terrence Malick, The knight of cups, Weightless

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L’attrice israeliana naturalizzata statunitense Natalie Portman, 35 anni. 

«Avevo 19 anni e stavo recitando in Il gabbiano di Chekhov, al Delacorte Theatre in Central Park. Dopo la premiere sono uscite le prime critiche e ho fatto l’errore di leggerle. Sono andata in panico, ero quasi isterica. Mi sono precipitata nel camerino di Phil Semyour Hoffman, che era nel cast, urlando“non posso farcela, sono totalmente paralizzata!”. Lui, con una calma assoluta, mi ha detto: “Tutti quelli che sono sul palco con te, da Meryl Streep a Christopher Walken, a me, hanno fatto un sacco di casini quando erano alla scuola di teatro. Abbiamo sbagliato mentre non ci guardava nessuno, tu lo stai facendo là fuori, è normale avere paura!”. Mi stava autorizzando a sbagliare, e i quel momento ho capito che se un attore della sua portata, il migliore di tutti, è inciampato, allora potevo sbagliare anch’io». Il fatto che a pronunciare queste parole sia una delle attrici più pacate che ci siano in circolazione ha dell’incredibile. Indossa un abito Valentino Red color crema con disegni di pappagallini, e mi dice che oggi non commette più l’errore di leggere quello che scrivono di lei. L’incarnato del viso è perfetto, come ci si aspetta dal volto di Dior Parfums. Natalie Portman mi ha sempre dato l’idea di essere la prima della classe. A 13 anni era già sul set di Leon, e Luc Besson l’ha catapultata nel mondo del cinema che era una bambina. Ma a 18 anni, nonostante fosse già un’attrice sulla rampa di lancio, è tornata all’Università a studiare Psicologia. Cose che capitano, nelle famiglie borghesi, e Natalie è nata a Gerusalemme dal medico Avner Hershlag, ebreo di origine polacca, e da Shelley Stevens, casalinga di origini americane che poi è diventata la sua agente. Non bastasse, negli anni ha studiato giapponese, francese, tedesco e arabo, lingue che si aggiungono a quelle materne, l’ebraico e l’inglese. Insomma, se si pensa che ha anche sposato l’ex direttore del balletto dell’Opera di Parigi, Benjamin Millepied, e che è diventata produttrice e regista, sembra il ritratto della perfezione. Quando le elenco tutti i motivi per cui sarebbe facile etichettarla come “secchiona”, con l’aggravante di aver anche vinto il premio più ambito da un attore, l’Oscar, grazie a Il cigno nero, mi fa capire che mi sbaglio: «Quello è un falso idolo, e bisogna stare attenti a credere troppo alle statuette d’oro… ll consiglio che darei per avere successo? Non temere di fare casini! Non siamo sergenti, nessuno morirà per un nostro errore, la peggior cosa che può succedere a un attore è impegnarsi in qualcosa che non funziona: sbaglia quanto vuoi, va benissimo. Ancora meglio se accetti le conseguenze». Ora è al cinema con Knight of cups di Terrence Malick, e nel 2017 la vedremo in almeno tre film: Jackie, del regista cileno Pablo Larrain, presentato all’ultima Mostra d’arte cinematografica di Venezia, e sono in molti a scommettere che nei panni della moglie di Kennedy vincerà il secondo Oscar. Poi verrà Planetarium, della regista francese Rebecca Zlotowski quindi Annihilation, di Alex Garland. E nei panni di produttrice promuoverà il il documentario Eating animals, dalle memorie di Jonathan Safran Foer.

Lavorare con Terrence Malick dev’essere molto affascinante, si è ispirata a lui per diventare regista? «Ho preso molto da Terrence, soprattutto il suo abbracciare le cose difficili del percorso. Se piove di solito i set si fermano, mentre con lui si gira con la pioggia. C’è vento? Lui riprende il vento… Il mondo ha bisogno dei suoi film, pieni di bellezza, spirito ed energia positiva».

