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Andie MacDowell, «Grigia e sexy, perché no?»

12 domenica Giu 2022

Posted by cristianaallievi in arte, Attulità, Cannes, cinema, Cultura, Miti, Netflix

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Andie Mac Dowell, Cairo Editore, Cristiana Allievi, donne, F magazine, Hugh Grant, interviste illuminanti, liberazione, Maid, MArgaret Qualley, Netflix, Quattro matrimoni e un funerale, Sesso bugie e videotape

«GLI UOMONI SONO LIBERI DI INVECCHIARE. VOGLIO ANCH’IO IL LORO POTERE, SENTIRMI DESIDERABILE COME LORO, NEL MIO CORO E ALLA MIA ETA’». PER QUESTO L’ICONA ANNI 90 HA DECISO DI NON TINGERSI PIU’. E DI INSEGNARE ALLE FIGLIE, CON L’ESEMPIO, CHE IL GIUDIZIO DEGLI ALTRI NON CONTA

di Cristiana Allievi

L’attrice americana Andie MacDowell, 64 ani. Fra i suoi film più famosi Sesso bugie e videotape e Quattro matrimoni e un funerale. Ha ricevuto 4 candidature ai Golden Globe per la serie tv Maid (Netflix).

Nella sua stanza d’albergo sulla Riviera francese, in tailleur dal taglio maschile color rosa acceso, è semplicemente magnifica. Mi chiede se sono italiana, e capisco che la cosa le fa piacere. Ha un’energia palpabile che non esplode verso l’esterno: è forte e quieta allo stesso tempo.

Musa dalla bellezza eterea che ha ispirato classici degli anni Novanta come Quattro matrimoni e un funerale, con Hugh Grant, e Sesso, bugie e videotape, il film rivoluzionario di Steven Soderberg che vinse la Palma d’oro a Cannes, Andie MacDowell è una ex modella che è sempre stata radicata rispetto al mondo in cui ha vissuto. Quando era ai vertici del successo si è trasferita in Montana a crescere i tre figli avuti con l’ex modello e marito Paul Qualley. Di questi le due femmine, cresciute facendo danza e teatro sin da bambine, hanno seguito le orme della mamma che, dopo il divorzio dal marito, ha sempre cercato di bilanciare le aspirazioni professionali con la vita in famiglia. Ed è stata premiata, perché finalmente le due cose si sono incontrate in Maid, la serie tv Netflix di grande successo ispirata alle memorie di Stephanie Land. Per interpretare Paula (madre di finzione della sua figlia vera, Margaret), una donna bipolare  “non diagnosticata”, si è ispirata alla sua di madre,  mentalmente instabile e malata di alcolismo. E poco prima del debutto della serie ci aveva già stupiti presentandosi a Cannes con quei meravigliosi riccioli grigi naturali che hanno fatto scalpore e la dicono lunga sulla donna che oggi, a 64 anni, è felicemente single a Los Angeles (dopo un secondo breve matrimonio, finito nel 2004), mentre Margaret sta per sposarsi con il produttore musicale  Jack Antonoff un anno dopo il fidanzamento.

Come si fa ad essere testimonial di un brand leader mondiale nel colore per capelli, smettendo di tingersi? «Le donne possono scegliere. Le mie sorelle si tingeranno finché non lasceranno questo pianeta, lo so per certo, e questa è un’opzione. Ma c’è anche quella di cambiare, e molte donne vogliono essere viste come gli uomini, a cui è concesso di invecchiare come sono».

Sta parlando di fare scelte chiare? «Non tingersi è come dichiarare che sì, sono più anziana, e mi va bene così.  Recentemente ho visto la foto di un magnifico attore, non dirò il nome.  È molto bello, accanto  a lui aveva una moglie bellissima, di 21 anni più giovane. Ecco,

voglio sentire lo stesso potere che sente quell’uomo, voglio essere a mio agio come lui, sentirmi sexy come lo è lui, nel mio corpo e alla mia età».

Occorre energia, per questo. «Ne ho tantissima, di solito quando sono pronta per uscire gli uomini sono distrutti sul divano!».  

Come fa? «Dormo molto, per me è importantissimo».

Sua figlia Margaret è un’attrice di grande talento, cosa le ha passato del suo mestiere? «Credo che Margaret sia un individuo, non voglio paragonarla a me. Se c’è qualcosa che ho fatto per lei è stata essere una madre, e questo non ha niente a che fare con la recitazione».

