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La Swinging London di Michael Caine

10 mercoledì Gen 2018

Posted by cristianaallievi in cinema, Miti, Mostra d'arte cinematografica di Venezia

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Beatles, Bowie, cinema, Cristiana Allievi, Icon, Michael Caine, Miti, My generation, Panorama, Stones, Swinging London, Who

BLOODY COCKNEY DIVENTATO SIR, È STATO TRA I PROTAGONISTI DELLA RIVOLUZIONE CULTURALE CHE HA CAMBIATO L’EUROPA PER SEMPRE. LUI E QUALCHE AMICO (I BEATLES, GLI STONES, BOWIE, GLI WHO)…

Michael Caine.jpg

Michael Caine in uno scatto del 1965 per il Sunday Times (courtesy Icon Panorama).

«A 10 anni volevo già diventare un attore. Ma la mia classe sociale non lo prevedeva, nemmeno il mio accento. Figuriamoci pensare di diventare famosi, era fuori da ogni logica». La sua carriera è iniziata grazie a un paio di pantaloni. E molti altri sono gli aneddoti che ruotano intorno all’abbigliamento e al look. Il primo: a una recita scolastica sale sul palco per una pantomima, e tutti ridono. In realtà non è merito della sua bravura, ma della lampo dei pantaloni che è scesa. Non importa, lui ha trovato ciò che vuole fare nella vita. Poi ci sono gli abiti che separano una classe sociale dall’altra. «A Londra, negli anni Sessanta, lo speaker della BBC che dava le notizie si vestiva in giacca a cravatta, nonostante fosse in radio. La mia generazione ha messo in discussione quei valori. Abbiamo fatto una vera rivoluzione, con la musica pop, il cibo, il look colorato e informale rispetto agli standard britannici…». E quando si fa notare a Sir Michael Caine che è una leggenda di stile, oltre che del cinema, lui sfodera un altro aneddoto. «Il mio miglior amico era un sarto. Qualsiasi cosa dicesse aveva ragione. Ho perso un sacco di chili ultimamente, ma indosso ancora le giacche che ha cucito per me anni fa». Vengono in mente le immagini di Alfie, in cui cammina in doppio petto con le mani in tasca sulle note di Burt Bacharach: alto, biondo e con un paio di occhiali neri che anticipano di cinquant’anni anni quelli che Tom Ford ha fatto indossare a Colin Firth. Sempre una sigaretta accesa fra le dita.

Ha una semplicità che lascia sgomenti, lo capisci quando cita i suoi amici Doug Haywor – il sarto che è stato una star in Inghilterra – George Harrison e Ravi Shankar senza traccia di enfasi. La nostra lunga conversazione parte nel Myfair di Londra e termina sulla spiaggia del Lido di Venezia. All’ultima Mostra d’arte cinematografica ha presentato My generation, il docu film di David Batty in cui è presenza sullo schermo, voce narrante e produttore. Nelle sale dal 22 al 29 gennaio come vento, è un viaggio a ritroso fra i ricordi in cui parla (l’audio è originale) con i Beatles, gli Stones, David Bowie, Twiggy, ma anche con i fotografi più famosi dell’epoca, Bailey, Duffy e Donovan. Sembra uno sforzo fatto per farci capire cosa ha dovuto attraversare- insieme ai colleghi citati – per essere ascoltato. E a 85 anni suonati quello che ancora emerge è l’orgoglio del “bloody cockney”, per dirla con parole sue. Cresciuto in una famiglia povera della working class, suo padre scaricava casse al mercato e la madre era una cuoca. Vivevano in un appartamento di Camberwell, per strada incontrava Charlie Chaplin, anche lui di quelle parti e mai, in vita sua, avrebbe pensato interpretare i giochi psicologici di Gli insospettabili, o blockbuster come Lo squalo e la trilogia del Cavaliere Oscuro, accanto a film d’autore come Youth– La giovinezza, in cui Paolo Sorrentino lo ha voluto compositore e direttore d’orchestra ritiratosi in Svizzera a fine carriera. La miglior performance della sua vita, secondo il due volte premio Oscar (per Anna e le sue sorelle e Le regole della casa del sidro), che continua a girare un film dopo l’altro.

Si è mai reso conto di quanto la sua immagine sia forte? «Non sono mai stato un tipo fashion, mi definirei piuttosto un “mystic cool”. Vede come sono vestito, anche oggi? Ho uno stile severo, e indosso sempre capi di un solo colore, il blu chiaro».

Come si diventa icone di stile? «Il mio miglior amico era Doug Hayword, ha confezionato tutti i miei abiti».

Per i suoi ruoli sullo schermo? «Per la vita di tutti i giorni. Nonostante sia mancato dieci anni fa, e io abbia perso un sacco di chili, indosso ancora gli stessi abiti. Questa giacca che vede è sua».

A che stile si è ispirato negli anni della sua formazione? «A quello degli americani, che facevano sempre foto della working class, cosa che gli inglesi non hanno mai fatto. Quando eravamo giovani mia madre mi portava a vedere i film di guerra, e tutti quelli americani su questo tema parlavano di soldati semplici, mentre nei film inglesi di guerra ci sono sempre solo gli ufficiali, ci ha mai fatto caso?».