L’ha voluta anche per il suo Weightless, in cui si trova al centro di un triangolo amoroso con Christian Bale e Michael Fassbender. «Il mio personaggio è molto diverso dal precedente, sarò bionda. Ma non le dirò di più, il rischio che si corre quando si gira con Terrence è di non ritrovarsi nemmeno in una scena del film».

Con A tale of love and darkness ha esordito alla regia. Essere sceneggiatrice, attrice e dirigere un film l’ha cambiata? «È stata una sfida enorme, trovare persone che credono in te, recitare in ebraico, scrivere una sceneggiatura che rispetti la realtà delle cose ed essere madre allo stesso tempo… Coinvolgerti in una cosa tutta tua, e per lungo tempo, da una soddisfazione enorme, ti prendi i meriti e le critiche. Da attore lavori per qualche settimana e poi ti presenti alla premiere un anno dopo. E se il film non va bene, è sempre colpa del regista».

 Com’è arrivata a impegnarsi in un film dalla storia particolare come Planetarium? «Conosco Rebecca da una decina d’anni, la make up artist dei suoi film, Saraï Fiszel, è un’amica comune che vive a Los Angeles. Mi ha chiamata per dirmi che voleva interpretassi un’americana trasferitasi in Francia, era proprio il periodo in cui ero andata a vivere a Parigi con mio marito».

Nel film lei ha il dono di parlare con i fantasmi e insieme a sua sorella vi esibite in giro per la Francia, finché un produttore non vi lancia nel mondo del cinema. Cosa ha a che fare tutto questo con lei? «L’idea di collegare lo spiritismo al cinema mi affascina molto. Il desiderio di “catturare” i morti, da una parte, e il fatto che tra cento anni si vedranno film che trasmettono ancora qualcosa nonostante gli attori siano defunti, è una nuova prospettiva sul cinema a cui non avevo mai pensato».

Con chi cercherebbe di mettersi in contatto, del suo passato? «Mi affascinerebbe sapere qualcosa di alcuni membri della mia famiglia di varie generazioni fa, di cui non so nulla».

Si dice che abbia coinvolto lei Lily Rose Depp nel film. «Rebecca faticava a trovare una brava attrice che parlasse francese e inglese e che potesse sembrare mia sorella, Lily Rose mi somiglia molto. È più matura per la sua età, mentre io sono molto immatura per la mia, ci incontriamo a metà strada (ride, ndr)».

Questo film e Jackie non sono diretti da hollywoodiani. «Li ho girati mentre vivevo a Parigi e mi interessava lavorare con registi con cui non avrei potuto collaborare negli Usa, perché appartengono a una tipologia che non pensa a un attore americano per i propri film. Pablo e Rebecca sono stati un dono per me».

L’anno scorso mi ha detto “vivendo in Europa mi sono accorta di quanto abbiamo perso noi americani senza accorgercene. A Parigi c’è una libreria ogni tre passi, a Los Angeles ce ne saranno due in tutta la città…”. Oggi  che è tornata a vivere in Usa con la sua famiglia, cosa dice? «In Europa ho imparato molto di me stessa, ho capito quanto sono americana (ride, ndr). Voglio sempre che le persone siano a loro agio, che stiano bene e siano felici, a Parigi non sorridono molto. Amo Los Angeles, è un posto incredibile e al momento è una specie di luogo dei sogni. Siamo circondati da arte, musica e alberi!».

A proposito di positività, lei è di nuovo in dolce attesa: oggi pensa che per una donna sia fondamentale essere madre, per sentirsi totalmente appagata? «Le persone sono diverse, c’è chi si sente davvero realizzato con i figli e chi senza. Questa ossessione dei media sulla maternità è assurda, soprattutto se si tratta di attrici. Per me un figlio è stata una svolta meravigliosa, mi ha cambiato la vita, ma sono sicura che altre donne possano sentirsi realizzate anche senza».

