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Cristiana Allievi

~ Interviste illuminanti

Cristiana Allievi

Archivi Mensili: febbraio 2023

Cate Blanchett, «La vita non è la solita sinfonia».

09 giovedì Feb 2023

Posted by cristianaallievi in arte, Attulità, cinema, Cultura, Mostra d'arte cinematografica di Venezia, Musica, Oscar

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Tag

BErliner Philarmoniker, Cate Blanchett, Claudio Abbado, interviste illuminanti, Nina Hoss, Noemie Merlant, Todd Fields

di Cristiana Allievi

Todd Field’s TÁR will have its world premiere at the Venice International Film Festival. Cate Blanchett stars as Lydia Tár in director Todd Field’s TÁR, a Focus Features release. Credit: Florian Hoffmeister / Focus Features- Courtesy Universal

Lydia Tar è la direttrice di una delle più grandi orchestre sinfoniche tedesche e sta preparando l’esecuzione  della difficilissima Quinta sinfonia di Mahler.

Comincia così Tar, presentato in Concorso all’ultima Mostra di Venezia e nelle sale dal 9 febbraio, con un’intervista con il (vero) giornalista Adam Gopnik, mentre Lydia è all’apice della sua carriera e sta per presentare la sua autobiografia.

Innovativo a partire dalla sceneggiatura del regista Todd Fields, che ha impiegato anni in questo lavoro al cui centro c’è un’immensa Cate Blanchett nei panni di Lydia Tar, sostenuta da due ottime coprotagoniste: Nina Hoss, sua compagna nel film, e Nomie Merlant, sua assistente personale.  Donne diversamente innamorate di Lydia, intorno a cui si crea un triangolo di alta tensione.

La novità del film è che Blanchett non occupa solo un posto di potere, ma un ruolo tradizionalmente riservato agli uomini: il podio di un’orchestra sinfonica (e non una qualsiasi, alludendo il film ai Berliner Philarmoniker). Vediamo solo tre settimane della sua vita, ma capiamo che vuole ottenere molto, con lo stress psicofisico che comporta arrivare in cima alla vetta.

Lo spiega Blanchett stessa, dentro un abito che ha lo stesso colore azzurro ghiaccio dei suoi occhi. «Lydia è sull’Olimpo, da artista è arrivata. Come essere umano, invece, sa che dopo la vetta c’è solo la discesa, e affrontarla richiede molto coraggio. Sicuramente c’è qualcosa che la tormenta, un passato, una persona, è stato affascinante lavorare su questo aspetto».

Tar è un film sulla trasformazione, su quel  qualcosa che succede e che ci fa vivere cose che non avremmo mai pensato di vedere o di sentire.

«Un aspetto fondamentale in qualsiasi rapporto creativo è la fiducia», continua la due volte premio Oscar Blanchett, che per il ruolo ha studiato la presenza e i gesti di Claudio Abbado, Carlos Kleiber, Emmanuelle Haim. «Credo che Lydia sia stata oggetto di bullismo, la fiducia per lei è un tema difficile, come il perdono. Dalla prima sillaba della sceneggiatura ho capito che era molto complessa. Il  personaggio si evolve e cambia, ma quello che non cambia è che si tratta di una persona che non conosce se stessa. E non è necessario essere la direttrice della più grande orchestra del mondo per sperimentare queste contraddizioni».

Nina Hoss è stata spesso definita “la Cate Blanchett tedesca”. Il regista aveva visto il suo lavoro come violinista in The Audition, di Ina Weisse. «Non vengo dal mondo della musica, ma sono in grado di suonare il pianoforte, e ho studiato violino, questo mi ha aiutata. Abbiamo lavorato con la filarmonica di Dresda, sono stati molto aperti e ci hanno aiutate. È stato un processo di assorbimento molto speciale».

Noemie Merlant è un’attrice e regista molto quotata in Francia, e non solo.