Considera il suo lavoro principale quello di madre, quindi? «Esatto. Le ho insegnato ad amarsi, ad essere libera e a non avere restrizioni. È stata una ballerina e sono stata attenta a che avesse i migliori insegnanti e a circondarla di persone che potessero darle di più di quello che ho avuto io alla sua età».

(continua…)

Intervista esclusiva pubblicata su F del 14 giugno 2022

@Riproduzione riservata

Adele Exarchopoulos, «Sto cercando il mio posto nel mondo».

27 mercoledì Apr 2022

Posted by cristianaallievi in arte, Attulità, cinema, Cultura, giornalismo

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Adele Exarchopoulos, cinema red carpret, donne, Generazione Low cost, giovani, interviste illuminanti, lavoro, madri, precariato, Star

Quando La vita di Adele l’ha rivelata al mondo, ADÈLE EXARCHOPOULOS era una ragazzina dal talento istintivo. Oggi, nove anni dopo, è un’attrice consapevole e contesa, una mamma organizzata, un’amica vera. Eppure, le manca ancora qualcosa

di Cristiana Allievi

L’attrice francese Adele Exarchopoulos, 28 anni, diventata una star internazionale con La vita di Adele.

«Sto cercando il mio posto nel mondo». Forse, non ti aspetti queste parole da un’attrice che pare avere le idee chiare da tempo: a 13 anni esordisce al cinema diretta da Jane Birkin, a 20 vince la Palma d’oro come protagonista – insieme a Léa Seydoux – de La vita di Adele di Abdellatif Kechiche e oggi, 28enne, ha una lista di film in uscita degna di una diva navigata. Di sicuro, Adèle Exarchopoulos, grandi occhi neri alla Maria Callas che tradiscono le origini greche da parte del nonno e capelli raccolti in uno chignon alto, è cresciuta in fretta. Come il personaggio che interpreta in Generazione Low Cost di Julie Lecoustre ed Emmanuel Marre. Cassandra è assistente di volo in una compagnia low budget; disperatamente sola, ha una vita sregolata, ama divertirsi e si nasconde dietro il profilo Tinder Carpe Diem; il suo vago sogno è passare a Emirates. Una mattina arriva tardi al la- voro e resta bloccata per la prima volta nella stessa città per qualche giorno, il che la costringe a fare i conti con il vuoto della sua esistenza e un lutto importante.

Che cosa accomuna i ruoli che sceglie?

«Si tratta in genere di donne indipendenti che commettono errori. L’umanità è imperfetta, e io non amo i luoghi comuni».

Lei ha conquistato rapidamente traguardi e premi notevoli. «Continuo a vivere situazioni che nemmeno immaginavo possibili».

Quanto ha dovuto lottare?

«Il lavoro è arrivato all’improvviso e per caso, in un mo- mento in cui avevo paura di lasciare la scuola, che non era esattamente il mio forte. Ho conosciuto la delusione di es- sere rifiutata ai casting e di essere considerata una seconda scelta. Tutti hanno le loro battaglie da combattere, crescere significa scegliere per quali spendere le proprie energie».

Crescere significa anche trovare il proprio posto nel mondo. Diceva che lo sta ancora inseguendo…

«Ho iniziato a recitare molto presto, a 17 anni vivevo già da sola e a 23 ho avuto Ismaël (dal rapper Morgan Frémont, in arte Doums, ndr) mentre gli amici andavano alle feste a ubria- carsi fino all’alba. A prescindere dai traguardi, ho spesso do- vuto cercare il mio spazio e il senso di ciò che facevo, perché non era adeguato né alla mia età né alla mia generazione».

Si è sentita più grande, più adulta?

«Nelle scelte, ma non nella testa, tanto che non ho mai vis- suto un momento in cui le percepissi coerenti all’ambiente in cui stavo».

(continua….)

Intervista pubblicata su Vanity Fair del 13 aprile 2022

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Cecile De France, «L’illusione del corsetto»

30 giovedì Dic 2021

Posted by cristianaallievi in Attulità, cinema, Cultura, Mostra d'arte cinematografica di Venezia, Personaggi

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Cecile de France, Cristiana Allievi, donne, emancipazione, Honore Balzac, Illusioni perdute, Vanity Fair, Xavier Giannoli

Stringersi nei panni di una donna dell’Ottocento, soffrire per i lacci sociali, tirare un sospiro di sollievo per i tempi che cambiano: CÉCILE DE FRANCE e la bellezza dell’emancipazione

di CRISTIANA ALLIEVI

Cecile de France, 46 anni, è l’attrice belga più richiesta del cinema.

