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Cristiana Allievi

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Adele Exarchopoulos, «Sto cercando il mio posto nel mondo».

27 mercoledì Apr 2022

Posted by cristianaallievi in arte, Attulità, cinema, Cultura, giornalismo

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Adele Exarchopoulos, cinema red carpret, donne, Generazione Low cost, giovani, interviste illuminanti, lavoro, madri, precariato, Star

Quando La vita di Adele l’ha rivelata al mondo, ADÈLE EXARCHOPOULOS era una ragazzina dal talento istintivo. Oggi, nove anni dopo, è un’attrice consapevole e contesa, una mamma organizzata, un’amica vera. Eppure, le manca ancora qualcosa

di Cristiana Allievi

L’attrice francese Adele Exarchopoulos, 28 anni, diventata una star internazionale con La vita di Adele.

«Sto cercando il mio posto nel mondo». Forse, non ti aspetti queste parole da un’attrice che pare avere le idee chiare da tempo: a 13 anni esordisce al cinema diretta da Jane Birkin, a 20 vince la Palma d’oro come protagonista – insieme a Léa Seydoux – de La vita di Adele di Abdellatif Kechiche e oggi, 28enne, ha una lista di film in uscita degna di una diva navigata. Di sicuro, Adèle Exarchopoulos, grandi occhi neri alla Maria Callas che tradiscono le origini greche da parte del nonno e capelli raccolti in uno chignon alto, è cresciuta in fretta. Come il personaggio che interpreta in Generazione Low Cost di Julie Lecoustre ed Emmanuel Marre. Cassandra è assistente di volo in una compagnia low budget; disperatamente sola, ha una vita sregolata, ama divertirsi e si nasconde dietro il profilo Tinder Carpe Diem; il suo vago sogno è passare a Emirates. Una mattina arriva tardi al la- voro e resta bloccata per la prima volta nella stessa città per qualche giorno, il che la costringe a fare i conti con il vuoto della sua esistenza e un lutto importante.

Che cosa accomuna i ruoli che sceglie?

«Si tratta in genere di donne indipendenti che commettono errori. L’umanità è imperfetta, e io non amo i luoghi comuni».

Lei ha conquistato rapidamente traguardi e premi notevoli. «Continuo a vivere situazioni che nemmeno immaginavo possibili».

Quanto ha dovuto lottare?

«Il lavoro è arrivato all’improvviso e per caso, in un mo- mento in cui avevo paura di lasciare la scuola, che non era esattamente il mio forte. Ho conosciuto la delusione di es- sere rifiutata ai casting e di essere considerata una seconda scelta. Tutti hanno le loro battaglie da combattere, crescere significa scegliere per quali spendere le proprie energie».

Crescere significa anche trovare il proprio posto nel mondo. Diceva che lo sta ancora inseguendo…

«Ho iniziato a recitare molto presto, a 17 anni vivevo già da sola e a 23 ho avuto Ismaël (dal rapper Morgan Frémont, in arte Doums, ndr) mentre gli amici andavano alle feste a ubria- carsi fino all’alba. A prescindere dai traguardi, ho spesso do- vuto cercare il mio spazio e il senso di ciò che facevo, perché non era adeguato né alla mia età né alla mia generazione».

Si è sentita più grande, più adulta?

«Nelle scelte, ma non nella testa, tanto che non ho mai vis- suto un momento in cui le percepissi coerenti all’ambiente in cui stavo».

(continua….)

Intervista pubblicata su Vanity Fair del 13 aprile 2022

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Sharon Confidential

15 lunedì Nov 2021

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Basic Instinct, biografia, D La repubblica, Hollywwod, interviste illuminanti, malattia, Sharon Stone, vita, ZFF

Premiata con il Golden Icon Award al Festival di Zurigo, la star americana Ms. Stone si racconta. Un’infanzia difficile, problemi di salute, gli abusi, un divorzio. Il segreto del suo successo? Proprio i fallimenti, che «diventano il fondamento delle nostre grandi riuscite». E un padre che le ha detto dall’inizio: «Devi imparare a vincere, vincere, vincere!»

di Cristiana Allievi

  • L’attrice e produttrice americana Sharon Stone, 63 anni, appena premiata con il Golden Icon Award al Festival di Zurigo.