 

Storia di copertina pubblicata su F del 23 novembre 2016

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Christian Bale, l’uomo senza vanità

07 lunedì Nov 2016

Posted by cristianaallievi in cinema, Festival di Berlino

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Batman Begins, Christian Bale, Christopher Nolan, Cristiana Allievi, Emmaline, L'impero del sole, Leonardo DiCaprio, Sibi Blazic, Stephen Spielberg, Terrence Malick, The knight of cups, Warner Herzog

IN KNIGHT OF CUPS DI TERRENCE MALICK SI PERDE TRA I LUSTRINI DI HOLLYWOOD. NELLA REALTA’ L’ATTORE TORNATO DA BATMAN AL CINEMA D’AUTORE CONSIDERA LA CELEBRITA’ “UNA BEFFA”.

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Christian Bale, 42 anni, attore gallese.

Cammina, stordito, in una landa desolata dalla bellezza ipnotica. Poco dopo attraversa luoghi polverosi, per approdare a feste in cui scorrono fiumi di champagne e splendide donne pendono dalle sue labbra. Mentre una voce fuori campo, che si scoprirà essere di suo padre, evoca la favola che gli raccontava da bambino, in cui un re spediva il proprio figlio in Egitto a cercare una perla e questi, dopo aver bevuto da una coppa, cadeva in un sonno profondo  dimenticandosi chi era. Christian Bale è perfetto nei panni di Rick, scrittore errante tra le luci di Los Angeles e Las Vegas alla ricerca di amore e di se stesso. È la trama di Knight of cups, scritto e diretto da Terrence Malick e presentato al festival di Berlino (al cinema dal 9 novembre), una grande metafora della vanità del mondo contemporaneo. Bale è perfetto perché recita da quando aveva 12 anni e se gli chiedi cosa pensa di tutto il contorno di star e luccichii ti risponde che il suo lavoro “non è sostanziale e non merita troppa attenzione”, che non gli piace parlarne e preferisce focalizzarsi sulle persone e le loro storie. Nato in Galles 42 anni fa e cresciuto tra l’Inghilterra e gli Usa in un contesto bohemienne, figlio di un’artista circense e di un pilota civile diventato in seguito famoso attivista, ha debuttato sullo schermo grazie a L’impero del sole di Steven Spielberg, sul cui set è stato paragonato al giovane Steve McQueen dal regista stesso e si è preso una cotta per Drew Barrymore. Di lì a poco ha pensato di smettere di recitare, mal sopportando l’attenzione che la fama gli ha subito portato. «Nel mio mondo ideale», racconta, «il cinema è gratis per tutti e io non promuovo i miei film. In quello reale ho deciso che il mio motto è “ricordati di non prenderti mai troppo sul serio”». È così che si è adattato alla scomodità della fama e ha tirato avanti. Negli anni Novanta ha lavorato moltissimo, finchè è arrivato American Psyco, nel 2000, in cui ha preso il posto di Leonardo DiCaprio, e grazie a cui è diventato un attore di culto, che per lui equivale a una beffa. Il passo successivo, con l’arrivo della rete, è stato diventare uno dei personaggi più noti nel web. Indossa una camicia nera su cargo color verde petrolio e sta molto bene con i capelli tirati indietro. Gli occhi brillano di un colore tra l’azzurro e il grigio, mentre racconta che le trasformazioni fisiche gli sono sempre piaciute. Il modo in cui Bale “abita” i personaggi è il suo tratto distintivo e a volte implica mutazioni clamorose, se si pensa a L’uomo senza sonno e ai 26 chili persi, fino al ruolo in Batman Begins di Christopher Nolan, un successo straordinario, come i due episodi successivi della saga. «Se mi chiede il primo ricordo che mi viene in mente, pensando a quel film, è di me seduto con addosso quella tuta, in un corridoio. Nelle pause delle riprese non potevo nemmeno uscire a prendere una boccata d’aria, non volevano rischiare che qualcuno mi fotografasse. Sono stato seduto lì per ore, tremendamente a disagio, pregavo solo dio che mi chiamassero sul set il prima possibile… Quel lavoro si è preso molto della mia stamina e della mia passione». Paradosso vuole che, nonostante trasformi il fisico secondo copione, Christian odi la palestra. «È tremendamente noiosa, sono inglese e preferisco andare al pub. E poi sono convinto che più ti si ingrossano i muscoli più perdi cellule del cervello. La cosa che mi piace davvero fare è dormire, è un meraviglioso lusso».