«Non conoscevo questo mondo un po’ folle e molto maschile. È stata un’esperienza forte, essendo tutte donne. Francesca, il mio personaggio, vuole diventare come Lydia, ma per ora fa altro. Quindi rappresento tutti gli aspetti di chi ama la musica senza aver mai toccato uno strumento. Ho cercato di rappresentare lo sguardo di questa donna che è nell’ombra ed è paziente. Non si capisce se sia un’eroina o la cattiva della situazione, perché controlla Lydia. Da attori noi stessi siamo strumenti, io osservavo Cate mentre creava Lydia davanti a me. La guardavo trasformarsi, e allo stesso tempo anche Francesca osservava Lydia, nel film».

Cate Blanchett aveva già interpretato una storia d’amore al femminile, in Carol. Ma oggi il mondo Lgbt è molto più al centro dell’attenzione di allora, soprattutto in Usa. «Prima di Carol non c’erano film di quel tipo. La donna o si uccideva o veniva redenta dall’amore di un uomo. Mentre giravamo era semplicemente qualcosa che era diventato necessario. Passato al pubblico, è diventato esplosivo».

Però secondo Blanchett l’arte  non è uno strumento educativo. «Le persone possono essere ispirate, o offese, questo va al di là del controllo di chi crea un’opera. Come specie umana siamo abbastanza maturi da guardare Tar senza  fare del sesso e del genere l’aspetto più importante. Solo quando abbiamo iniziato a fare le conferenze stampa ci siamo accorte di essere un cast per la quasi totalità femminile. Todd Haynes ci ha detto “di fatto non esiste un’orchestra tedesca guidata da una donna, è un mondo molto patriarcale. Se questo cambiamento succederà, normalizzerà l’arte stessa”. Al momento non avevo riflettuto su questo aspetto».

Ha esperienza diretta delle dinamiche di potere tra maschile e femminile. «Da quando ho iniziato a lavorare io le cose sono cambiate molto. Allora mi dissero “goditi i prossimi cinque anni, poi le cose cambieranno…”. La vita dell’attrice finiva presto. Oggi è importante relazionarci con i nostri fratelli a Hollywood, che possono svolgere insieme a noi un bel lavoro».

Merlant  non crede Tar sia un film femminista. «Piuttosto il suo intento è far nascere domande sulle dinamiche di potere, e su come sia trovarsi in una posizione così alta della propria carriera in cui devi lottare molto di più, in quanto donna. Inoltre vediamo cosa succede nel momento in cui  il sogno diventa realtà, dirigere Mahler, e occorre vedersela con il processo della creazione, che può arrivare a divorarti. Lo trovo un modo di condurre alla riflessione molto arguto».

Nina Hoss allarga ancora di più lo sguardo. «Questa visione di una donna al potere non permette di correre così velocemente a trarre conclusioni, come faresti se fosse un uomo, perché crediamo di sapere già tutto. Qui occorre più tempo per giudicare. Una donna arriva al vertice essendo un’artista favolosa: cosa la rende all’improvviso una persona diversa? Cosa le succede, e cosa succede al mondo che la circonda, che la spinge in una certa direzione?».

La coppia lesbica al centro, inoltre, non è un problema per la società che la circonda. «Questo è davvero un modo nuovo di porre la questione, significa che il mondo è cambiato. Mentre nel mondo che Lydia affronta fuori, c’è ancora molto da fare».

Di solito Nina Hoss ha un ruolo da protagonista. Se si chiede perché abbia accettato un ruolo più marginale risponde: «Qui è diverso, ma ho accettato perché la protagonista era Cate. Il mio personaggio, Sharon, non è solo una donna innocente e gelosa: ama Lydia per il genio che è, e gode anche del potere che una coppia simile ha in quel mondo. Quindi sa come manipolare, sa di essere la roccia per lei e conosce le insicurezze della sua compagna. Ho cercato di rendere queste sottigliezze. Per il resto ho suonato davvero, nel film. Il mio è un lavoro in cui ti senti davvero un’impostora. Trascorrendo settimane in una vera orchestra, come minimo dovevo avere rispetto di quei professionisti, conoscere i pezzi, sapere cosa stavo facendo. Questo percorso ha creato una dinamica molto nuova: abbiamo ricreato  la musica di Mahler, e ci è voluto molto lavoro. Ma credo che lo spettatore se ne accorgerà».