Mettiamola così: non è un caso che abbia appena finito le riprese di un film in cui vive in Bretagna e fa la pescatrice. I suoi occhi corrono veloci lungo il perimetro delle pareti della stanza in cui ci incontriamo. Dopo un’attenta analisi mi dice che l’orto che coltiva con i suoi figli è grande più o meno uguale: cinquanta metri quadri. E Lino e Joy, avuti con il marito Guillaume Siron, cantante e compositore del gruppo Starbilux, non vogliono più mangiare nemmeno un pomodoro uscito da un supermercato. Poi Cecile de France, 46 anni, passa ai racconti che ti aspetteresti dall’attrice belga più desiderata dal cinema internazionale, anche italiano (vedere alla voce Paolo Sorrentino, che l’ha volute nella serie The young pope). «Arrivavo da un piccolo villaggio, mi sono ritrovata in una scuola statale di Parigi, da sola, e la cosa non mi è piaciuta per niente», ricorda. Poi due frasi riassumono gli anni della sua educazione, «portavo i capelli rosso fuoco» e «facevo la ragazza alla pari per mantenermi». È dotata di una grinta che l’ha sempre spinta ad andare avanti, anche dopo che Clint Eastwood l’ha scelta per il suo Hereafter regalandole una fama di proporzione internazionale. All’ultima Mostra di Venezia è stata la nobile protagonista di Illusioni perdute, di Xavier Giannoli, adattamento di un romanzo di Honoré de Balzac, al cinema dal 30 dicembre in tutta la penisola. «Louise è una nobile che ama e protegge un giovane e promettente scrittore, e all’inizio mi ha molto confusa»,  racconta. «Perché sulle pagine di La Commedia umana, un vero e proprio classico dell’Ottocento era cinica, non aveva né cuore nè anima ed era quindi molto difficile da amare. Ma il regista l’ha trasformata, per il film l’ha resa sentimentale, drammatica, piena di passione e di sensualità. Molto più interessante da interpretare».

Però Louise è molto diversa dalle figure di donne indipendenti e libere a cui ci aveva abituati fino a qui. «È il contrario. Louise dipende da tutti, prima dal marito, poi dal giudice e soprattutto dalle regole sociali che non tollerano che una nobile ami un giovane di origini umili. Ma possiamo comprenderla, rinuncia all’amore solo per motivi di sopravvivere».

Come fa ad azzerare tutto e a pensare con la testa di una donna di duecento anni fa? «Mi lascio portare dall’abito. Il corsetto non fa respirare, infatti le donne dell’epoca non respiravano.  E questo le fa ragionare di conseguenza».

Indossare il corsetto tutti i giorni le ha anche ricordato il percorso di emancipazione fatto fino a oggi? «Penso spesso a chi si è battuta per noi, a quanto dobbiamo ai sacrifici di vere e proprie eroine. Ma non è ancora finita, tutt’ora esistono ancora paesi in cui i padri scelgono i mariti per le loro figlie».

(continua…)

Intervista integrale pubblicata su Vanity Fair del 22 Dicembre 2021

©Riproduzione riservata

Prime Visioni. Le donne del cinema conquistano visibilità

24 domenica Mar 2019

Posted by cristianaallievi in arte, cinema, Cultura, Festival di Berlino, Festival di Cannes, Sundance

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cinema, Cinema Italiano, cinema tedesco, cinema Uk, cinema Usa, D La repubblica, donne, interviste illuminanti, Isabelle Giordano, Keri Putnam, Mariette Rissenbeek, Piera Detassis, Sundance, Tricia Tuttle

FORTI, PREPARATE, INNOVATRICI: LE DONNE DEL CINEMA CONQUISTANO VISIBILITA’, A PARTIRE DALLE STANZE DEI BOTTONI. COSI’, GUIDANDO FESTIVAL E KERMESSE INTERNAZIONALI, PUNTANO A UNA MAGGIOR PRESENZA FEMMINILE ANCHE NEI FILM

Le donne del BFI London Film Festival (courtesy D la Repubblica).