Considerato che con Batman ha sbancato il botteghino in modalità multi milionaria, avrebbe potuto farlo per un bel po’. Invece ha optato per il cinema indie (The new World- Il nuovo mondo, di Malick, L’Alba della libertà, di Warner Erzog e The prestige, di Christopher Nolan). L’Oscar gli arriva per un’altra trasformazione fisica, in The fighter, in cui allena il fratello “Irish” Micky Ward interpretato da Mark Wahlberg. Knight of cups è il secondo lavoro con Terrence Malick e nel 2017 vedremo il terzo, Weightless, un doppio triangolo amoroso. «Malick non ti chiede mai di fare qualcosa di specifico o di raggiungere un punto in particolare, accetta quello che riceve, anziché domandare cose alle persone. Gli interessa vedere cosa succede, per questo ottiene ottime performance dagli attori. Può capitarti di fare qualcosa in un modo eccellente, ti volti verso di lui e vedi che stava riprendendo una tenda mossa dal vento! Lì capisci che non puoi ripetere niente, e che essere vanitosi non ha senso, è molto liberatorio. Terrence in un certo senso ti toglie dalle spalle quella fatica di voler piacere a tutti costi alle persone, a lui per primo. Accanto a Bale ci sono Cate Blanchett, Natalie Portman e Freida Pinto, e insieme evocano il fatiscente mondo hollywoodiano, nonostante il film ricordi La dolce vita di Fellini, ma anche il cinema di Antonioni. «Ho partecipato ai party ridicoli che si vedono sullo schermo, e sono cresciuto per la strada, facendomi le canne, non avevo idea che la gente potesse vivere così. Ma ho capito presto che non era cosa per me, io non appartengo a quel genere di persone. Ma il film va molto oltre il mondo di Hollywood, parla di sogni, desideri e raggiungimenti. Tutti possiamo relazionarci a quel senso di mancanza di appagamento, una volta raggiunto il successo che credevi te lo avrebbe dato. Da bambino hai un sentire che ti dice che nella vita c’è molto di più, ma da adulto ti accorgi che ti è sfuggito dalle mani, in un modo che non avresti mai pensato». Grazie a Winona Ryder, Bale ha conosciuto la sua attuale moglie, Sibi Blazic con cui hanno due figli, Emmaline, 11 anni, e Joseph, 2 anni. Non ama parlare della sua famiglia, “per un attore è sempre meglio che certi aspetti della vita privata restino tali, altrimenti la capacità di raccontare altro da sé si offusca”, ma qualcosa concede. «La mia famiglia è un’ancora perché rappresenta una vita diversa. Non investo tutto nel lavoro, c’è sempre qualcosa di più importante che mi aspetta. Quello che adoro fare con mia figlia? Correre, arrampicarmi, giocare a nascondino, sono le cose che apprezzo quando torno a casa». Non bastasse questo, c’è un particolare che dice tutto sulla sua idea di normalità. «Guido il mio pick up vecchio di 12 anni perché mi piace molto, e non mi interessa cosa dicono gli altri. È chi sono io, da dove vengo. Sono solo una persona tremendamente fortunata».

Articolo pubblicato su D LaRepubblica il 29 ottobre 2016

© Riproduzione riservata

Kate Blanchett, «Non sono così cattiva»

27 venerdì Mar 2015

Posted by cristianaallievi in cinema

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Cate Blanchett, Cavaliere di coppe, Cenerentola, Cinderella, Cristiana Allievi, Elizabeth, favole, Kenneth Branagh, Oscar, Sandy Powell, Terrence Malick

L'attrice due volte premio Oscar Cate Blanchett (courtesy of alfemminile.com)

L’attrice due volte premio Oscar Cate Blanchett (courtesy of alfemminile.com)

