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Cristiana Allievi

~ Interviste illuminanti

Cristiana Allievi

Archivi tag: Hollywood

George Clooney, «Prendo sul serio il lavoro, non me stesso».

23 mercoledì Dic 2020

Posted by cristianaallievi in cinema, giornalismo, Miti, Netflix, Personaggi

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Cristiana Allievi, Donna Moderna, George Cooney, Hollywood, interviste illuminanti, The midnight Sky

di Cristiana Allievi

È stato appena eletto, per il secondo anno consecutivo, attore più sexy del mondo. Dirige e interpreta un kolossal ambientato nello spazio. Ma con noi ha rievocato gli anni in cui doveva lottare per un ruolo. E i fiaschi che si sono alternati ai successi. Come quella volta in
cui gli dissero di cantare…

THE MIDNIGHT SKY (2020) George Clooney as Augustine and Caoilinn Springall as Iris. Philippe Antonello/NETFLIX

È sorridente, abbronzato. E come spesso accade, in vena di scherzare. «Questa conversazione è la mia prima uscita dal lockdown, una specie», esordisce dalla sua casa di Los Angeles. Subito dopo aggiunge «sento mia suocera parlare nell’altra stanza…». Quasi una battuta a far dimenticare le voci di crisi del suo matrimonio con Amal.  L’attore nato nel Kentucky 59 anni fa e diventato famoso grazie al pediatra Ross di E.R. e a una vita da single impenitente, oggi ha due gemelli, Ella e Alexander, che riposano nella stanza accanto, non lontani dalle due prestigiose statuette vinte agli Oscar. Oggi la sua è una carriera densa di film, davanti e dietro la macchina da presa, eppure il 23 dicembre riuscirà a esordire di nuovo, con una prima regia di un film nello spazio. Netflix gli ha messo a disposizione un budget stellare per The Midnight Sky, basato sul romanzodi fantascienza del 2016 di Lily Brooks-Dalton, La distanza fra le stelle, che dirigerà e interpreterà a tre anni di distanza da Suburbicon. Sarà Augustine, un brillante astronomo con barba da Babbo Natale, capelli corti e occhi spesso sgranati, che nel mezzo di un’ambigua catastrofe globale manda messaggi disperati alla terra da un remoto avamposto nel Circolo polare artico in cui vive. Crede di essere solo, finché non incontra Iris (Caoilinn Springall), una bambina di otto anni, figlia misteriosamente abbandonata da un genitore scienziato.

(continua…)

L’intervista integrale è su Donna Moderna del 24 dicembre 2020

© Riproduzione riservata

«Ma la più trasgressiva sono io». Melanie Griffith parla di sè (e di sua figlia Dakota)

13 venerdì Feb 2015

Posted by cristianaallievi in cinema

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Akil, Antonio Banderas, Automata, Cassevetes, Cinquanta sfumature di grigio, Cristiana Allievi, Dakota Johnson, Day ouf Days, Don Johnson, Festival di Locarno, Hollywood, Melanie Griffith, Thirst, Tippi Hedren

Sua figlia Dakota è la star del film hot del momento. Melanie Griffith, invece, oltre i limiti è andata soprattutto fuori dal set: quattro divorzi, l’alcolismo e la lotta contro Hollywood che l’ha esclusa troppo presto. Ora, però, sta tornando sugli schermi con ruoli significativi, a partire  dall’interpretazione di parti di sé che la spaventano.

L’attrice Melanie Griffith, 57 anni.

Camicia di seta color panna e pantaloni grigi, la prima cosa che mi colpisce è che ha due gambe infinite. Sono a caccia di segni, di quel tipo indelebile che le dovrebbero aver lasciato addosso le crisi, le dipendenze da alcol e droghe, le riabilitazioni, gli eccessi e soprattutto svariati divorzi. In fondo ne ha attraversate davvero tante nella vita. A partire dall’avere una madre, l’attrice e modella Tippi Hedren, che da bambina la faceva dormire con un leone vero nel letto- c’è solo da immaginarsi la paura accumulata grazie a questi gusti materni – per finire con l’ultimo divorzio da Antonio Banderas, la scorsa primavera, il quarto dopo quelli da Don Johnson (sposato due volte) e Steven Bauer. No, tutto questo non può averla lasciata senza cicatrici. Eppure gli occhi di Melanie sono luminosissimi, forse solo un filo meno azzurri di un tempo. A 17 anni era già sul set in nudo integrale, è stata candidata agli Academy, ha vinto il Golden Globe, l’hanno diretta Abel Ferrara, Jonathan Demme e Brian De Palma. E cosa ha scelto per il suo ritorno sugli schermi, a 57 anni, dopo anni di assenza, la scorsa estate? Un corto della bravissima Rachel McDonald, dal titolo Thirst, sete, ancora inedito in Italia e presentato al Festival del cinema di Locarno, in cui interpreta una donna offuscata dall’alcol, maltrattata dal chirurgo estetico e per giunta esposta alle luci impietose del set. Insomma, ha avuto il coraggio di esporsi, mostrando una se stessa tremendamente simile alla realtà, cosa sorprendente se si pensa che ha girato il film mentre era sulla via della separazione dal marito. Ora, ironia della sorte, Banderas la dirigerà presto in Akil, mentre il 26 febbraio saranno insieme in Automata, pellicola ambientata nel 2044 su una terra che si avvia alla  desertificazione, e su cui sta scomparendo l’uomo. «Per me Melanie è prima di tutto una grade attrice», ha detto di lei Benderas, «ma è anche la persona che ho amato, che amo e che amerò per sempre». Una dichiarazione che ha fatto il giro del mondo, nel momento in cui di Melanie si parla anche per un altro motivo: sua figlia Dakota è la diva del momento nei panni dell’eroina sexy Anastasia Steele nel film 5o sfumature di grigio. La nostra conversazione inizia naturalmente da qui.