Articolo pubblicato su Panorama del 25 gennaio 2023

@Riproduzione riservata

Robin Wright, «Io ballo da sola»

06 lunedì Feb 2023

Posted by cristianaallievi in arte, Attulità, cinema, Cultura

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Forrest Gump, Here, House of cards, interviste illuminanti, jazz dance, Land, MAtera Film Festival, Robert Zemeckis, Robin Wright, Rupi Kaur, The princess Bride, Tom Hanks

DOPO AVER MESSO LA GIUSTA DISTANZA DAL SUO TERZO DIVORZIO, L’ATTRICE E REGISTA AMERICANA È CONCENTRATA SUL LAVORO. CON UN FILM ACCANTO A TOM HANKS, UNA SERIE TV IN CUI TORNA AL PRIMO AMORE, LA DANZA. E UNA LEZIONE DI VITA CHE HA FATTO PROPRIA: «SII IL CAMBIAMENTO CHE VUOI VEDERE».

di Cristiana Allievi

L’attrice e regista americana Robin Wright in un incontro aperto al pubblico al Matera Film Festival (foto di Gor Monton).

Ho di fronte a me la Jenny amata da Forrest Gump. Ha occhi color blu cupo e un fisico molto tonico evidenziato dai jeans neri indossati con tacchi alti. È di una bellezza che quasi intimorisce. La incontro poco dopo l’ufficializzazione della sua separazione dal terzo marito, Clement Giraudet, 37 anni, manager di Saint Laurent, di solito non un buon momento per un’intervista. Ma Robin Wright sfoggia una calma olimpica e trovarci al Matera Film Festival, nei luoghi di Wonder Woman, aiuta. «Dalla finestra della mia stanza all’hotel Sant’Angelo vedevo il set e mi dicevo “per le prossime due ore non avranno bisogno di me…”, e scappavo da sola in giro per la città. È un posto che lascia senza fiato», ricorda. «Quando la regista Patty Jenkins mi ha chiesto “vuoi essere la regina delle Amazzoni?” ho risposto sì ancora prima di leggere la sceneggiatura».  Figlia di una commessa di cosmetici e di un dirigente farmaceutico separati da quando aveva due anni, Robin è diventata modella a 14, poi attrice. La fama è arrivata con The princess bride a 21 anni, e si è ingigantita quando è diventata moglie di Sean Penn poco dopo che lui aveva lasciato Madonna.  Oggi Robin Wright è una regista e produttrice rispettata, eccelsa nell’arte di difendere la sua privacy, anche con il sorriso.

Sta per iniziare le riprese del nuovo film di Robert Zemeckis, Here, con Tom Hanks, a 22 anni di distanza dal gioiello che vi ha uniti. Poi tornerà alla regia con una serie tv. «The Turnout è tratto da un bestseller, ho chiesto alla sua autrice Megan Abbott di curare un adattamento per il cinema.  Reciterò anche io, e tornerò al mio primo amore. Fra i 12 e 17 anni avevo in mente solo una cosa: andare a New York per danzare a Broadway».

Che stile ballava? «Ero una ballerina di classic jazz, ha presente il musical All that jazz? Quello era il mio genere».

Com’è diventata modella?  «Un agente mi vista pubblicizzare un succo famosissimo in America, Capri Sun.  Eravamo molte danzatrici, mi ha chiesto se volevo recitare. Le ho risposto che ero molto timida, lei mi ha insegnato tante cose ed è diventata la mia agente».

E lei ha rinunciato al sogno di ballare? «All’epoca ho creduto che l’unico modo per farlo avverare sarebbe stato trasferirmi a New York e mantenermi facendo la cameriera mentre tentavo la strada della danza senza nessuna garanzia. Questa donna mi ha procurato audizioni, Santa Barbara è stato il mio primo lavoro serio, avevo 19 anni».

