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30 seconds to Mars, Blade Runner 2049, Denzel Washington, Fino all'ultimo indizio, House of Gucci, interviste illuminanti, Jared Leto, Rami Malek, Warner Bros, WeCrashed
HA VISSUTO PER GIORNI ISOLATO DAL MONDO. UNA VOLTA TORNATO JARED LETO HA SCOPERTO UN ALTRO TALENTO (OLTRE A QUELLO DI ATTOR EE MUSICISTA). BASTARE A SE STESSO
DI Cristiana Allievi

Vi è mai capitato di lasciare casa vostra per dodici giorni, ritirarvi in un luogo sperduto e tornare trovando un mondo che è andato per aria? A Jared Leto è successo e lo racconta con nonchalance. «Ho deciso di fare un ritiro di silenzio in un momento in cui in tutta l’America si contavano 126 casi: non si sapeva che eravamo all’inizio di una pandemia. Mi sono ritirato nel deserto, senza né internet né telefono. Quando sono tornato sono rimasto scioccato: il mondo era in uno stato di caos ed emergenza totali». Sembra la trama di uno dei suoi film, visto che ha sempre interpretato personaggi ai confini della realtà, psicopatici, disagiati, mutilati o sfigurati. E nel nuovo thriller anni Novanta che John Lee Hancock aveva scritto 30 anni fa e dimenticato in un cassetto, non è diverso. In Fino all’ultimo indizio un sergente di polizia (Rami Malek) chiede a un vicesceriffo (Denzel Washington) di sostenerlo con il proprio intuito nella caccia a un serial killer, interpretato da Leto (il film è già disponibile in digitale per l’acquisto e il noleggio premium: su Amazon Prime Video, Apple Tv, Sky Primafila e Infinity). Si fatica a riconoscerlo con gli occhi marroni e la camminata un po’ meccanica, nei panni di Sparma. «È un personaggio sarcastico e ironico, diverso dai serial killer canonici. Per me è addirittura adorabile», racconta. «Non ho fatto ricerche su figure specifiche di killer, c’è troppa ambiguità in quel campo. Ho preferito leggere trascrizioni dell’FBI, guardare documentari, leggere crime. E passare molto tempo a pensare alla personalità di Sparma, il mio è un lavoro in cui devi farti domande e trovare delle risposte». Piace, a Leto, parlare di outsider, persone che non si integrano nella società e per cui non esistono regole. E ammette che accettare un altro personaggio disturbato è stato un azzardo. «Mi sono spinto in zone abbastanza buie, durante la mia carriera, c’è stato un momento in cui mi sono detto “è il caso di non continuare a farlo”. Ma questa opportunità era impossibile da rifiutare, l’ho accettata mettendo una protesi ai denti e al naso, e lavorando moltissimo sulla fisicità». Il maglione che indossa dall’altra parte dello schermo, bianco con striature violette, sembra un retaggio della comunità hippie in cui è cresciuto con madre, padre adottivo e fratello. Nato in Louisiana, Leto ha viaggiato tutta l’infanzia e ha cambiato varie strade prima di fondare una band con il fratello Shannon, i 30 seconds to Mars, che ha un manager di alto profilo, lo stesso di The Eagles, Christina Aguilera e i Van Halen. Ha frequentato la scuola di arti visive a New York, poi L’accademia d’arte a Philadelphia e una scuola di recitazione a NY. Quindi è volato a Los Angeles per dedicarsi alla musica, con l’idea che il cinema sarebbe stata un’attività marginale per lui. Ma le cose sono andate diversamente, a partire da La sottile linea rossa di Terrence Malik. Subito dopo, grazie a Fight Club e American Psyco, ha preso il volo. Colossi come Blade Runner 2049, Dallas Buyers Club, che gli vale l’Oscar, e Mr. Nobody, fanno il resto. Anche se – parole sue – è stato il Joker di Suicide Squad il ruolo della sua vita: non è un caso che sia coinvolto in ben due progetti proprio in questa veste, essendo il primo attore a interpretare questo personaggio in più di un film.
(…continua)
Intervista integrale pubblicata su D La Repubblica del 10 aprile 2021
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