È bellissima, e molto magra. Ha tagliato i capelli biondi, passando dal caschetto al corto più deciso, una mossa vincente. Il lamè del tailleur che indossa rafforza la luce che emana il viso. Eppure Sharon Stone vuole dare a chi la incontra la versione migliore di sé, al di là dell’aspetto fisico. «Sono molto timida, e ogni giorno dico sempre la stessa preghiera. Chiedo di essere usata per fare il bene migliore al maggior numero di persone possibile, e di essere guidata nel mio scopo del giorno. E poi permetto a me stessa di essere completamente presente». È quando apre bocca, infatti, che la Catherine Tremell di Basic Instinct da il meglio di sé. 63 anni, nei primi 40 ha conosciuto il successo che ti toglie la libertà. Quella di andare al supermercato, di farti un weekend al mare o semplicemente due passi con le amiche. Un prezzo impegnativo da pagare anche per una ragazza cresciuta in Pennsylvania con una madre cameriera e un padre che dopo un’esplosione ha perso tutto (nel business del petrolio). Ma per Sharon Stone, la “donna che piange a comando”, come ha detto di lei un regista per descriverne le doti, il successo è stata solo una delle tante cose da attraversare. La più radicale è avvenuta dopo un’emorragia cerebrale che ha messo a tappeto matrimonio, carriera ed economia. «Il mio cervello ha sanguinato per nove giorni, poi ho avuto un ictus. Avevo poche possibilità di sopravvivere, un figlio di un anno e un matrimonio per nulla meraviglioso». Solo che invece di chiamarlo disastro, lei lo definisce un “risveglio”.  «È stato difficilissimo. I miei genitori sono venuti a stare con me, mio padre mi ha molto aiutata. All’epoca non c’erano cure per l’ictus e avevo molti strascichi, distorsioni visive, problemi a camminare, dall’orecchio sinistro non sentivo quasi più nulla, la gamba sinistra era irriconoscibile a livello di sensibilità. Poi il mio amico Quincy Jones mi ha invitata a cena durante le vacanze di Natale. Era guarito da molti problemi grazie a un medico,  il dottor Hart Cohen, e voleva che lo incontrassi anch’io (è quello che ha guarito anche la leggenda del country Glen Campbell, ndr).  Quando non pensavo più che sarei riuscita a tornare a lavorare, ha fatto la diagnosi giusta». E delle 16 medicine che prendeva ogni giorno, le ha dato l’unica che le sarebbe servita. «È stata una disintossicazione dura, mia madre mi ha assistita in questo difficile processo». Il periodo di convalescenza è coinciso con un divorzio (da Phil Bronstein), e con l’arrivo di altri figli. Dopo il primo (Roan Joseph, adottato insieme a Bronstein) ha adottato Laird Vonne. E poco dopo è arrivata la terza, Quinn Kelly, dopo una chiamata che la informava del fatto che era la sorella di Laird Vonne. «All’improvviso avevo tre figli, che oggi hanno 15, 16 e 21 anni». No molto tempo dopo il divorzio, la Stone ha avuto anche un infarto. «E stata un’esperienza forte, che non ha voluto vivere invano. Non avrei fatto un buon lavoro se non mi fossi chiesta quale fosse il senso di quello che mi era successo. Ho sentito di avere finalmente un’opportunità,  affermare ciò che contava davvero per me.  Ed è quello che sta accadendo più in generale a noi donne: non solo è ok dire cosa non ci va più bene, ma è ok anche smettere di farci manipolare». Il festival di Zurigo le ha appena assegnato il  riconoscimento più importante, il Golden Icon Award, e la sua empatia ha scorrere lacrime in platea, per esempio mentre parlava di successo. «Non esiste successo senza fallimento, e non possiamo crescere senza provare cose nuove, che implicheranno a loro volta degli sbagli.  Ma è così che impariamo, che facciamo esperienze anche molto sottili, che poi diventano l’essenza del nostro successo. I fallimenti, in molti casi, diventano il fondamento delle nostre grandi riuscite».

(continua…)

Intervista integrale pubblicata su D La Repubblica del 13 Novembre 2021

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Paolo Fresu, la passione indomita del raccontarsi e di scoprire talenti

21 giovedì Ott 2021

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Il sole 24 Ore, interviste illuminanti, JazzMi, Paolo Fresu, Tango Macondo, Tuk music

di Cristiana Allievi

Il trombettista e flicornista Paolo Fresu ha tre appuntamenti nella rassegna JazzMi, fra il 23 e il 24 ottobre (foto di Fabiana Laurenzi).

Una mostra con sessanta copertine realizzate da illustratori da tutto il mondo. Un film che racconta l’articolata filiera della produzione musicale indipendente. Un concerto che accosta note e prospettive dei nomi più interessanti del panorama musicale nazionale del momento.

Così la rassegna JazzMi rende omaggio a Paolo Fresu e ai 10 anni della sua Tuk Music. Che non è solo una casa discografica ma un marchio di qualità del jazz italiano e internazionale e visione artistica declinata in diversi settori.