In quella soap ogni uomo che passava la faceva soffrire. Se penso che anni dopo David Fincher l’ha scelta per The house of cards nel ruolo di Claire Underwood, spietata first lady,  mi chiedo quante altre donne ha trovato dentro di sè, fra quei due estremi. «Bella domanda. Oggi le risponderei “non abbastanza”. Ricordo che a 26 o 27 anni mi hanno offerto il ruolo di una cantante molto seduttiva in un night club».

E…? «Mi sono spaventata, credevo che per essere credibile avrei dovuto essere voluttuosa, avere un gran seno, mentre io sono magra e alta».

Un bel problema. «(ride) Voglio dire che ero troppo spaventata per credere di potercela fare, come attrice. Mi ci sono voluti anni e tempo di fronte alla macchina da presa, per infrangere la barriera della paura».

(…continua)

Intervista integrale pubblicata su Donna Moderna del 2 febbraio 2023

@Riproduzione riservata

Hong Chau, oceani e Balene

04 sabato Feb 2023

Posted by cristianaallievi in Academy Awards, cinema, Cultura, Mostra d'arte cinematografica di Venezia, Oscar

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cinema, D La repubblica, Darren Aronofsky, Hong Chau, interviste illuminanti, The Whale

Dal Vietnam ad Hollywood, la protagonista di The Whale punta all’Oscar con un film molto drammatico. Poi sarà la volta di Wes Anderson e Ralph Fiennes

di Cristiana Allievi

L’attrice vietnamita naturalizzata statunitense Hong Chau, classe 1979. Candidata agli Oscar per The whale, di Darren Aronifsky,

Ha un volto che resta impresso nella mente. Ma soprattutto, Hong Chau ha una vita degna di un romanzo picaresco. I suoi sono scappati dalla guerra in Vietnam nel 1979, la madre era incinta di lei e il fratello aveva cinque anni. La notte della fuga suo padre è stato ferito e ha sanguinato per tre giorni, non bastasse, durante il viaggio in mare sono stati derubati due volte dai pirati, prima di essere portati in salvo in Tailandia da una barca di pescatori giapponesi. Poco dopo, è nata lei in un campo profughi. Non stupisce che qualsiasi cosa faccia lasci il segno. È successo in Downsizing, Vivere alla grande di Alexander Payne (ma aveva già lavorato con Paul Thomas Anderson in Vizio di forma e nella serie tv Big Little Lies), e si ripeterà dal 23 febbraio con The whale di Darren Aronofski (I Wonder Pictures), con un ruolo per cui è stata nominata ai Bafta. Nella storia tratta  dall’opera teatrale di Samuel D. Hunter, è Liz, la storica amica di Charlie,  “la balena” a cui si riferisce il titolo. Brendan Fraser interpreta l’uomo in grande sovrappeso, un solitario insegnante di inglese la cui vita è andata completamente fuori rotta. Lo assiste in tutto, incluso il tentativo di riavvicinarsi alla figlia adolescente, diventata quasi un’estranea.

Una manciata di film significativi, ed è già da Aronofsky: ha un segreto? «Il mio agente mi ha detto che era interessato a me per il film. Ho pensato che non ce l’avrei mai fatta, e il personaggio non era nemmeno scritto per un’asiatica».

È scappata? «Avevo partorito da otto settimane e mia figlia non dormiva mai. Ero stanca, ho chiesto il favore di non farmi nemmeno provare (ride, ndr)».

E invece… «“Sei sicura che non te ne pentirai? È Aronofsky” è stata la frase con cui mio marito mi ha spinta a leggere la sceneggiatura. Ho girato alcune scene e le ho spedite a Darren».