Ci sono somiglianze tra lei e Dakota, da una parte, e tra lei e sua madre, un’icona di Hitchcock? «Dakota è meglio di me e di mia madre messe insieme. Sembra aver fatto tesoro dei miei errori e anche di quelli della nonna, davvero è molto meglio di noi due. La trovo un’attrice straordinaria, ma non ho ancora visto il film di Sam Taylor-Johnson (pare che Dakota lo abbia “vietato” sia a lei sia al padre, l’attore Don Johnson, ndr)».

Andrà a vederla? «Mai, temo che la metterei in difficoltà. Ma credo in lei, da piccola diceva sempre che sarebbe diventata una grande attrice, non le è mai mancata la fiducia in se stessa».

Negli ultimi vent’anni ha avuto piccoli ruoli, anche se molto significativi: è dipeso dalle sue difficoltà personali? «In molti hanno pensato che non volessi più lavorare, e c’è del vero. Sono stata occupata nell’essere la moglie di Antonio, e nel crescere Stella. Fare la madre mi piace moltissimo, ma adesso le ragazze sono cresciute. C’è un altro fatto, rispetto ai ruoli a cui si riferisce, come quello in Pazzi in Alabama. L’ho girato a 41 anni, e mi creda, a Hollywood compiere 40 anni è come diventare vecchi… Questo fattore ha inciso molto, oltre alle difficoltà personali a cui si riferisce, per cui confesso di aver avuto bisogno di uscire da tutte le superficialità hollywoodiane».

Crede al nuovo motto di moda proprio da quelle parti, “i cinquanta sono i nuovi trenta”? «Mi piacerebbe (sorride, ndr). Quando ho compiuto 50 anni Antonio e i miei figli hanno scritto una canzone che hanno intitolato proprio così. Tecnicamente adesso sta parlando con una trentaseienne…».

La Griffith con sua figlia, Dakota Johnson (courtesy of USWeekly.com)

Ha definitivamente superato la crisi di non vedersi più chiamare per l’età? «Sono così vecchia che le dico di sì (ride, ndr), infatti oggi lavoro di nuovo. Sto per girare due film, Day out of days con Cassavetes che racconta proprio di una donna di quarant’anni che compete con le più giovani, a Hollywood, e uno con Joe Berlinger, il drammatico Facing the wind. Sarò anche a Broadway tutto l’inverno, ma soprattutto, oggi ho la sensazione di poter fare quello che voglio: sono una donna libera, posso fare quello che mi pare».

Come affrontare le dipendenze sullo schermo, come ha fatto con Thirst? «Ci sono due aspetti che contano. Primo, non è facile avere dei ruoli in cui senti di poter davvero affondare i denti, cose sostanziose intendo. E secondo sono un’alcolista in cura, ho accettato spinta dal desiderio di uscire da questa schiavitù. Ho pensato che recitare la mia parte alcolizzata fosse un modo per liberarmene».

Com’è finita invece in un film futuristico come  Automata? «È una storia grandiosa, adoro il regista, Gabe Ibanéz. Profetizza un futuro in cui l’intelligenza umana e quella artificiale vivranno fianco a fianco. Io sono Susan Dupre, la scienziata che programma i robot. Lavoro per una società leader nel campo dell’intelligenza robotica, e per una volta  non indosso i soliti abiti disegnati dai migliori stilisti».

Chi è oggi Melanie Griffith? «Mi sono occupata di stupidaggini, in vita mia, i miei pensieri erano tutti rivolti a costruire una carriera, “dovrei fare questo, e non quello….”, mi dicevo… Oggi sono una donna felice, felice di aver fatto tutto e di non dovermi più occupare del fatto che mi paghino o di quanto sia importante una produzione».