(continua…)

Intervista pubblicata su Icon Panorama, gennaio 2018

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Quella volta che Mick Jagger mi ha detto “Quando sei giovane corri molto, invecchiando devi usare l’intelligenza”

15 martedì Dic 2015

Posted by cristianaallievi in Miti, Quella volta che, Senza categoria

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Apocalypse Now, Beatles, Bianca Perez Morena, Carla Bruni, Chet Baker, Exile on main street, Francis Ford Coppola, Jarry Hall, Keith Richard, Let’s get lost, Mick Jagger, Stephen Kijak, Stones in Exile, Villefranche-sur- Mer

Certo non siamo qui per parlare di musica. Non mi aspetto nemmeno di scoprire certe verità sulle relazioni clandestine avute con modelle e donne più o meno blasonate di ogni nazionalità (c’è stata persino Carla Bruni, mentre era ancora sposato con Jarry Hall). Né forse mi rivelerà qualcosa di nuovo sulle sregolatezze di un uomo che è sulla cresta dell’onda da 46 anni: Mick Jagger è la leggenda del rock, sarà allenato a dissimulare almeno tanto quanto lo è (tutt’ora) a fare i balzi che fa sul palco durante un concerto con i Rolling Stones. Cosa mi aspetto, allora, dall’incontro con un mito? Di essere in fibrillazione- come sono – e di sentire l’energia che sprigiona dal vivo, di vedere com’è quella faccia così impertinente, quella bocca gigante che ha segnato la storia del rock, a due metri di distanza. Ho appena assistito all’anteprima mondiale del documentario Stones in Exile, di Stephen Kijak, presentato al Festival di Cannes, docu film che racconta gli inizi degli anni Settanta, quando la band ha lasciato l’Inghilterra per problemi di fisco e si è ritirata a Villefranche-sur- Mer, in una villa affitata da Keith Richards. Jagger ha appena attraversato la folla in delirio che lo aspettava da ore sulla Croisette. Indossa un elegante giacca grigia leggermente cangiante su jeans neri scoloriti, camicia bianca e sneakers color argento. Gli occhi brillano come due stelle, di una luce che non accenna a spegnersi. Il viso è scavato, sì, ma tutt’altro che appassito: Mick Jagger è in un certo senso un uomo senza età. Quando parla muove le mani nello stesso modo in cui le agita sul palco mentre canta, e sorride spesso in modo contagioso. Alla faccia della coerenza, decido di partire proprio dalla musica.

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Il cantante Mick Jagger, 72 anni, frontman dei Rolling Stones (courtesy of gds.it)

Il film che ho appena visto racconta del disco registrato nel 1971, Exile on Main Street: il decimo album degli Stones oggi è giudicato leggendario (è uscita in questi giorni la versione rimasterizzata ed è in testa alle classifiche dei dischi più venduti in Inghilterra) , ma all’epoca non era stato tanto compreso… «Al momento della pubblicazione non era stato accolto così male, ma non era stato capito. Il motivo credo fosse che era davvero lungo, quindi ci voleva molto tempo per assorbirlo, e così è stato».

Come si sente una star come lei a riguardarsi in immagini di quarant’anni fa? «Eravamo giovani, belli e stupidi, adesso siamo solo stupidi (ride, ndr). In quel momento Nixon era il presidente, c’era la guerra in Vietman, Eddy Merckx aveva vinto il Tour de France… Ma noi non sapevamo niente di tutto ciò, eravamo chiusi tutto il giorno a suonare».

Ma rivedere lei e i suoi compagni quando eravate praticamente ragazzi che effetto le ha fatto? «È come aprire un album di famiglia, con foto che non vedevi da secoli: dici “che bella”, oppure “che orrore”… Se però lo fai per lavoro devi essere professionale, superiore (ride, ndr)».

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Mick Jagger ai tempi di Exile on main street, nel 1971 (courtesy of Sequenza21.com)

Keith Richards ha detto che nella coppia che formate lei è “rock” e lui “roll”… «Diciamo che io sono “wrote”, e lui roll (la battuta allude al fatto che Mick scrive i testi e Richards è l’uomo degli estremi, ndr)».

A proposito, ma come riuscivate a lavorate con tutto quell’alcool e il fumo di cui non fate mistero anche nel film? «(ride, ndr) Noi ce l’abbiamo fatta benissimo! Non dico che sia una cosa grandiosa, o ideale, ma ci siamo riusciti…».

E come si dura per più di 40 anni? «È come in una partita di calcio. Quando sei giovane e c’è rischio di perdere corri molto, quando invecchi invece devi usare più l’intelligenza… Il lavoro da fare è tantissimo, e allo stesso tempo non si deve perdere la visione d’insieme. Ma soprattutto, mi creda, conta molto la fortuna, essere al momento giusto nel posto giusto».

La leggenda vuole che i Beatles e gli Stones siano sempre stati rivali, ma ho visto che Ringo Starr e Paul McCartney erano nei paraggi della villa in Francia, quando lei e Bianca Perez Morena (modella nicaraguese e prima moglie) vi siete sposati, a confermare che non era vero… Come vi siete sentiti quando i vostri colleghi si sono sciolti? «La cosa ci ha intristito, ma a dire la verità i Beatles non si esibivano dal vivo da anni, mentre noi lo abbiamo sempre fatto, ed è stata la nostra forza».

Infatti Martin Scorsese, che ha girato un altro film su di voi, Shine a light, ha scelto di riprendervi in un live, in un teatro newyorkese. Poi c’è Jean Luc Godard nel 1968 aveva girato One plus one-Sympathy for the devil: chi ha ritratto meglio gli Stones? «Difficile da dire, sono due punti di vista molti diversi e mi piacciono entrambi».

Lei guarda i documentari? «Mi piacciono quelli di Bruce Weber. Ce ne sono di stupendi, come quelli su Chet Baker (Let’s get lost, ndr) o quelli girati su vari set cinematografici».

 Chi è il suo regista preferito? «Amo molto Francis Ford Coppola, Apocalypse Now è uno dei miei film preferiti».

 

Articolo pubblicato su Grazia del 7 giugno 2010

© Riproduzione riservata

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