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Lily James, «Anche le brave ragazze sanno combattere»

29 venerdì Gen 2016

Posted by cristianaallievi in cinema

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Tag

BBC, Cenerentola, Cristiana Allievi, Downton Abbey, Elizabeth Bennet, Guerra e Pace, Jane Austen, Lily James, PPZ – Pride and Prejudice and Zombies, Sam Riley

È stata Cenerentola al cinema, sarà Giulietta in teatro e la vedremo principessa russa in tv: per Lily James il successo 
è un ruolo in costume. Anche ora che torna sul grande schermo con una versione horror del romanzo Orgoglio e pregiudizio, dove affronta gli zombie a colpi di spada e karate. «Perché», spiega a Grazia, «per difendere un grande amore bisogna diventare supereroi».

«Non rinuncerei mai alla mia spada per un anello». «Neanche per l’uomo giusto?». «L’uomo giusto non me lo chiederebbe mai…». Mentre la guardo in PPZ – Pride and Prejudice and Zombies (Orgoglio e pregiudizio e zombie) penso a quanta strada ha fatto Lily James, la ragazza che solo l’anno scorso ha conquistato il mondo come Cenerentola. Liquidato il principe azzurro, per questo nuovo ruolo è diventata maestra di arti marziali. Nella rivisitazione in chiave fantasy del più famoso capolavoro della scrittrice britannica Jane Austen, l’attrice è pronta a tutto per difendere la sua famiglia da una misteriosa epidemia che si è abbattuta sull’Inghilterra vittoriana, riempiendola di morti viventi. Nelle sale dal 4 febbraio, il film è tratto dal romanzo cult di Seth Grahame-Smith, che è piaciuto anche ai più fedeli ammiratori di Austen.

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Lily James in una scena di Orgoglio, pregiudizio e Zombie, rivisitazione in chiave fantasy del più famoso capolavoro della scrittrice Jane Austen  (courtesy of Cine-mania.it)

Quando incontro Lily James mi colpiscono i suoi modi, di una grazia straordinaria. Magra, non particolarmente alta, ma con un fisico flessuoso, valorizzato da un abito ricamato, quando ride ha il vezzo di chiudere quasi completamente gli occhi, mentre il suono della sua risata riempie la stanza. A lanciare la 26enne attrice inglese è stato il ruolo di Lady Rose MacClare nella pluripremiata serie tv Downton Abbey. Da quel momento, non ha fatto altro che infilarsi nel costume d’epoca di un’eroina femminile dopo l’altra. Prima Cenerentola, poi è stata la volta di Giulietta e Romeo, in palcoscenico, diretta da Kenneth Branagh, uno spettacolo che torna in cartellone a Londra, al Garrick Theatre, proprio quest’anno. Inoltre è la principessa Natasha Rostova nella nuova serie tv Guerra e pace, girata dalla Bbc, ora in onda in Gran Bretagna e molto attesa anche in Italia.

Nella versione gotica del capolavoro di Jane Austen lei è Elizabeth Bennet, una donna forte e risoluta, molto simile alle protagoniste di film come Hunger Games e Star Wars.
«Non conoscevo libro di Grahame-Smith, l’ho scoperto nel momento in cui mi hanno proposto il film, ma mi è bastato leggere la scena d’apertura per essere catturata dal personaggio. Ho continuato il romanzo e poi il copione anche mentre ero sul set di Downton Abbey. Tutti i miei colleghi erano furiosi per la trovata degli zombie, io invece la trovo geniale».

Chi sono questi zombie?  
«Sono esseri che mantengono una sorta di umanità grazie a un virus. Ma invece di vivere le loro vite nel classico stile dei morti viventi, si vedono in competizione con gli umani. Molti di loro fanno di tutto per nascondere la loro natura il più a lungo possibile. Un paio di personaggi di PPZ-Pride and Prejudice and Zombies si trasformeranno, ma non le dirò chi sono».

Ma che ne è dei classici temi e problemi proposti da Austen nel romanzo originale, come la differenza tra classi sociali, il denaro e il potere femminile?
«Il film enfatizza le dinamiche tra uomini e donne, le relazioni sociali e l’idea che l’uno per cento del Paese possa controllare tutto mentre il resto è in pericolo. E, naturalmente, ci sarà la storia d’amore tra Elizabeth e Darcy (interpretato dall’attore Sam Riley, ndr) a far felici gli ammiratori di Jane Austen».