In tanti anni di interviste non avevo mai incontrato una donna come Cate Blanchett. Anzi, una ci sarebbe, Meryl Streep, e quando è successo ho capito perché ogni volta che gira un film le danno un Oscar. Non è un caso, penso, se Blanchett viene definita “la Meryl Streep della sua generazione”. Un marito, tre figli, due statuette d’oro e una stella sulla Walk of Fame di Hollywood, la diva australiana, al cinema il 12 marzo nel ruolo di matrigna nel nuovo Cenerentola, diretto da Kenneth Branagh, è una forza della natura. E con gli anni è diventata più sicura di se stessa, decisamente più ironica. Quando, più di 15 anni fa, vinse l’Oscar per Elizabeth, quasi non pronunciò parola, sopraffatta dall’emozione. Ma quando l’anno scorso ha fatto il bis con Blue Jasmine, la prima frase che ha detto, salita sul palco, è stata: “Sedetevi tutti, siete troppo vecchi per stare in piedi”, facendo scoppiare la platea in una sonora risata. In una delle sue apparizioni allo show televisivo di David Letterman si è lanciata in una gag, inginocchiandosi appena lui l’ha invitata in studio. E alla prima mondiale diCenerentola a Berlino, città che adora e in cui passa lunghi periodi di vacanza con il marito sceneggiatore Andrew Upton, ha regalato al pubblico più di uno show. Per esempio sul red carpet lei, che è altissima, non ha sopportato i tacchi vertiginosi di Givenchy: si è tolta tutto, ha proseguito spedita a piedi nudi, per poi giocare infilandosi una sola scarpetta, proprio come farebbe Cenerentola. E come ha risposto a chi, forse per punzecchiarla, le ha chiesto perché la produzione Disney ha preferito Lily James a lei come protagonista del film? Con un semplice gesto, mimando un lifting, ovvero tirandosi il contorno del viso con il pollice e l’indice. Blanchett, che è diventata bravissima nello sfuggire ai giornalisti, è una delle attrici più trasformiste del momento. In autunno la vedremo in Cavaliere di Coppe, il prossimo film di Terrence Malick. Sarà la moglie di un Christian Bale schiavo di Hollywood e schiacciato dalla vacuità di quel mondo. Sommessa e silenziosa, interpreta una delle due donne che contano nella vita del protagonista. E il suo ruolo, quello di medico in un ambulatorio per poveri, sottolinea la concretezza del suo impegno nella vita, molto diversa da quella superficiale del marito. In Cenerentola, invece, l’attrice non ha niente di dimesso o sottotono: capelli rossi, piglio aggressivo, è una straordinaria Lady Tremaine, versione aggiornata della matrigna della celebre favola. Il look di Blanchett (e di tutto il cast) lascia senza fiato e ne amplifica la bravura. Appena lei entra in scena, se la prende tutta. Quando incontro Cate per questa intervista è tornata bionda, indossa una camicia bianca e ampi pantaloni palazzo neri. Mi sembra ancora più alta di come la ricordavo.

Lei è perfetta in versione crudele. Come è riuscita ad apparire così naturale?
«Osservo tutto quello che mi circonda sul set, guardo come è stato costruito. Sono dettagli fondamentali per mettere a fuoco il mio personaggio. All’inizio delle riprese mi sono detta: “Se qui sono tutti così bravi, sarà il caso che mi dia una mossa” . Parlo molto anche con gli altri attori. Dalle conversazioni, anche quelle apparentemente banali, mi arriva molto. Se facessi delle prove da sola in bagno davanti allo specchio non riuscirei a raggiungere gli stessi risultati».

Quando era bambina le raccontavano le favole? «I miei genitori ogni domenica sera ci facevano guardare in televisione i cartoni animati della Disney, ma Cenerentola non è tra i personaggi che ricordo. Incarnava un modello femminile un po’ vittimistico che non piaceva a mamma e papà. Per questo ho apprezzato come Lily James ha affrontato questo ruolo, dandogli una nuova dignità. Mentre Kenneth Branagh, con la sua regia, ha scavato nella psicologia dei personaggi, rendendoli molto attuali».

La vestaglia di leopardo che indossa Lady Tremaine è destinata a diventare un abito icona. «Nasce da un’idea di Sandy Powell, costumista geniale candidata nove volte agli Oscar. Ma soprattutto è uno di quei vestiti ai quali una donna difficilmente sa resistere. Per ispirarci io e Sandy abbiamo passato in rassegna i look di attrici leggendarie come Marlene Dietrich, Joan Crawford e Barbara Stanwyck, donne che ammiro ancora oggi e che hanno nel dna il senso del mistero».