La fata dei cavoli. Un titolo che sembra un presagio, per il primo film girato dalla prima regista donna, nel 1896. Alice Guy, francese, fu poi l’autrice di altri seicento lavori, arrivando persino a dirigere studi cinematografici d’Oltreoceano. Ma finì dimenticata e in disgrazia, lasciando ai Lumiere tutti i meriti dell’invenzione del cinema.

Oggi le femministe francesi stanno lavorando perché Alice abbia il riconoscimento che merita e una strada intitolata a suo nome. Così, a mezzo secolo dalla scomparsa di Guy, l’occasione è giusta per fare il punto sulle donne (del cinema) con poteri e visioni forti. Per capire a che punto siamo sulla strada verso la parità fra sessi nel mondo di celluloide.  

«La Francia è il paese con la maggiore presenza di registi donne rispetto agli uomini, abbiamo anche molte produttrici e agenti di vendita», racconta Isabelle Giordano, ex madame del cinema di Canal+ dal 2013 direttrice generale di UniFrance, organismo che promuove il cinema d0Oltralpe all’estero. Con 300 film all’anno, e più di 60 coproduzioni internazionali: il primo in Europa. «Un dato strano, se si pensa che i francesi non hanno mai amato avere donne al potere. Ne parlavamo già 15 anni fa quando lavoravo in tv», aggiunge. «Abbiamo registe note in tutto il mondo, come Rebecca Zlotowski e Claire Denis, che però non hanno mai vinto una Palma d’Oro. Penso che occorre andare oltre il #metoo: la domanda da porsi non è più quante donne ci sono, piuttosto com’è la qualità del loro lavoro? E quanti film facciamo su di loro? Anche Bercot, Satrapi e la stessa Maiwenn girano film tosti, coraggiosi, ed è questo che occorre far capire a chi finanzia il cinema». Nel complesso  la Francia nel 2018 ha avuto un calo dello 0,5 di presenze nelle sale. «Il nuovo trend è avere tanta scelta, veloce e da casa, ma il cinema deve continuare a offrire spunti e richiedere tempo per riflettere. E dovrà lavorare accanto alle piattaforme, invece di far loro la guerra. Ci aspettiamo novità dal Festival di Cannes alle porte». L’unico box office europeo ad aver registrato un +0,6 per cento nel 2018 è quello inglese. «Negli anni Settanta in casa mia si andava al cinema almeno una volta alla settimana, se non due», ricorda Tricia Tuttle, nuovo direttore permanente del BFI London Film Festival, l’ente governativo che distribuisce i fondi per il cinema. «Oggi i costumi sono cambiati, ma invece di aumentare il costo dei biglietti abbiamo attuato una politica di flessibilità dei prezzi e ha funzionato». Laurea alla University of North Carolina, ha lavorato prima con Sandra Hepron, direttrice del London Film Fest, poi con Amanda Berry, amministratore delegato dei Bafta, e Claire Stewart, ex direttrice del BFI. «Sono tutte donne forti che puntano sull’avere intorno a sé persone creative a cui lasciar fare il proprio lavoro, dando molta importanza al contributo di ciascuno». Da Keira Knightley a Emma Thomson, da Helen Mirren ad Olivia Colman, da Rachel Weistz, Carey Mulligan ed Emma Watson, «le nostre sono professioniste versatili e dal forte appeal, non figurine messe lì per essere guardate. E fra le registe, l’anno scorso il 38 per cento erano donne, contro il 24 dell’anno precedente. Numero che precipita però quando si parla di grandi budget: dei 200 film ai vertici del box office nel 2018  solo 15 erano diretti da una donna», precisa Tuttle.

(continua…)

Articolo pubblicato su D la Repubblica del 23 marzo 2019

© Riproduzione riservata

Wim Wenders: «Confesso, ho peccato»

23 giovedì Ago 2018

Posted by cristianaallievi in Cannes, cinema, Cultura, Festival di Cannes, Miti, Personaggi

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3D, cinema, Cristiana Allievi, donne, fede, interviste, Papa Francesco, Wim Wenders

 

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Il regista, sceneggiatore e produttore Wim Wenders, 73 anni (foto di Caitlin Cronenberg, courtesy GQ Italia).