Una storia d’amore tumultuosa che ha attraversato i secoli: il tenebroso Darcy è l’unico che riesce a tenere testa a una donna come Elizabeth.
«E sarà così anche in questa versione cinematografica. Anche se le loro sfide verbali diventano scontri fisici e sono davvero intensi perché entrambi sono combattenti molto dotati. Durante le riprese non mi sono fatta male, ma temo di averne fatto a Sam»

In che modo?  
«Nella scena in cui mi propone di sposarlo dovevo tirargli addosso un mucchio di libri. E lui ha dovuto schivarli. Non sempre con successo. Poi ci sono state le scene di combattimento con le spade che, nonostante fossero finte, facevano male. Durante le prove continuavo a ripetermi: “Non fargli un occhio nero”».

Si è allenata molto per il film?  
«Certo. E mi sono divertita a farlo, per Downton Abbey non avevo bisogno di essere atletica e confesso di essermi rilassata. È stato un toccasana dover tornare in forma, adesso sento che potrei combattere contro chiunque e uscirne vittoriosa».

E se le chiedessero di interpretare ancora una volta Lady Rose in Downton Abbey accetterebbe?
«Non mi tirerei mai indietro, quella serie è stata una parte fondamentale della mia carriera: senza non sarei diventata né Cenerentola né la Elizabeth di questo film».

Nessuno come lei ha indossato tanti costumi d’epoca in soli due anni: come li sente addosso?  
«Devi avere una postura diversa, stare in piedi in un certo modo, camminare con il peso molto centrato e respirare col diaframma. E poi i costumi sono molto pesanti, occorre una certa forza fisica per portarli».

Quanto ci vuole a indossarli?
«Più o meno 40 minuti, ogni volta».

La Bbc sta trasmettendo in queste settimane la nuova serie televisiva Guerra e pace. Poi lei tornerà in teatro a Londra come Giulietta. Le piacciono le ragazze romantiche?
«Molto. Amo l’amore e questi ruoli mi calzano a pennello. Abbiamo girato Guerra e pace tra la Russia e la Lituania, accanto a me c’è un grande Paul Dano. Natasha è forse il personaggio romantico più amato della letteratura, ha un cuore immenso e fa un grandioso viaggio nell’oscurità. Affrontare personaggi di questa portata mi ha cambiata come attrice, ma anche come donna».

Anche lei ha uno sguardo positivo sulla vita?  
«Cerco di averlo, non è semplice, ma credo che questo ci renda persone uniche, oserei dire quasi supereroi».

La sua è una professione dura e competitiva. Come affronta le difficoltà?  
«Osservando le colleghe più adulte e famose, ho capito che devi sempre essere concentrata anche se sei una star. Per esempio mi ha colpito vedere Cate Blanchett, la mia “matrigna” in Cenerentola, entrare in una stanza e imbattersi in un migliaio di fotografi che le urlavano addosso: l’ho vista a disagio, nonostante la sua esperienza. Questo per dire che con il successo le cose non si semplificano, ma quando ti trovi sul red carpet la ricompensa è così grande che dimentichi il resto».

La fama ha cambiato il suo modo di vivere?  
«Direi proprio di no, sono sempre la stessa. Certo viaggio moltissimo e, dopo la Russia, ho passato molto tempo negli Stati Uniti, per Pride and Prejudice and Zombies».

Come usa i social media?
«Posto solo foto su Instagram. E sono immagini molto professionali».

Le piace la moda?  
«Adesso sì, finalmente ho la chance di indossare abiti di grandi stilisti. Adoro Dior e le creazioni senza spalline di questo marchio. Amo anche Balenciaga e Gucci. Ed è stata una vera trasformazione per me: sono sempre stata un tipo da jeans e maglietta».

Sarà merito di Cenerentola: come l’ha cambiata questo personaggio che le ha dato tanto successo?  
«Ho adorato interpretarla, soprattutto perché mi sembra che il suo motto, “essere buoni è sexy”, dovrebbe diventare un trend. Oggi la generosità non è abbastanza valutata, ma trovo abbia una marcia in più».

