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Archivi tag: House of cards

Robin Wright, «Io ballo da sola»

06 lunedì Feb 2023

Posted by cristianaallievi in arte, Attulità, cinema, Cultura

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Forrest Gump, Here, House of cards, interviste illuminanti, jazz dance, Land, MAtera Film Festival, Robert Zemeckis, Robin Wright, Rupi Kaur, The princess Bride, Tom Hanks

DOPO AVER MESSO LA GIUSTA DISTANZA DAL SUO TERZO DIVORZIO, L’ATTRICE E REGISTA AMERICANA È CONCENTRATA SUL LAVORO. CON UN FILM ACCANTO A TOM HANKS, UNA SERIE TV IN CUI TORNA AL PRIMO AMORE, LA DANZA. E UNA LEZIONE DI VITA CHE HA FATTO PROPRIA: «SII IL CAMBIAMENTO CHE VUOI VEDERE».

di Cristiana Allievi

L’attrice e regista americana Robin Wright in un incontro aperto al pubblico al Matera Film Festival (foto di Gor Monton).

Ho di fronte a me la Jenny amata da Forrest Gump. Ha occhi color blu cupo e un fisico molto tonico evidenziato dai jeans neri indossati con tacchi alti. È di una bellezza che quasi intimorisce. La incontro poco dopo l’ufficializzazione della sua separazione dal terzo marito, Clement Giraudet, 37 anni, manager di Saint Laurent, di solito non un buon momento per un’intervista. Ma Robin Wright sfoggia una calma olimpica e trovarci al Matera Film Festival, nei luoghi di Wonder Woman, aiuta. «Dalla finestra della mia stanza all’hotel Sant’Angelo vedevo il set e mi dicevo “per le prossime due ore non avranno bisogno di me…”, e scappavo da sola in giro per la città. È un posto che lascia senza fiato», ricorda. «Quando la regista Patty Jenkins mi ha chiesto “vuoi essere la regina delle Amazzoni?” ho risposto sì ancora prima di leggere la sceneggiatura».  Figlia di una commessa di cosmetici e di un dirigente farmaceutico separati da quando aveva due anni, Robin è diventata modella a 14, poi attrice. La fama è arrivata con The princess bride a 21 anni, e si è ingigantita quando è diventata moglie di Sean Penn poco dopo che lui aveva lasciato Madonna.  Oggi Robin Wright è una regista e produttrice rispettata, eccelsa nell’arte di difendere la sua privacy, anche con il sorriso.

Sta per iniziare le riprese del nuovo film di Robert Zemeckis, Here, con Tom Hanks, a 22 anni di distanza dal gioiello che vi ha uniti. Poi tornerà alla regia con una serie tv. «The Turnout è tratto da un bestseller, ho chiesto alla sua autrice Megan Abbott di curare un adattamento per il cinema.  Reciterò anche io, e tornerò al mio primo amore. Fra i 12 e 17 anni avevo in mente solo una cosa: andare a New York per danzare a Broadway».

Che stile ballava? «Ero una ballerina di classic jazz, ha presente il musical All that jazz? Quello era il mio genere».

Com’è diventata modella?  «Un agente mi vista pubblicizzare un succo famosissimo in America, Capri Sun.  Eravamo molte danzatrici, mi ha chiesto se volevo recitare. Le ho risposto che ero molto timida, lei mi ha insegnato tante cose ed è diventata la mia agente».

E lei ha rinunciato al sogno di ballare? «All’epoca ho creduto che l’unico modo per farlo avverare sarebbe stato trasferirmi a New York e mantenermi facendo la cameriera mentre tentavo la strada della danza senza nessuna garanzia. Questa donna mi ha procurato audizioni, Santa Barbara è stato il mio primo lavoro serio, avevo 19 anni».

In quella soap ogni uomo che passava la faceva soffrire. Se penso che anni dopo David Fincher l’ha scelta per The house of cards nel ruolo di Claire Underwood, spietata first lady,  mi chiedo quante altre donne ha trovato dentro di sè, fra quei due estremi. «Bella domanda. Oggi le risponderei “non abbastanza”. Ricordo che a 26 o 27 anni mi hanno offerto il ruolo di una cantante molto seduttiva in un night club».