(continua…)

Intervista pubblicata su Il Sole 24 Ore

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Francois Ozon: «Negli anni ’80 eravamo più innocenti»

04 venerdì Giu 2021

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Aidan Chambers, Anni Ottanta, Cannes 2021, Estate 85, Everything went fine, Francois Ozon, Il sole 24 Ore, Il tempo delle mele, interviste illuminanti

Il regista in sala con “Estate 85” al prossimo festival di Cannes sarà in Concorso con “Everything went fine”

di Cristiana Allievi

Benjamin Voisin, Félix Lefebvre Estate ’85 (©2020_M…PE PICTURES)

Al prossimo festival di Cannes sarà in Concorso con “Everything went fine”, dal lui scritto e diretto e basato sull’omonimo romanzo di Emmanuèle Bernheim. Mentre aspettiamo di vedere quel racconto di una figlia che si ritrova davanti alla richiesta del padre di aiutarlo a porre fine alla propria vita, oggi esce nelle sale un’altra opera scritta e diretta dal cineasta francese Francois Ozon, “Estate 85”. Quello che avrebbe voluto fosse il suo primo film, e che invece è diventato il diciannovesimo.

Da sempre attento alla sessualità, a 17 anni Ozon si è invaghito del romanzo “Danza sulla mia tomba”, di Aidan Chambers, storia (per molti versi autobiografica) fra due adolescenti dello stesso sesso. Una storia che finisce male, e si capisce dalla prime scene. Siamo negli anni Ottanta in Normandia e Alexis (Félix Lefebvre) fa un giro su una barchetta a vela. Ma scuffia, e viene raccolto in acqua da David (Benjamin Voisin), che lo riporta a terra e non lo lascia più andare. La distanza sociale fra i due è chiara, eppure insieme stanno bene, tanto che Alexis rinuncia alle aspirazioni da scrittore e sceglie di lavorare per l’amico e la di lui madre (Valeria Bruni Tedeschi).

Scoppia una passione incontenibile, finché arriva Kate (Philippine Velge) a sparigliare le carte. La scrittura avrà la funzione di far uscire uno dei due ragazzi da un grosso trauma. Il film è nelle sale da oggi distribuito da Academy two, ed è marcato Cannes 2020.

A raccontare questa immersione nell’amore e negli anni Ottanta è il regista stesso.

(continua…)

L’intervista a Francois Ozon per Il Sole 24 Ore

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Into the Leto (Jared)

16 venerdì Apr 2021

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30 seconds to Mars, Blade Runner 2049, Denzel Washington, Fino all'ultimo indizio, House of Gucci, interviste illuminanti, Jared Leto, Rami Malek, Warner Bros, WeCrashed

HA VISSUTO PER GIORNI ISOLATO DAL MONDO. UNA VOLTA TORNATO JARED LETO HA SCOPERTO UN ALTRO TALENTO (OLTRE A QUELLO DI ATTOR EE MUSICISTA). BASTARE A SE STESSO

DI Cristiana Allievi

L’attore e musicista Jared Leto è protagonista del film Fino all’ultimo indizio (Amazon Prime video), poi lo vedremo in WeCrashed e House of Gucci.