Mi scusi, ma non è un’affermazione un po’ ingenua?
«Non credo proprio, trovo che l’innocenza che l’accompagna sia molto fresca».

Al cinema è più difficile recitare un personaggio buono o uno cattivo?  
«A volte credo sia più difficile recitare la parte di una buona, perché non hai l’occasione di scioccare, o di essere divertente, come accade ai personaggi più aggressivi. Ma mi piace avere grazia, è parte di me, quindi non so dirle che cosa sia più difficile, in realtà».

Una cattiva che interpreterebbe volentieri?  
«Penso a una donna senza filtri, una di quelle che dicono qualsiasi cosa passi loro per la testa. Mi calerei volentieri in una specie di schizofrenica. E, soprattutto, basta costumi d’epoca».

Vive sempre a Londra?  
«Sì e mi va bene così, anche se mi sposto molto per lavoro. Per carattere mi vedrei anche a New York, ma mai a Los Angeles. Mi sentirei troppo esposta».

I paparazzi non la disturbano, in Inghilterra?  
«In generale no, mi fotografano in ogni momento quando sono sul set o in promozione di un film. Altrimenti mi ignorano. E poi sono scusa di capelli, le mie colleghe bionde sono davvero perseguitate…».

Articolo pubblicato su Grazia del 26/1/2016

© Riproduzione riservata

 

 

Kate Winslet, «L’altra parte di me»

26 martedì Gen 2016

Posted by cristianaallievi in cinema, Senza categoria

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Apple, Cristiana Allievi, Joanna Hoffmann, Kate Winslet, Leonardo DiCaprio, Michael Fassbender, Mildred Pierce, Ned Rocknroll, Steve Jobs, The Dressmaker, The reader, Titanic

I PREMI VINTI E LE PRIME RUGHE. I FIGLI AVUTI DA TRE UOMINI DIVERSI E L’ULTIMO FILM ACCANTO AL SEX SYMBOL MICHAEL FASSBENDER. L’ATTRICE INGLESE PARLA A GRAZIA DELLA DONNA CHE È IN PUBBLICO E DI QUELLA CHE VUOLE TENERE PRIVATA. «PERCHÈ», DICE, « LONTANO DA TUTTO CHE HO TROVATO LA MIA FELICITA’».

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L’attrice Kate Winslet, 40 anni. Ha vinto un Oscar, tre Golden Globes, un Emmy e un Grammy, gli Oscar Usa per la musica (courtesy of Femina.cz)

«Quando mi guardo allo specchio noto rughe diverse. Non sono più quelle che avevo la mattina e che sparivano in due ore, adesso rimangono…». È il suo modo di raccontarmi che ha appena compiuto 40 anni, e che la cosa non la impensierisce. La metafora scelta da Esquire per definirla, “un pezzo di bacon inglese di qualità in un mare di scemenza hollywoodiana al silicone”, non sarà particolarmente chich, ma rende bene l’idea. Kate Winslet è uno dei più grandi talenti in circolazione. Un’attrice di sostanza che ha girato più di trenta film e ha vinto un Oscar, due Golden Globes, un Emmy e persino un Grammy (gli Oscar americani della musica). Ma è anche una donna con una vita reale altrettanto vissuta: si è sposata tre volte, con i registi Jim Threapleton e Sam Mendes, e con Ned Rocknroll, suo attuale marito, nipote del magnate della Virgin Records Richard Branson. Sono gli uomini da cui ha avuto i suoi tre figli, Mia, 14, Joe, 11, e Bear, poco più di un anno. Chi la conosce da vicino dice che Kate si sveglia tutte le mattine alle sei, nella casa in campagna fuori Londra, prepara la colazione per la famiglia e veste i bambini per andare a scuola. Ma il fatto che non affidi i suoi ragazzi a uno stuolo di babysitter è meno strabiliante di sentirla dire «il ruolo di Joanna Hoffman non mi è arrivato, sono andata a prendermelo». Stiamo parlando di Steve Jobs, candidato a 4 Golden Globs (uno è per la sua performance come attrice non protagonista) e nelle sale dal 21 gennaio prossimo: un film che Kate che ha voluto fortemente. Era in Australia a girare Dressmaker, in uscita il prossimo aprile, quando ha sentito da una make up designer che Danny Boyle stava per dirigere Fassbender in un film su Steve Jobs, il leggendario fondatore della Apple e papà dell’iPhone. Dopo vari tentativi di ottenere il copione, tutti falliti, scopre che c’è un ruolo femminile da interpretare, quello della ex direttrice del marketing della Macintosh. Chiede a suo marito di andare a comprarle una parrucca bruna, si toglie il trucco, indossa un paio di occhiali, si pettina nel modo più simile a Joanna e si fa una foto che spedisce via mail a Scott Rudin (il produttore del film), senza un oggetto. Rudin rimane colpito e la gira a Boyle, che non riconosce l’attrice: pochi giorni dopo Kate riceve il copione.