Preferisce essere diretta da un uomo o da una donna? «Mi vanno bene entrambi, non sono una femminista ma sono femminile. Certo, potendo scegliere sosterrei le donne: le registe a Hollywood sono il 2 per cento, non le sembra strano?».

Ha mai pensato di farsi una nuova vita, lontano dal cinema? «Ho molte altre idee, in effetti. Lavorerei con i bambini, ho già fatto molto raccogliendo fondi e facendo assistenza negli ospedali. Vorrei anche scrivere, e anche dirigere, e andare in qualche luogo remoto del mondo a fare la monaca o l’insegnante di yoga… La verità è che mi è rimasto un solo figlio e che sono libera. Come le ho detto, da qui in avanti potrò fare quello che mi pare!».

Intervista su Grazia dell’11 febbraio 2015

© RIPRODUZIONE RISERVATA

«Sono un uomo in fuga», parola di Keanu Reeves

27 martedì Gen 2015

Posted by cristianaallievi in cinema

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Cristiana Allievi, Eli Roth, Grazia, Hollywood, John Wick, Keanu Reeves, Knock, Matrix, Men of tai chi, The whole Truth, Willem Dafoe

Era sparito dalle scene, ma ora, a 50 anni, Keanu Reeves è tornato in un film d’azione, John Wick, subito osannato dalla critica. Il quotidiano americano The New York Times ne celebra la perfezione, il settimanale Time loda l’humor nelle scene violente. Ora anche il pubblico italiano potrà rivedere l’attore al cinema e rimanere per lo meno sedotto dai suoi occhi esotici e da quell’aria timida così irresistibilmente sexy.

Per Reeves è un ritorno alla grande, ma non bisogna illudersi: presto scomparirà di nuovo, perché lui non è il solito divo di Hollywood. È un uomo che ama le fughe, che diserta la mondanità, che nasconde il proprio nome anche quando regala in beneficenza migliaia di dollari, che è stato scoperto dai paparazzi a passare la mattina con un barbone a Los Angeles, per donare ascolto e conforto.

L'attore Keanu Reeves è nato a Beirut, Libano, nel 1962

L’attore Keanu Reeves è nato a Beirut, Libano, nel 1962 (courtesy Grazia.it)

Reeves è imprevedibile, perché non segue le logiche del business. All’apice del successo si è messo a girare in lungo e in largo gli Stati Uniti con la band che aveva fondato, i Dogstar, vivendo senza fissa dimora per mesi. Oggi ha ripreso a suonare il basso e sta pensando di rimettere in piedi i Dogstar: «La band non è ancora ricostituita del tutto. Abbiamo ricominciato da poco. È un po’ come reincontrare dei vecchi amici dopo tanto tempo», racconta. Come faccia a essere così indipendente dalle regole di Hollywood? Per Reeves i soldi non contano: «Potrei tranquillamente vivere per i prossimi secoli con quello che ho già guadagnato», ha dichiarato.

Ma dietro la sua irrequietezza c’è anche altro. Il padre drogato e spacciatore, la leucemia che ha colpito la sorella Kim, di due anni più giovane di lui, il suo più grande punto di riferimento familiare, la figlia nata morta e la compagna Jennifer Syme scomparsa in un incidente d’auto.
Keanu Reeves è in fuga, ma i demoni del suo passato lo seguono ovunque. Oggi dice di essere single, di non avere tempo per l’amore, la verità è che il fantasma di Jennifer non è facile da sostituire. Meglio la solitudine. In una vita lontana dai fasti, l’unico capriccio che l’attore si concede è la passione per le moto. Ha fondato la Arch Motorcycle Co., che costruisce moto su misura. Ha scritto un libretto di poesie, Ode to Happiness, Ode alla felicità, quasi per esorcizzare il dolore. E l’anno scorso ha debuttato alla regia con Man of Tai Chi, girato interamente in Cina e di cui è anche protagonista.

Reeves parla a Grazia da Los Angeles, quando ha appena terminato la produzione dei thriller Knock, Knock, di Eli Roth, e The Whole Truth, con Renée Zellweger. E per le fan italiane c’è una buona notizia: Maria De Filippi l’ha voluto fortissimamente in questa edizione del suo programma C’è posta per te.

Reeves in una scena di John Wick: non si era mai visto prima un killer così ben vestito (courtesy Collider.com)

Che cosa l’ha attratta di John Wick? 

