«Vorrei vedere al suo posto chi si fa beffe di lui perché era un comico. Ma il presidente si batte per quello che l’Ucraina vuole: la libertà».
Il divo era a Kiev quando, un anno fa, è scoppiata la guerra. Risultato: un documentario che ricorda all’Occidente da che parte è giusto stare
di Cristiana Allievi

Dov’eri un anno fa, quando la Russia ha invaso l’Ucraina? Sean Penn non deve fare alcun esercizio di memoria per rispondere alla domanda: il 24 febbraio 2022 era a Kiev, a pochi passi dal presidente Volodymyr Zelensky. Il suono delle bombe, gli aerei militari, le sirene d’allarme li ha sentiti dal vivo, non guardando il tg della sera.
L’attore e regista si trovava in Ucraina per lavorare a un docufilm sulla carriera di Zelensky, prima at- tore comico, poi idolo nazionale, infine presidente di uno Stato in guerra con Mosca. E ha deciso di fermarsi per documentare le prime fasi del conflit- to, spingendosi anche al fronte.
Il risultato è Superpower, che è appena stato pre- sentato in anteprima al Festival di Berlino. Quando ne parla, Penn, cappellino militare calcato sugli occhi e muscoli in vista, ha la faccia seria e concentrata. A breve distanza una guardia del corpo alta due metri ci scruta severa. Questo documentario, ci fa capire Penn, è un modo molto diretto di pun-tare il dito contro l’America, che a suo avviso non sostiene abbastanza il popolo di Kiev. Il titolo Superpower, invece si capisce solo alla fine, quando si vede l’ex attore Zelensky interpretare un padre che dice a suo figlio: «Sei tu il mio superpotere». Come dire che tutto quello che sta facendo il presidente ucraino ha un obiettivo importante: dare un futuro migliore alle nuove generazioni.
Lei si trovava a Kiev a girare, quando a febbraio 2022 sono partiti i primi missili dalla Russia: non aveva sentore di quello che stava per succedere?
«Davvero non ho mai pensato che ci sarebbe stata un’invasione. Ma allo stesso tempo ero mental- mente preparato alla possibilità. Ricordo che le co- se sono cambiate in modo repentino, come il meteo: prima c’era il sole, il giorno dopo ha piovuto. In questo caso è stata una pioggia che non dimenticherò mai: ho avuto la percezione di essere al centro di un evento storico importantissimo. Credo sia stato un privilegio, anche se quello che ho visto mi ha spezzato il cuore».
Che cosa l’aveva portata da Zelensky, quando pochi parlavano ancora di Ucraina? Che cosa stava cercando? «Mi aveva colpito la storia recente del Paese, la sua mentalità che si era allontanata moltissimo dal retaggio sovietico dopo la rivoluzione di Maidan del 2014 (con la fuga in Russia del presidente ucraino Janukovyč e l’abolizione di alcune leggi filorusse). In quel periodo gli americani erano distratti, il pensie- ro comune era: «Lascia che lui si prenda la Crimea…» (non nominerà mai direttamente Putin durante l’intervista, ndr).
La cosa l’ha colpita profondamente, è evidente.
«Mi è venuta voglia di avvicinarmi agli ucraini, un popolo alla ricerca della libertà. Quella stessa libertà che l’America più di ogni altra nazione dovrebbe difendere».
Nel docufilm lei va in giro a fare domande a persone di tutti i tipi, il sindaco di Kiev, i banchieri, i soldati: cosa l’ha colpita di più tra le risposte? «Le parole di un soldato ucraino. Nonostante sapesse che il suo presi- dente avrebbe visto il film, ha detto di lui: «Non ha le palle». Mi ha colpito tanto perché questa è una cosa che in Russia non potrebbe mai succedere. Nel nostro film non ci sono filtri o veti, nessun pulsante per mettere in pausa: tutto quello che mostriamo non è stato alterato in alcun modo».
(continua…)
Intervista integrale pubblicata su F Magazine – n. 9 2023
@Riproduzione riservata