Vi è mai capitato di lasciare casa vostra per dodici giorni, ritirarvi in un luogo sperduto e tornare trovando un mondo che è andato per aria? A Jared Leto è successo e lo racconta con nonchalance. «Ho deciso di fare un ritiro di silenzio in un momento in cui in tutta l’America si contavano 126 casi: non si sapeva che eravamo all’inizio di una pandemia. Mi sono ritirato nel deserto, senza né internet né telefono. Quando sono tornato sono rimasto scioccato: il mondo era in uno stato di caos ed emergenza totali». Sembra la trama di uno dei suoi film, visto che ha sempre interpretato personaggi ai confini della realtà, psicopatici, disagiati, mutilati o sfigurati. E nel nuovo thriller anni Novanta che John Lee Hancock aveva scritto 30 anni fa e dimenticato in un cassetto, non è diverso. In Fino all’ultimo indizio un sergente di polizia (Rami Malek)  chiede a un vicesceriffo (Denzel Washington) di sostenerlo con il proprio intuito nella caccia a un serial killer, interpretato da Leto (il film è già disponibile in digitale per l’acquisto e il noleggio premium: su Amazon Prime Video, Apple Tv, Sky Primafila e Infinity). Si fatica a riconoscerlo con gli occhi marroni e la camminata un po’ meccanica, nei panni di Sparma. «È un personaggio sarcastico e ironico, diverso dai serial killer canonici. Per me è addirittura adorabile», racconta. «Non ho fatto ricerche su figure specifiche di killer, c’è troppa ambiguità in quel campo. Ho preferito leggere trascrizioni dell’FBI,  guardare documentari, leggere crime. E passare molto tempo a pensare alla personalità di Sparma, il mio è un lavoro in cui devi farti domande e trovare delle risposte». Piace, a Leto, parlare di outsider, persone che non si integrano nella società e per cui  non esistono regole. E ammette che accettare un altro personaggio disturbato è stato un azzardo. «Mi sono spinto in zone abbastanza buie, durante la mia carriera, c’è stato un momento in cui mi sono detto “è il caso di non continuare a farlo”. Ma questa opportunità era impossibile da rifiutare, l’ho accettata mettendo una protesi ai denti e al naso, e lavorando moltissimo sulla fisicità». Il maglione che indossa dall’altra parte dello schermo, bianco con striature violette, sembra un retaggio della comunità hippie in cui è cresciuto con madre, padre adottivo e fratello. Nato in Louisiana, Leto ha viaggiato tutta l’infanzia e ha cambiato varie strade prima di fondare una band con il fratello Shannon, i 30 seconds to Mars, che ha un manager di alto profilo, lo stesso di The Eagles, Christina Aguilera e i Van Halen. Ha frequentato la scuola di arti visive a New York, poi L’accademia d’arte a Philadelphia e una scuola di recitazione a NY. Quindi è volato a Los Angeles per dedicarsi alla musica, con l’idea che il cinema sarebbe stata un’attività marginale per lui. Ma le cose sono andate diversamente, a partire da La sottile linea rossa di Terrence Malik. Subito dopo, grazie a Fight Club e American Psyco, ha preso il volo. Colossi come Blade Runner 2049, Dallas Buyers Club, che gli vale l’Oscar, e Mr. Nobody, fanno il resto. Anche se – parole sue – è stato il Joker di Suicide Squad il ruolo della sua vita: non è un caso che sia coinvolto in ben due progetti proprio in questa veste, essendo il primo attore a interpretare questo personaggio in più di un film.

(…continua)

Intervista integrale pubblicata su D La Repubblica del 10 aprile 2021

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Paola Cortellesi, «Siamo tutte figlie di Nilde Iotti»

01 lunedì Mar 2021

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Come un gatto in tangenziale, Grazia, interviste illuminanti, Iwonderfull, La befana vien di notte, La reggitora, Leonilde, Nilde Iotti, Paola Cortellesi, Peter Marcias, Riccardo Milani, Sky

In tv legge le lettere e i pensieri della prima presidentessa della Camera, la pioniera di tante battaglie femministe. «L’ho sempre ammirata» , racconta a Grazia l’attrice, «perchè grazie a lei la politica non ha più potuto ignorare le donne»

di Cristiana Allievi

  • L’attrice e sceneggiatrice Paola Cortellesi, 47 anni, sul set di Nilde Iotti, il tempo delle donne (foto di Francesca Cavicchioli)

Paola Cortellesi ha usato bene questa pandemia. Ha appreso cose nuove di sè. Ha rivoluzionato le sue abitudini. Ha superato i propri limiti. Me lo racconta in questa chiaccherata in cui sembra che la primavera, intesa non solo come stagione,  si affacci alla finestra.   «Ci stiamo allenando a vivere le alternative nel quotidiano, a pensare con un’altra testa. La prima volta il lockdown ci aveva presi alla sprovvista, adesso ci stiamo abituando al fatto che non si può programmare troppo», racconta con tono pacato, «e a tratti si può anche essere meno produttivi. Io ho imparato ad amare la calma, e ora voglio conservarla». È questa la promessa che fa a se stessa l’attrice record d’incassi come La Befana vien di notte  e Come un gatto in tangenziale. Un’artista che ormai è anche sceneggiatrice dei suoi progetti, in questi giorni impegnata proprio nella revisione del testo di Petra 2 – la serie tv Sky in cui è single  e anaffettiva – e nelle prove di abiti e trucco della stessa serie, poco prima di iniziare le riprese. Nel frattempo il docu film di Peter Marcias che sarebbe dovuto uscire in sala a novembre si fa largo in rete (il regista firma anche un libro con prefazione di Cortellesi, La Reggitora, edito da Solferino). Nilde Iotti, il tempo delle donne è già disponibile sulle piattaforme di #Iorestoinsala, e dal 25 febbraio lo sarà anche su quelle di #IWONDERFULL, infine dal 10 aprile arriverà su Sky Tv.  In questo straordinario omaggio a Nilde Iotti, prima donna a diventare presidentessa della Camera, nel 1979, Cortellesi ci restituisce il suo pensiero facendo da cerniera fra le immagini contemporanee, con testimonianze delle amiche più care e di figure di spicco della cultura e della politica di quegli anni, e le magnifiche scene di repertorio. E quando riapriranno i cinema la vedremo nel sequel di Come un gatto in tangenziale, diretta dal marito Riccardo Milani con cui ha una figlia, Laura, 9 anni.