Che sensazione ha provato, con quella sceneggiatura finalmente in mano? «Riuscire a riceverla è stata un’esperienza disastrosa! Sono tecnofobica e assolutamente incapace di usare qualsiasi dispositivo tecnologico, ho avuto problemi a scaricarla sul computer! Ho dovuto mettere in caricare l’Ipad, che non uso mai, e poi scaricare un’applicazione apposita. A quel punto mi hanno aiutata tre tecnici sul set di Dressmaker, hanno avviato tutto e ho finalmente letto quelle benedette 185 pagine».

Perché teneva così tanto a questo film? «Per la sceneggiatura di Aaron Sorkin, per Michael Fassbender e per Danny Boyle. È stata senza dubbio una delle esperienze creative più gratificante che mi siano mai capitate».

Per quale ragione? «Per come Boyle ci ha fatti lavorare. La storia si concentra su tre presentazioni clou dell’attività di Jobs: il Macintosh, nel 1984, il NeXT Cube, nel 1988 e l’iMac nel 1998. E c’è un doppio filone, da una parte il pubblico, che attende Jobs come fosse una rockstar, dall’altra il backstage degli eventi, che rivela un uomo attraverso le sue relazioni con gli altri».

Ho letto che l’idea di lavorare con Fassbender, che interpreta Jobs, è stata la vera molla per lei. «Lo ammiro moltissimo per i rischi che si prende, abbiamo la stessa attitudine verso la recitazione. Non ho mai visto un attore che si comporta in modo così professionale, era così preparato, sul pezzo al 100 per 100, ha alzato l’asticella per tutti noi».

Ha incontrato di persona Joanna Hoffman, l’unica donna che Jobs ascoltasse? «Ci siamo viste e ho cercato di catturare i suoi aspetti più peculiari, ma poi mi hanno lasciata libera di recitare un personaggio. Joanna è una ragazza polacco armena che si trasferisce negli Usa da teenager, diventa un’archeologa esperta e si ritrova a lavorare per la Apple. Steve fa di lei il capo del marketing di Macintosh, per 14 anni diventa la sua “moglie lavorativa”, la confidente, li lega un’amicizia molto profonda».

Joanna vede un lato di Jobs che non ci si aspetta… «Io sono il canale attraverso cui gli spettatori possono captare la sua parte più morbida e umana, mi sono sentita molto responsabile per questo. Ho capito che Jobs aveva degli estremi, era una sfida totale ma aveva anche la capacità di ascoltare, almeno Joanna, e di riflettere sul proprio modo di fare».

Ricorda il giorno in cui ha acquistato il suo primo computer? «Non ne ho ancora comprato uno. Ho ricevuto il mio Ipad in regalo dai produttori di Mildred Pierce (la serie della HBO per cui ha vinto un Emmy, ndr). In compenso ricordo tutto sull’evoluzione dei cellulari (ride, ndr)».

In quel campo è più preparata? «Da due anni ho un Iphone, e prima possedevo un Blackberry. Ma ricordo ancora il mio mitico cellulare di quando avevo vent’anni. Era giallo e nero, grande più o meno come un mattone: faceva simpatia».