IL DOCU FILM DI WIM WENDERS SUL PAPA ARRIVA NELLE SALE E IL REGISTA ANCORA SI INTERROGA SU QUANTO LO ABBIA CAMBIATO L’INCONTRO CON FRANCESCO. AL PUNTO CHE, PER LA PRIMA VOLTA, HA DECISO DI PRENDERSI UNA PAUSA PER RIFLETTERE. ANCHE SUL TEMA DEL FEMMINILE

«Nemmeno nei miei sogni più selvaggi avrei pensato di girare un film sul Papa. Lo avevo osservato attentamente, nel suo primo anno di pontificato, e mi era piaciuto. Ancora prima, quando lo hanno annunciato in tv, ero entusiasta: mi sono detto che chiunque sarebbe arrivato aveva un sacco di coraggio, per scegliere quel nome». A più di quarant’anni dagli esordi, il regista di Paris Texas e Il cielo sopra Berlino ha una carica straordinaria. È lo stesso motore che lo ha reso un artista instancabile nel continuare a ridefinire il suo gesto creativo. Cresciuto a Dusseldorf, ha masticato molto rock and roll e western hollywoodiani, assorbendo quell’iconografia made in the Usa che ci ha restituito in tanti dei suoi motel e centri commerciali, nella rappresentazione del West americano, nei jukeboxes e nelle musiche dei suoi film. Fra esperimenti e azzardi vari, fra cui un irriverente uso del 3D, Wenders non ha mai temuto il rischio, né i tonfi più clamorosi. Quindi stupisce, ma fino a un certo punto, Papa Francesco- Un uomo di parola, l’ennesimo, riuscitissimo, azzardo. Nelle sale dal 4 ottobre, presentato come evento speciale all’ultimo festival di Cannes, questo documentario è un lungo racconto-intervista in cui il cineasta tedesco lascia che Bergoglio risponda alle sue domande parlando direttamente agli spettatori. Un lavoro che trasuda ammirazione e che stupisce, se si pensa al passato politicamente impegnato di Wenders. Ma a vincere è lo stupore per la forza comunicativa del papa, degna di una rockstar. E che ha convinto lo stesso Wenders a cambiare, come racconta lo stesso regista in questa intervista.

Com’è stato incontrare il pontefice nel privato di un set? «Il primo giorno di riprese eravamo pronti da ore con la mia troupe. Eravamo tesi, ho detto a tutti “non gli chiederò di fare la stessa cosa due volte, non è un attore, non avrà trucco: quello che succede, succede”. Bergoglio è entrato nella stanza da solo, ha iniziato a stringere la mano a tutti, uno per uno, guardato tutti negli occhi. Ha mostrato cosa intende con parità, abbiamo sentito un contatto reale, è un uomo che non finge».

I messaggi che lancia dallo schermo ruotano intorno a famiglia, figli e relazioni, e sono molto semplici, eppure lasciano il segno. Perché? «Ho visto una madre sconvolta, quando Bergoglio le ha chiesto “passa tempo con suo figlio?”, in quel momento si è accorta di non farlo, di lasciarli soli con l’ipad. Anch’io sapevo di poter vivere con meno di quello che ho, ma mentre il papa mi parlava ho realizzato che mentivo a me stesso».

I suoi “sperperi”? «Compro 30 cd di musica ogni settimana e la maggior parte li ascolto una sola volta. Ho sempre accumulato, anche un mare di abiti, e se penso al numero di paia di scarpe che vedo nelle case dei miei amici, è impressionante. Evidentemente serve il papa a ricordarci che tutto questo è assurdo: lui indossa le stesse scarpe da 10 anni e si è presentato su una Fiat Panda».

Dopo questo incontro ha rivalutato la religione? «Sono una persona spirituale, ma non sono cattolico. La rigidità delle istituzioni mi spaventa, si prendono tutte più seriamente di quello che rappresentano».

Da re dei road movie  si è messo a girare in 3D, sfidando i colleghi d’Oltreoceano: anche lei è un uomo coraggioso.  «Hollywood non ha usato il 3 D, lo ha abusato, e senza prenderlo seriamente. Ci facevano solo film d’azione, invece di studiarlo come un cambiamento epocale, un nuovo linguaggio per il cinema».

Che lei ha usato per intimi drammi familiari e addirittura dialoghi fra amanti, quasi una sfida impossibile. «Con quella tecnologia lavorano parti diverse del cervello, che rintracciano anche la profondità, e gli occhi sono naturalmente diretti verso la persona che sta parlando. In pratica si è immersi in quello che guarda, mi è sembrato uno strumento perfetto per riportare i dialoghi al centro».

(…continua)

Intervista pubblicata su GQ, n.  settembre 2018 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

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