Nilde Iotti è una figura importantissima, raccontarla dev’essere stato impegnativo. «Avevo già raccontato Iotti nello spettacolo teatrale Leonilde. Narrava le vicende anche personali, che diventarono presto di dominio pubblico. Peter Marcias aveva visto lo spettacolo e mi ha voluta come filo conduttore nel suo documentario, per dar voce alle sue lettere personali».

Sono testi struggenti.  «Privatissimi e inaccessibili per 40 anni. Strappano il cuore, per la bellezza e la cura con cui pesava ogni parola».

Iotti ha ha precorso molte battaglie femminili. Nel 1956 fondò l’Associazione delle donne e iniziò a combattere per una settimana lavorativa di quattro giorni, la parità nella visione, l’aborto e il divorzio. «Diciamo che ha combattuto per la parità, anche dei coniugi, quando per le donne non c’erano nemmeno i diritti di base. Ci sono lettere in cui racconta come veniva guardata in quanto figura di potere, con tanto di commenti che facevano su di lei. Sentiva di avere addosso un giudizio costante, ma non voleva scimmiottare un uomo per essere credibile».

Si innamorò perdutamente di Palmiro Togliatti e fu uno scandalo: lui era un uomo sposato, lei pagò la scelta sentimentale. Oggi sarebbe uguale? «Sarebbe diverso, proprio grazie alle sue battaglie».

Che ricordi aveva di questa politica? «Essendo nata nel 1973, è stata il primo Presidente della Camera che ho conosciuto. Ricordo che avevo un forte senso di rispetto per lei, per le sue dure battaglie e per quel suo rischiare la vita, senza alzare mai la voce. La cosa che trovo straordinaria è quel modo di muoversi e di parlare che, seppur morbido, non toglieva un grammo di forza all’efficacia delle sue azioni. Soprattutto, Iotti era una donna che sapeva ascoltare gli altri».

Paola, lei è stata una delle prime donne a firmare il manifesto “Dissenso comune”, tre anni fa esatti, in tempi di #Metoo contro gli abusi e le molestie. È servito? «Il #Metoo è nato come denuncia e reazione davanti a molte cose non dette e che andavano denunciate, come assalti e violenze. Noi ci siamo ispirate ai diritti della donna in generale, a tutto ciò che viene prima di arrivare alle azioni più deprecabili. Per quanto mi riguarda mantengo alta l’attenzione, e non mi riferisco solo agli uomini ma a come ci muoviamo nella società, perché c’è un problema culturale,negli atteggiamenti e nelle parole, difficilissimo da scardinare».

(continua…)

L’intervista integrale è pubblicata su Grazia del 25/2/2021

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Gal Gadot, «C’è una super donna in ognuna di noi».

15 lunedì Feb 2021

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Attrici, Cleopatra, Diana, Fast and Furious, Gal Gadot, Grazia Italia, icona, interviste illuminanti, red carpet, Star, women power, Wonder Woman

di Cristiana Allievi

Intervista a Gal Gadot, di nuovo nei panni di Wonder Woman in Wonder Woman 1984.
L’attrice israeliana Gal Gadot, 35 anni (photo courtesy Grazia Cina).

SI E’ ADDESTRATA NELL’ESERCITO. HA FATTO LA MODELLA. E’ DIVENTATA LA PRIMA SUPEREROINA A SBANCARE IL BOTTEGHINO. ORA GAL GADOT TORNA A INTERPRETARE WONDER WOMAN. «CON IL MIO PERSONAGGIO VOGLIO ISPIRARE LE RAGAZZE A TROVAE LA VERA FORZA», RACCONTA