Cate Blanchett nei panni di  Lady Tremaine, nella nuova Cenerentola di Kenneth Branagh (courtesy of turntherightcorner.com)

Cate Blanchett nei panni di Lady Tremaine, nella nuova Cenerentola di Kenneth Branagh (courtesy of turntherightcorner.com)

Perché le favole classiche piacciono tanto a Hollywood? «Toccano temi molto complessi e affrontano risvolti psicologici complicati. Infatti i miei tre figli maschi si sono addormentati con La bella e la Bestia, Cenerentola e Biancaneve».

Sono storie diverse da quelle che si raccontano ai bambini di oggi?
«Ho la sensazione che ultimamente si tenti di far sentire i bambini degli eroi con superpoteri, evitando temi come la tristezza e dipingendo il mondo come un posto perfetto. Sono orgogliosa di fare parte di un film che lancia un altro tipo di messaggio, cioè che la gentilezza è il vero superpotere che conta. E non è tutto. Come ci raccontano le favole di una volta, il mondo può essere un posto tremendo. Ci vuole coraggio per vivere, per cadere e sapersi rialzare».

Il tema del dolore è centrale negli ultimi due film che ha interpretato.  
«Nel caso di Cavaliere di Coppe è il filo conduttore di tutta la storia. Mentre in Cenerentola serve a nobilitare i personaggi, svela quello che la storia classica non ci aveva raccontato. La matrigna è una vedova con due figlie. La sua grande paura sono l’amore e l’affetto che il nuovo marito prova verso la figlia, bella e gentile come lei, purtroppo, non potrà più essere».

Ci sta dicendo che non esistono persone semplicemente cattive?
«Proprio così. C’è sempre una motivazione dietro le quinte. Trovo molto interessante mettere a confronto una ragazza dall’animo splendido con una donna che diventa brutta e perversa. Mi interessava capire che cosa può trasformare una persona. La gelosia e la paura di diventare poveri o di essere abbandonati diventano armi letali».

La gelosia, un altro tema che lei ha incarnato più di una volta. Che idea se n’è fatta? «Dobbiamo capire qual è la radice di questi sentimenti, altrimenti il rischio è di diventare persone spregevoli. Spesso tra donne facciamo troppi confronti e, peggio ancora, proiettiamo la nostra infelicità sulle altre».

Com’è stato lavorare con il regista Terrence Malick in Cavaliere di Coppe?
«È come vivere in un altro mondo. Terrence sa sempre in ogni momento che cosa vuole e che cosa  sta cercando. Ma tiene gli attori all’oscuro di tutto, non ti lascia nemmeno una riga di testo a cui appigliarti, vuole vedere come ti muovi in ogni momento. Il set per lui è improvvisazione allo stato puro. Però è un regista molto stimolante. Anche se è all’opposto di Woody Allen, che ti dà in mano un copione perfetto e che rende tutto infinitamente più facile».

Sa che esistono solo 19 donne che hanno vinto più di un Oscar?
«È vero. Ma mi sta chiedendo se mi incontro a pranzo con le altre per raccontarcelo?».

E allora mi dica qual è la prima domanda stupida che le ha mai fatto un giornalista. «È successo durante un’intervista per Elizabeth. Una sua collega mi ha chiesto: “Nel film lei si muove in modo lentissimo, mentre oggi è entrata nella stanza correndo. Ha trovato difficile rallentare?”».

Oddio, e che cosa ha risposto? «È stato in quel momento che ho iniziato a respirare profondamente prima di rispondere, sempre educatamente, a molte altre domande così».

Quando ci lasciamo ho una certezza in più. Cate scherza moltissimo, ma è molto attenta. Se chi ha davanti è assente o superficiale, lei si chiude a riccio, parla ma non si rivela. Ma se l’interlocutore è interessato e presente, lei è generosa. E pronta a farti ridere fuori programma.

11 marzo 2015 su Grazia

© Riproduzione riservata

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