E…? «Mi sono spaventata, credevo che per essere credibile avrei dovuto essere voluttuosa, avere un gran seno, mentre io sono magra e alta».

Un bel problema. «(ride) Voglio dire che ero troppo spaventata per credere di potercela fare, come attrice. Mi ci sono voluti anni e tempo di fronte alla macchina da presa, per infrangere la barriera della paura».

(…continua)

Intervista integrale pubblicata su Donna Moderna del 2 febbraio 2023

@Riproduzione riservata

Jodie Foster: «Non farti mangiare dal Money Monster».

19 giovedì Mag 2016

Posted by cristianaallievi in Cannes, Festival di Cannes

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Alexandra Hedison, Bill Bixby, Cannes 69, Cristiana Allievi, George Clooney, GQ, House of cards, Jodie Foster, Julia Roberts, Martin Scorsese, Mary Lambert, Money Monster, Orange Is the New Black, Taxi driver

Il suo nuovo film da regista è un thriller che incentrato sulle persone: «Volevo raccontare uomini che lottano con il loro profondo senso di fallimento, e guardano al mondo del successo e dei soldi per cercare un valore in se stessi». L’intervista da Cannes 69

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La sua prima volta a Cannes è stata per promuovere Taxi Driver di Martin Scorsese. Quaranta anni dopo è arrivata al Festival più importante del mondo con il suo nuovo film da regista, Money Monster– L’altra faccia del denaro e nello stesso giorno ha presentato la pellicola fuori concorso (oggi anche nelle nostre sale) e inaugurato la serie di incontri Kering Women In Motion, dedicati alle donne che hanno fatto grande la storia del cinema. La sua carriera è iniziata a tre anni, con la pubblicità del Coppertone, ed è proseguita con varie serie tv fino al debutto a cinema con Due ragazzi e… un leone, a soli otto anni. La scaltra teenager di Taxi Driver le ha regalato il riconoscimento internazionale della critica e oggi Jodie Foster, 54 anni, ha più di 40 film all’attivo, quattro pellicole dietro la macchina da presa e un grande successo anche come regista tv, basti vedere alle voci Orange Is the New Black e House of Cards. Madre tedesca e padre americano, la Foster ha due figli, una ex compagna (la sua storica produttrice, Cydney Bernard) e una moglie sposata due anni fa, l’attrice e fotografa Alexandra Hedison. Raccontando la storia di Money Monster dice che è andata più o meno così: ha lavorato alla sceneggiatura per più di due anni, poi l’ha passata a Clooney incaricandolo di ingaggiare la sua storica amica, Julia Roberts, che grazie al film è sbarcata sulla Croisette per la prima volta.

Cosa l’ha attratta della storia di Money Monster? «Volevo raccontare tre uomini che lottano con il loro profondo senso di fallimento, e guardano al mondo del successo, dei soldi e della notorietà per cercare un valore in se stessi. Clooney è un guru televisivo finanziario, la Roberts è la super produttrice del programma, la donna che lo dirige attraverso un auricolare. Il film è mainstream ma è anche un thriller che racconta le persone: volevo tutto insieme, le star e una storia intelligente, che chiedesse agli spettatori di lavorare insieme a noi».

Clooney balla, lancia dardi e spiega agli spettatori il gergo finanziario con oggetti ed effetti sonori. «È stato grandioso nel rendersi un buffone, che alla fine si scopre a fare la cosa giusta. C’è qualcosa di surreale nel vedere quest’uomo di mezz’età dai capelli bianchi che cammina in modo strano e fa una specie di hip hop. George è una scheggia impazzita e Julia cerca di tenere sotto controllo il caos che crea, il fatto che siano amici intimi da anni ha reso il mio lavoro semplice».

Da Margin call a The big short, negli ultimi cinque anni sono usciti molti film sul mondo finanziario. «Credo dipenda dal fatto che oggi è un argomento che tocca la vita di tutti, le nuove tecnologie hanno trasformato il mondo del trading ed è importante che le persone sappiano cosa sta succedendo. Ma la vera novità di questo film sta nel fatto di aver ideato una storia ambientata a Wall Street ma allo stesso tempo lontana da Wall Street».