(continua…)

Intervista integrale pubblicata su D la Repubblica del 4 Febbraio 2023

@Riproduzione riservata

Colin Farrell, l’Oscar del cuore

03 venerdì Feb 2023

Posted by cristianaallievi in Academy Awards, Attulità, cinema, Cultura, Mostra d'arte cinematografica di Venezia, Oscar

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Tag

actors, attori, Brendan Gleeson, Colin Farrell, F magazine, GLi spiriti dell'Isola, Hollywood, interviste illuminanti, Martin McDonagh, men, red carpets, style, uomini

È A UN PASSO DALLA SUA PRIMA STATUETTA, MA A 46 ANNI INSEGUE ANCORA L’OBIETTIVO PIU’ IMPORTANTE PER LUI: «ESPRIMERE CON ONESTA’ E AMORE I MIEI BISOGNI, NELLE RELAZIONI SENTIMENTALI, CON GLI AMICI, CON I MIEI FIGLI». PER FARE PRATICA INTERPRETA UN EREMITA A CUI È RIMASTO SOLO UN ASINO

di Cristiana Allievi

Intervista all'attore Colin Farrell che racconta la sua vita, i suoi figli e la sua esperienza nel film Gli spiriti dell'isola.
L’attore irlandese Colin Farrell, 46 anni, vicino all’Oscar per la sua interpretazione in
Gli spiriti dell’isola (courtesy F Magazine).

Da una parte concede pochissime interviste. Lo fa per non rileggere ogni volta un passato che si è impegnato molto a lasciarsi alle spalle. D’altro canto però, l’uomo che ha flirtato per vent’anni con i guai (alcol e droghe, paparazzi e video hard finiti in rete), quando parla è un torrente impetuoso, pieno di mulinelli, gorghi e vortici. Colin Farrell è un uomo ricco di vita e di cose belle da condividere, e il giorno della nostra intervista è vestito con colori chiari, ha i capelli corti ed è di ottimo umore.
L’uomo che è stato così paparazzato da decidere di indossare una maglietta con la scritta “Leave Colin Alone” – un successo tale da diventare una linea di abbigliamento  – oggi è arrivato a una verità importante, che lo rende anche più maturo: «la solitudine è sempre più essenziale per me, e l’ho scoperto grazie alla pandemia». Proprio nella solitudine di Inishmore Island, la più grande isola dell’arcipelago irlandese delle Aran, ha girato il film che gli è già valso la Coppa Volpi a Venezia e un Golden Globe, e con molta probabilità a marzo lo porterà a vincere il suo primo Oscar.  Gli spiriti dell’Isola racconta la vita  in un luogo in cui non c’è molto, a parte tanta erba verdissima, un pub e una comunità chiusa e bigotta. In questo scenario Padraic (Farrell) è un uomo che si prende cura da anni del suo asino, e Colm (Brendan Gleeson) è l’amico di una vita che all’improvviso non vuole più né vederlo né parlare con lui.

«Non ti voglio più bene», «Non sono più tuo amico» sono frasi che feriscono profondamente. Cosa pensa di una comunicazione così diretta?


Credo che le persone usino un linguaggio “brutalmente onesto” per giustificare il loro essere crudeli e meschini. D’altro canto trovo ci sia anche una bassezza nel non comunicare la verità di quello che sentiamo.
In questo cammino verso la comunicazione dei propri sentimenti, lei a che punto è?
Anche se ho 46 anni, sto ancora imparando a esprimere i miei pensieri e i miei bisogni, e vale per le amicizie, le relazioni sentimentali e quelle con i miei due figli. Voglio essere onesto ed esprimermi con amore, ma questo non rende le cose più facili, al contrario.


La cosa più importante che ha capito delle relazioni umane?


Troppo spesso ci dimentichiamo che la responsabilità di un rapporto ricade al 50 per cento su di noi: se manchiamo questo concetto, perdiamo il punto.


Tagliare fuori una persona, o una situazione, o cercare di trasformarla dall’interno: quale via sceglierebbe?


Non sono un grande fan degli opposti,  del “giusto” e “sbagliato”. Siamo tutti d’accordo sul fatto che non sia indicato fare coscientemente del male a qualcuno e godere del dolore causato. Ma credo anche che a volte, se faccio davvero la scelta migliore per me non è detto che questa sia in sintonia con quello che le persone della mia vita  vorrebbero. ¶


Un equilibrio delicato.

(continua…)

Intervista integrale pubblicata su F Magazine del 7/2/2023

@Riproduzione riservata

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