Quando l’hanno vista al cinema, le donne di tutto il mondo hanno pianto nell’ammirarne le doti. I social sono impazziti e tutti volevano salvare il mondo, come faceva lei. A tre anni di distanza, eccola nel seguito del film che allora aveva sbancato il botteghino incassando 822 milioni di dollari, Wonder Woman 1984. Nel doppio ruolo di attrice e  produttrice, cavalca fulmini, indossa ali dorate, insegue il suo sogno e ci restituisce una versione di eroina e donna poco patinata e molto concreta, un po’ come sembra essere lei (il film è disponibile in digitale per l’acquisto e e il noleggio premium su Amazon Prima Apple tv, Sky, Primafila e Infinity). La storia vede l’archeologa eroina Diana Prince alle prese con un uomo d’affari (Pedro Pascal) che acquisisce il potere di dare alla gente tutto ciò che desidera, prendendo in cambio i talenti di ognuno. Se la trama del film non ha convinto del tutto i critici, a Hollywood hanno capito al volo che funziona: presto sarà l’affascinante femme fatale Linnet Ridgeway Doyle di Assassinio sul Nilo, poi Hedy Lamarr, l’attrice hollywoodiana che nella vita ha fatto anche la scienziata con tanto di brevetti. Poi sarà la volta di Cleopatra, la più celebre regina d’Egitto, e a dirigerla sarà la stessa Patty Jenkin che ce l’ha mostrata nelle vesti della prima eroina femminile della DC comics. Le polemiche si sono già rincorse in rete, essendo Cleopatra greca e berbera, mentre Gal è israeliana, di origini europee. Trentacinque anni, ebrea cresciuta in una cittadina nel centro d’Israele simile alla California, con un padre ingegnere e una madre insegnante di educazione fisica, Gal avrebbe voluto frequentare l’Università e diventare avvocato. Un po’ come da ragazza preferì lavorare in un fast food piuttosto che fare la modella, come le era stato chiesto. Ma nel 2004 è diventata Miss Israele, e poco dopo Hollywood l’ha scelta  come sensuale esperta di armi in Fast and Furious, così la rotta della sua vita è cambiata. Oggi vive fra Telaviv e Los Angeles con il marito, il businessman Yaron Varsano,  e le loro due figlie, Alma e Maya, 8 e 3 anni. Nel nostro collegamento Zoom è di una bellezza che toglie il fiato. «Le riprese di Wonder Woman sono durate otto mesi, è stato così stancante che fare squadra fra di noi sul set ha fatto la differenza. Non sa quante volte qualcuno riusciva a tornare a farmi ridere, dopo che ero scoppiata a piangere».

Cosa rappresenta per lei questa eroina che è nata dalla penna dello psicologo William Moulton Marston, che 75 anni fa ha voluto dare un modello alle donne, fra tanti super eroi maschili? «È una persona ottimista, positiva, coraggiosa, rappresenta il lato migliore di noi stessi. È il perfetto esempio di come dovremo comportarci, ricordandoci che così facendo creiamo un mondo migliore.  Non credo esista qualcuno che desideri davvero la guerra o che propri figli si arruolino in un esercito, tutto ciò che gli esseri umani vogliono è vivere bene su questo pianeta. Cerco di potenziare questi messaggi, con il mio lavoro».

Che viaggio compie Diana, da dove l’avevamo lasciata nel primo episodio?  «Lì aveva imparato a conoscere i propri poteri e la propria forza, ed era diventata Wonder Woman. Ma lì avevamo visto solo la nascita di un’eroina, mancava la parte che spiegasse chi era. Riflettendo su quello che stava accadendo nel mondo, la regista si è chiesta cosa avrebbe fatto dopo. Quindi adesso la vediamo molto più matura e immersa nella complessità del genere umano. È anche molto sola, ha perso tutti gli elementi del suo team e non vuole farsi nuovi amici perché scoprirebbero che lei non invecchia mai, oltre al fatto che loro morirebbero e lei dovrebbe ogni volta lasciarli andare. Per questo si isola dal mondo e conduce un’esistenza molto solitaria, con l’unico scopo di aiutare il genere umano».

La scena d’apertura del film è grandiosa: una specie di gara fra atlete Amazzoni in cui si capisce chi è la bambina che da grande sarà la guerriera Diana Prince. «Mi ha molto emozionata. Per la prima volta non ho sentito che era Gal l’attrice,  quella che stavo guardando sullo schermo: mi sembrava di avere nove anni e di guardare un’altra bambina della mia età. Una reazione che mi ha toccata».

Com’è stato tuffarsi nei scintillanti anni Ottanta? «È stato interessante essere una donna adulta che si confronta con gli eccessi di un mondo maschilista che puntava tutto sul possedere e sul successo. Vediamo un genere umano all’apice del suo successo o, per meglio dire, dei suoi eccessi. Visivamente quel decennio è pieno di stimoli, sia visivi sia musicali».

Come ci si trasforma in una semi dea, che in quanto a poteri non è seconda a nessuno? «Ho dovuto convincere me stessa di avere tutti questi poteri incredibili, ma soprattutto ricordare di avere un cuore e di essere umana.  Empatia, compassione e vulnerabilità sono le tre parole che mi hanno davvero aiutata a incarnare una donna accessibile, in cui altre donne possono riconoscersi».