Ha messo nel mirino la volatilità del denaro e i valori imposti dalla tv. Cosa la influenza, come artista, nelle sue scelte? «Tutto, da chi è stata mia madre al mio background, alla cultura da cui provengo: ogni volta che scegliamo un colore, o un modo di vestirci, lo facciamo in relazione a quello che ci ha influenzati da piccoli. E poi vedo sempre me stessa, in ogni personaggio che interpreto e dirigo».

Ad esempio? «A parte il fatto che ho due figli, se produco un film su un teeneger e mi interessata molto farlo, è perché mi interessa la parte di me stessa che ha 14 anni. Quando dirigo o sviluppo una sceneggiatura mi calo nei corpi dei miei personaggi, e mi chiedo cosa proverei e penserei se fossi loro. Parte del mio interesse nei personaggi maschili viene dalla mia parte maschile. Come mi sono sentita rispetto al fallimento? Agli occhi di mia madre, di cui mi sono presa cura, o delle donne intorno a me? Questo aspetto che emerge in Money Monster è parte di me, del mio maschile, e nella vita si alterna al lato femminile, succede a tutti noi».

Cosa l’ha portata dietro la macchina da presa? «A sei anni ho visto sul set un attore che era anche regista, e mi ha incantata: mi sono detta “da grande voglio farlo anch’io…”. Era Bill Bixby in Una moglie per papà. Sono stata cresciuta da una madre single che mi portava a vedere i film di Lina Wertmuller, della Cavani e Margarethe Von Trotta, sono stata plasmata da queste donne europee, sapendo di voler fare il loro mestiere».

Se dovesse sintetizzare cos’ha imparato, in decenni di carriera? «Da attrice, quando giravo scene in bikini faceva sempre freddo, mentre si crepava di caldo quando mi facevano indossare l’eskimo. Semplicemente lo fai, in qualsiasi circostanza ti trovi, che sia girare un film con l’iphone, o scrivere una commedia o una canzone, se sei un artista semplicemente lo fai, non importa in quali condizioni».

Se si volta indietro, invece, cosa la fa sorridere? «Pensare a quando Mary Lambert mi ha presa da parte, a 23 anni, e mi ha raddrizzata (ride, ndr)».

Cosa intende dire? «È stata l’unica regista donna con cui ho lavorato, eravamo sul set di Siesta.   Mi ha presa da parte, mi ha fatta sedere dicendo “non puoi arrivare in ritardo, è irrispettoso per tutti quelli che ti stanno ad aspettare…”. Oggi il solo ricordo mi imbarazza a morte, ma è stato molto importante. Si è mossa come una brava madre, l’ho davvero ascoltata, perché tieni a quello che ti dice una madre, e non te ne dimentichi».

Le è mai capitato di trovarsi davanti qualcuno che non sapeva fare il suo lavoro? «Purtroppo sì, non farò nomi ma le dico solo che nel momento in cui sono iniziate le riprese non sapeva più cosa fare, si chiudeva in bagno e telefonava alla moglie. Ma mi è successo anche il contrario, di incontrare persone che non mi dicevano niente, fuori dal set, poi sul campo si sono rivelati registi molto capaci».

Cosa influenza lo stile di una leadership? «Molte cose, dalla madre che ci ha cresciuti alla scuola, alla cultura in cui siamo stati immersi. Per esempio mi accorgo di confondere le persone perché sono molto diretta, e mi è stato insegnato che non va bene esserlo. Se qualcuno mi colpisce, si aspetta che risponda in un certo modo, e io non lo faccio… Quando una persona non si comporta come immaginavi, cosa fai come mossa successiva? Spesso la gente resta confusa davanti a donne che non seguono i ruoli tradizionali. Ma tutto, a questo mondo, è destinato a migliorare, e le cose cambieranno… Bisogna solo avere pazienza».

Articolo pubblicato da GQ Italia

© Riproduzione riservata

 

 

 

 

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