«Mi è piaciuto il mondo un po’ di fantasia in cui vive, con case bellissime, soldi a palate, oggetti sofisticati e opere d’arte. Mi sono piaciuti i dialoghi, ma soprattutto le cose che non vengono dette. Prediligo il mistero e le strade che si incrociano silenziosamente. I film d’azione mi sono sempre piaciuti, ma cerco di raccontare storie che abbiano qualcosa in più. È il motivo per cui sono andato da Chat e David (Stahelski e Leitch, i registi di John Wick, ndr) con questo progetto, avevo intuito che potevano rendere al meglio questo mondo sommerso».

Hanno un passato di stunt, hanno lavorato in molti film d’azione e uno dei due era la sua controfigura in Matrix. Com’è stato averli come registi? 

«Ho sentito che l’asticella si alzava, in termini di aspettative. Entrambi vengono dal mondo delle arti marziali e non cedono di un millimetro sui dettagli, per questo mi sono sottoposto a una preparazione fisica estremamente impegnativa, ho cominciato mesi prima delle riprese, cinque volte a settimana otto ore al giorno. Poi mi sono allenato un’estate intera per diventare John Wick».

Un uomo che è praticamente scomparso dopo aver detto addio alla vita da killer. Anche lei, uno degli attori più famosi di Hollywood, riesce a rimanere defilato dallo sguardo del  pubblico.
«Non so se John sia un uomo che cerca più di scomparire o di uscire dalla vita. Io non ho mai cercato di abbandonare la vita, ho sempre e solo voluto raccontare storie e mi reputo estremamente fortunato di riuscirci ancora».

C’è una linea sottile nel film, riassumibile in “ognuno ha un prezzo”, concorda?
«Sì, ogni persona ha il suo prezzo. Ma credo dipenda da quello che si sta comprando e vendendo, non trova?».

Willem Dafoe,  il grande cattivo del film, ha detto di aver accettato il ruolo solo per lavorare con lei.  Il motivo è che lei fa i film d’azione in modo diverso da tutti gli altri: riesce a mescolare mistero e forza.
«È molto bello da parte sua. Sono un grande fan di Willem, sono cresciuto guardando le sue interpretazioni, oneste e coraggiose, sia a teatro sia al cinema. Lavorare ai dialoghi è stato meraviglioso, recitare insieme ancora meglio. Snervante, ma molto divertente».

Willem Dafoe,  il grande cattivo del film, ha detto di aver accettato il ruolo solo per lavorare con lei.  Il motivo è che lei fa i film d’azione in modo diverso da tutti gli altri: riesce a mescolare mistero e forza. 

«È molto bello da parte sua. Sono un grande fan di Willem, sono cresciuto guardando le sue interpretazioni, oneste e coraggiose, sia a teatro sia al cinema. Lavorare ai dialoghi è stato meraviglioso, recitare insieme ancora meglio. Snervante, ma molto divertente».

Quali sono i tocchi personali che ha dato al film?
«Il mio apporto più grande è stato il video di John e sua moglie, che lui continua a guardare e riguardare. Lei avrebbe dovuto essere solo un flashback all’inizio del film, ma mi è venuta l’idea del video e ho voluto che diventasse una specie di leitmotiv per ricordare allo spettatore qual è il motore di tutta la storia».

I suoi colleghi di Hollywood si lamentano spesso del fatto che è sempre più difficile ottenere  parti che piacciano davvero, è d’accordo?
«A me sembra che nel cinema indipendente si stia vivendo un vero Rinascimento, ci sono molte opportunità. Mi vengono in mente i film di Paul Thomas Anderson e di Christopher Nolan, geni che hanno stravolto le regole del settore».

Come si è sentito in una New York leggermente proiettata nel futuro?
«Sono contento che la nomini, è una componente importante dell’atmosfera e ai miei occhi è un misto di passato, presente e futuro. Il look più forte che rintracci è nelle linee degli abiti, eleganti, ma dai colori futuristici come gli ori e i rossi. Ci si ispira al cinema di Hong Kong ma anche a Steven Spielberg e ai noir degli Anni 70».

C’è un’ultima domanda che voglio fare prima di salutarlo: in questo film l’attore ha scelto l’eleganza. Mi racconta che il costumista Luca Mosca ha dato agli abiti molti significati simbolici: «Il nero è funereo ed è sacerdotale, è anche molto elegante, ma non richiama l’attenzione. Quando lo indosso, senz’altro mi influenza», spiega Reeves, che d’altronde con il look di Matrix aveva lanciato uno stile.

Poi lo saluto, sapendo già che presto lui “scomparirà” di nuovo.

Ancora Reevs in una scena di  John Wick (Courtesy it.ign.com)

Ancora Reevs in una scena di John Wick (Courtesy it.ign.com)

L’articolo è su Grazia del 25 gennaio 2015 

© Riproduzione riservata

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