Il messaggio che manda alle  giovanissime potente: è come se dicesse “la forza per guidare la propria vita è dentro di voi”. Chi le ha dato questo messaggio, da ragazza? «Non ho avuto la fortuna  di vedere tutti questi personaggi femminili forti, al cinema. Ma osservando l’effetto che fanno alle mie figlie, oltre che ai maschi di età diverse, mi sento grata di aver avuto l’opportunità di essere Diana. Credo che quando guardi icone come lei, in un film, credi di poter essere anche tu un po’ così, e questa è un’esperienza che può trasformarti. I film sui supereroi hanno molto potere, in questo senso».

(continua…)

L’intervista integrale è pubblicata su Grazia dell’11/2/2021

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Soko, finalmente consapevole di sorprendere (ancora)

03 mercoledì Feb 2021

Posted by cristianaallievi in arte, cinema, Cultura, giornalismo, Musica, Personaggi

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A Good Man, cinema, Cristiana Allievi, D La repubblica, giornalista, interviste illuminanti, Soko, The dancer

di Cristiana Allievi

L’attrice e cantante francese Soko, 30 anni (courtesy http://www.amyharrity.com)

Dall’altra parte del monitor la luce è abbagliante. A Los Angeles una donna si raccoglie i capelli dietro la nuca. Sorride, scherza, ammicca. Nella stanza accanto un bimbo si è appena addormentato, e quando si risveglierà lei esisterà solo per lui e per il loro momento di gioco insieme. Una normale scena famigliare, non fosse che dall’altra parte dell’Oceano c’è Soko, al secolo Stéphanie Sokolinski, l’artista che fino a una manciata di anni fa era nota per due motivi: essere la ex fiamma di Kristen Stewart e la musa di Gucci. Lo scenario, oggi,, sole californiano incluso, è molto cambiato per la polistrumentista, cantautrice e attrice nata a Bordeaux, ma di origini polacche. Si è lasciata alle spalle una vita con la valigia in mano e una serie di relazioni instabili, e ha ceduto al richiamo ancestrale di diventare mamma di  Indigo Blue (“abbiamo scelto il nome dalla canzone dei The Clean”), partorito due anni fa, che sta crescendo con la compagna Stella. “Sono in un relazione con una donna del mio sesso, e ho un bambino, sì, è possibile”, dice con un tono serio ma con un sorriso. Con il suo curriculum esistenziale, era perfetta per A good man, il film diretto da Marie-Castille Mention-Schaar in cui interpreta Aude, una donna che ama Benjamin, un transessuale (interpretato magnificamente da Noémie Merlant, la star di Ritratto di una donna in fiamme) e che non può avere bambini. Sarà proprio Benjamin a sacrificarsi per la coppia,  non avendo ancora completato la transizione a uomo. Basato su una storia vera, il film uscirà nelle sale francesi il 3 marzo (da noi prossimamente) mostra molto non detto sulle conseguenze psicologiche delle scelte della coppia, per esempio quando uno dei due rinuncia alla carriera per stare con l’altro. «Per la maggior parte della mia vita sono stata al posto di Ben, nelle relazioni», racconta. «Ho sempre vissuto correndo e ho preso grandi decisioni di vita dicendo ai miei partner  “io faccio questo, vuoi farne parte?”. Mi hanno seguita sui set, in tour o in qualsiasi cosa avessi già programmato, e lo hanno fatto a costo di grandi sacrifici. Ho sempre voluto lavorare su questo aspetto, riuscendo a far sentire l’altra persona speciale, e soprattutto ascoltata».

Nel 2006 il nome di Soko era balzato alle cronache per aver registrato I’ll Kill Her con un telefonino e avere spopolato su Myspace. E come si conviene a una donna che vive(va) di contrasti, da attrice ha attirato l’attenzione nei panni di una donna dell’Ottocento,  Augustine, la prima paziente “isterica” dalla storia della medicina.  Mentre è stato Io danzerò a regalare la fama internazionale, con la sua straordinaria rappresentazione di Loïe Fuller nel film basato sul romanzo di Giovanni Lista. L’anno dopo quel successo si è rinchiusa a scrivere le proprie storie. Il risultato è stato un terzo disco, Feel Feelings, uscito lo scorso luglio, con un video del singolo Are You a Magician? diretto dall’amica di lunga data Gia Coppola, nipote di Francis Ford. Un disco che celebra l’amore, naturalmente di ogni tipo, e che sembra frutto anche di una nuova consapevolezza. Arriva forte e chiara dai suoi ragionamenti. «Pensa che la maternità mi abbia cambiata?», sdrammatizza.