Sullo schermo le tocca la parte di una workaholic, lo è anche nella vita? «Non potrei mai lavorare come i ragazzi di Macintosh, che vivevano in ufficio, si riposavano su un divano e bevevano caffè per ricominciare! Non potrei nemmeno lavorare quanto lavora Fassbender (ride, ndr), sono meravigliata che stia ancora in piedi e che sorrida! Posso reggere in questo modo solo facendo un film all’anno, che occupa al massimo cinque mesi del mio tempo, anche se ammetto che ultimamente il ritmo è aumentato».

È vero che in questi anni si è allontanata a lungo dai suoi figli solo due volte? «Ho sempre viaggiato con la famiglia dietro, e pianificato i miei lavori in base alla scuola dei ragazzi. Sono speciali, sono creature felici di essere come sono, e questo è il massimo che una madre può sperare per suo figlio. Non so dirle perché, ma nella mia vita personale non sono mai stata così felice».

Quello con Ned Rocknroll è il suo terzo matrimonio. «Nessuno in realtà lo conosce, cosa che mi va a genio, come il fatto che non sia uscita una riga sui giornali sul motivo per cui sono finiti i miei matrimoni precedenti. Alla gente piace giudicare solo perché sente un nome, ma nessuno in realtà sa niente».

Dicevamo di Ned, che marito è? «Mi supporta moltissimo. Sono andata a incontrare Boyle dall’altra parte dell’Australia, mentre ero sul set di Dressmaker. Dopo il colloquio mi ha detto “Ci vediamo il 9 gennaio a San Francisco per le prove”. Era il 16 dicembre e avevo tutt’altri piani per Natale. Sono tornata da mio marito, gli ho raccontato tutto incluso che non sapevo come fare. “Semplice”, mi ha risposto lui, “il 9 sarai su quel set”, ed è il motivo per cui è mio marito».

Oggi come vede Titanic, film del 1997 che per più di un decennio è stato ineguagliabile a livello di incassi e che la ha dato una nomination all’OScar? «È stato il lavoro che ha avuto il maggior impatto sulla direzione della mia carriera, mi ha aperto moltissime strade. Ma non mi ha reso ricca, come credono in molti: avevo 19 anni, nessuno sapeva chi fossi».

 Si sente diversa oggi? «Non credo di essere cambiata molto come persona, mentre lo sono molto come attrice. Il bello del mio lavoro è che a ogni film non sai cosa ti succederà, per Steve Jobs mi svegliavo alle 3 del mattino, camminavo nella notte per andare a girare all’Opera House di San Francisco, e stavo benissimo».

Potrebbe vivere senza lavorare? «Sì ma non per molto, perché amo quello che faccio e più invecchio più scopro che mi piace. Compiendo 40 anni mi sono accorta all’improvviso di essere una di quelle persone che è in giro da tanto tempo. Sono passati 23 anni da Heavenly Creatures, recito da più di metà della mia vita e ne sono orgogliosa. Ho una carriera davvero solida, e so che è inusuale».

 Vincere l’Oscar per The reader è stata la sua gioia più grande? «È stato il momento più glorioso, trionfante, intenso della mia vita. È il premio più importante che ci sia, l’ho vinto e mi sono sentita come mai mi era capitato prima».

Eppure chi la conosce bene giura che lei non corrisponde allo stereotipo della star del cinema. «Semplicemente non vivo così, e la mia vita reale è davvero reale, continuo a ripeterlo perché è vero. Non sono famosa fino a quando non mi ritrovo su un red carpet, o a fare una pubblicità: lì divento una star, all’improvviso».

Tiene molto a che la sua vita privata resti tale, ma davanti alla macchina da presa è disinibita, si è spogliata in ben 12 film. Ha un rapporto sereno con il suo corpo? «Non ho mai usato controfigure, ma non penso che potrò andare avanti così a lungo, dopo tre figli. A 20 anni guardavo il mio corpo in modo poco sano, come tutte le adolescenti. Poi è cresciuta la consapevolezza di doverlo mantenere in forma, e oggi lo vedo come uno strumento che devo preservare in buono stato, perché ho tre ragazzi che hanno bisogno di me».

Cover story di Grazia, n. 4 del 20/1/2016

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

 

 

 

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