L’attore Alessio Vassallo, per la seconda volta in un film tratto da un romanzo storico di Andrea Camilleri (courtesy Man in town) .
Lo abbiamo già visto in molte serie tv (I Borgia e I Medici, fra le altre) e anche in film molto riusciti, come Viola di mare, L’ultimo re e Taranta on the road. Prima ancora, negli spot pubblicitari. Dal23 marzo su Rai 1 Vassallo sarà il protagonista di La concessione del telefono, terzo romanzo storico di Camilleri a diventare film, diretto dal regista toscano Roan Johnson e da lui sceneggiato insieme a Camilleri stesso. Una storia ben articolata e ben interpretata (ci sono anche Fabrizio Bentivoglio, Thomas Trabacchi e Corrado Guzzanti), che racconta di Pippo Genuardi (Vassallo stesso), un commerciante di legnami dell’Ottocento che vuole mettere una linea telefonica privata in casa, e per questo scrive tre lettere a un prefetto. Da lì in avanti gli succederò di tutto, verrà accusato di cose mai fatte e dovrà uscire da strani paradossi.
Con l’attore Dane DeHaan durante l’intervista per GQ Italia.
Ricordo la prima volta che l’ho notato. Era biondo, conturbante e seduceva Allen Ginsberg. Con queste immagini, dal Sundance di un freddo gennaio di sette anni fa, il suo nome ha fatto il giro del mondo grazie a Giovani ribelli, Kill your darlings. In realtà si era già capito di che stoffa era fatto in altri due film, rispettivamente accanto a Ryan Gosling e a Colin Firth. Ma nella storia dei poeti della Beat generation qualcosa, nei suoi occhi, era diverso, e mi è rimasto impresso. Ovvio che da lì in avanti non l’ho più perso di vista. Intervistarlo per la serie originale di Sky, ZeroZeroZero, è stato un onore e mi ha fatto capire cosa lo rende unico. È strano a dirsi, perché in un’intervista non sai che domande ti faranno, eppure lui è arrivato molto preparato, focalizzato, calmo. Le sorprese? Sentirlo citare la Bhagavad Gita, parlare dei Millennials e riflettere su cosa significa “essere presenti”, soprattutto vederlo concedersi fino all’ultimo momento. Il risultato è un’intervista profonda e per certi versi inaspettata, in cui il 34 enne Dane ci trasporta oltre lo schermo e ci fa capire di che sostanza è fatta la sua anima. E di conseguenza la sua bravura sullo schermo.
Dane DeHaan mentre mi racconta le sue passioni, artistiche e non.
L’intervista integrale è sul numero di GQ Marzo 2020, puoi leggerne una parte qui
DOPO IL SUCCESSO COME ATTRICE, LA BAETENS HA INCISO UN DISCO. POI È TORNATA SUI SET. E ORA PENSA ALLA REGIA…
di Cristiana Allievi
Veerle Baetens, 42 anni, da Alabama Monroe a Doppio Sospetto, (in sala).
I più l’hanno scoperta nella versione tatuatrice e l’hanno amata per il suo lasciarsi andare innamorandosi di un musicista di bluegrass. Le cose poi sono andate male. I due hanno perso un figlio, e a poco a poco il loro amore si è sgretolato. Succedeva in Alabama Monroe, di cui era la protagonista. Dopo quel successo Veerle Baetens ha inciso un disco ed è andata in tour. Ha persino fondato un gruppo, Dallas, con una sua amica. «Era il mio più grande sogno, ma realizzandolo ho capito che non faceva per me. Recitare è un modo di nascondersi dietro i personaggi, di scavare nelle altre menti e psicologie. Fare musica ed essere in scena è invece un essere molto vicino a me stessa. Quando ero sul palco a cantare andava tutto bene, il dopo anche. Ma fra un concerto e l’altro per me era l’inferno», racconta Veerle Baetens, 42 anni, belga, mamma insegnante d’asilo e papà insegnante alla scuola secondaria. «Sento di avere musica dentro di me, ma non capsico cosa devo farci, mentre di fronte a una storia, so cosa manca o meno». Infatti dopo aver smesso con la musica è andata a lavorare anche in Francia, ha iniziato a scrivere, prima una serie tv, Tabula rasa, in cui recita se stessa, poi un film tutto suo. In questi giorni è al cinema con Doppio sospetto, thriller psicologico di Oliver Masset-Depasse che ha vinto 9 Magritte, gli Oscar del Belgio, di cui uno è andato a lei come miglior attrice. La storia è quella di Alice e Céline, vicine di casa negli anni Sessanta e amiche. Finchè il figlio di Celine non vola dalla finestra, sotto gli occhi impotenti di Alice. Da lì in poi il dolore insopportabile incrina l’amicizia fra le due, e in una tipica narrativa con struttura a spirale, si scende agli inferi con tanto di finale raggelante. «L’aspetto più impegnativo del film è stato che è in francese ed è pieno di dialoghi. Quando devi incarnare emozioni come la paura, ma specialmente la rabbia, hai la naturale tendenza a improvvisare, e farlo in una lingua che non è la tua è difficile. Come lo è stato recitare la paranoia senza esagerare, mantenendo un buon equilibrio».
(continua…)
Intervista integrale uscita su D La Repubblica del 29 febbraio 2020