(continua…)

L’intervista integrale su D la Repubblica, 30/1/2021

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George Clooney, «Prendo sul serio il lavoro, non me stesso».

23 mercoledì Dic 2020

Posted by cristianaallievi in cinema, giornalismo, Miti, Netflix, Personaggi

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Cristiana Allievi, Donna Moderna, George Cooney, Hollywood, interviste illuminanti, The midnight Sky

di Cristiana Allievi

È stato appena eletto, per il secondo anno consecutivo, attore più sexy del mondo. Dirige e interpreta un kolossal ambientato nello spazio. Ma con noi ha rievocato gli anni in cui doveva lottare per un ruolo. E i fiaschi che si sono alternati ai successi. Come quella volta in
cui gli dissero di cantare…

THE MIDNIGHT SKY (2020) George Clooney as Augustine and Caoilinn Springall as Iris. Philippe Antonello/NETFLIX

È sorridente, abbronzato. E come spesso accade, in vena di scherzare. «Questa conversazione è la mia prima uscita dal lockdown, una specie», esordisce dalla sua casa di Los Angeles. Subito dopo aggiunge «sento mia suocera parlare nell’altra stanza…». Quasi una battuta a far dimenticare le voci di crisi del suo matrimonio con Amal.  L’attore nato nel Kentucky 59 anni fa e diventato famoso grazie al pediatra Ross di E.R. e a una vita da single impenitente, oggi ha due gemelli, Ella e Alexander, che riposano nella stanza accanto, non lontani dalle due prestigiose statuette vinte agli Oscar. Oggi la sua è una carriera densa di film, davanti e dietro la macchina da presa, eppure il 23 dicembre riuscirà a esordire di nuovo, con una prima regia di un film nello spazio. Netflix gli ha messo a disposizione un budget stellare per The Midnight Sky, basato sul romanzodi fantascienza del 2016 di Lily Brooks-Dalton, La distanza fra le stelle, che dirigerà e interpreterà a tre anni di distanza da Suburbicon. Sarà Augustine, un brillante astronomo con barba da Babbo Natale, capelli corti e occhi spesso sgranati, che nel mezzo di un’ambigua catastrofe globale manda messaggi disperati alla terra da un remoto avamposto nel Circolo polare artico in cui vive. Crede di essere solo, finché non incontra Iris (Caoilinn Springall), una bambina di otto anni, figlia misteriosamente abbandonata da un genitore scienziato.

(continua…)

L’intervista integrale è su Donna Moderna del 24 dicembre 2020

© Riproduzione riservata

Sophia Lillis, «Come nasce una famiglia».

28 sabato Nov 2020

Posted by cristianaallievi in Attulità, cinema, giornalismo

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Tag

Amazon Studios, famiglia, figli, Grazia, interviste illuminanti, it, omosessualità, omosexuality, sharp, Sophia Lillis, trauma, uncle, Uncle Frank

di Cristiana Allievi

Nel film Uncle Frank Sophia Lillis è una ragazza che scopre la forza dei legami di coppia grazie a uno zio gay e al suo compagno. «Spesso i personaggi che interpreto», dice l’attrice a Grazia «mi aiutano a crescere nella vita»

Sophia Lillis protagonista di UNCLE FRANK
(Photo: Brownie Harris Courtesy of Amazon Studios)

La scream queen è seduta sul divano di casa. Siamo a Brookliyn, dove è nata e cresciuta, e ha un sorriso contagioso, grandi occhi azzurri molto chiari e le lentiggini. Un look modernissimo che Sophia Lillis, 19 anni, miscela con una presenza da star d’altri tempi. A sette anni il patrigno, fotografo, l’ha convinta  a partecipare a un suo progetto cinematografico. Così è finita a studiare alla scuola di Lee Strasberg e con il fortunato remake ITdi Stephen King, a 15 anni, ha fatto impazzire i fan dell’horror. E dopo le serie Sharp Objectse I am not ok with this, oggi è Uncle Frank (su Amazon) a vederla brillare per bravura. Nel film scritto e diretto da Alan Ball è Beth, una teen che lascia la campagna nel sud per andare a studiare alla New York University, dove l’amato zio (Paul Bettany) è uno stimato professore. Scoprirà che ha un’identità nascosta (è  gay e ha un compagno da una vita) e lo vedrà affrontare un grosso trauma alla morte del padre, che è anche suo nonno.

(continua…)

L’intervista integrale è su Grazia n. 50

© Riproduzione riservata

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