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«Con Lolita ho chiuso», parola di Ludivine Sagnier

23 mercoledì Set 2015

Posted by cristianaallievi in cinema

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Bonnie, Cristiana Allievi, François Ozon, Kim Chapiron, Love is in the Air-Turbolenze d’amore, Ludivine Sagnier, Ly Lan, Nicolas Bedos, Swimming Pool

È una delle attrici più quotate, e non solo in Francia, la sua patria. A Parigi, mentre allattava la sua ultima nata, ci ha spiegato perché con i ruoli da Lolita che l’hanno caratterizzata al suo esordio al cinema ha chiuso definitivamente. Adesso è tempo di tradimenti e la politica, ma solo sul set

Ludivine Sagnier, 36 anni, ha iniziato a sfilare a 9 anni e a 10 era già in un film di Resnais (courtesy of zimbio.com).

Ludivine Sagnier, 36 anni, ha iniziato a sfilare a 9 anni e a 10 era già in un film di Resnais (courtesy of zimbio.com).

Gira per la stanza cullando tra le braccia la figlia Tam, di pochi mesi. È la terza arrivata e ha un nome vietnamita come il padre, il regista Kim Chapiron. Ludivine Sagnier arriva al nostro incontro struccata e mi confessa di aver dormito molto poco. Si scuserà più volte, durante la conversazione, perché Tam piangerà spesso e lei la allatterà davanti a me. L’attrice francese, 36 anni, diventata famosa nel 2003 con il film di François Ozon Swimming Pool, in cui interpreta il ruolo di una procace e seducente ragazza, ora è al cinema con Love is in the Air-Turbolenze d’amore, di Alexandre Castagnetti, con Nicolas Bedos. Non faccio in tempo a farle la prima domanda che, ecco, Tam piange: «Mi scusi, devo darle da mangiare. È la prima volta nella mia vita che faccio una cosa del genere durante un’intervista, mi vergogno un po’». Faccio per alzarmi ma lei mi dice di andare avanti con le domande.

Dopo Bonnie, 10 anni, e Ly Lan, 6, è arrivata alla terza maternità. È difficile organizzarsi? «Sì, come per tutte le donne che lavorano. Pianifico ogni impegno al millesimo di secondo».

Quante babysitter ha? «Una, più una persona che mi aiuta in casa, fine. Il resto lo faccio io, come ogni donna che lavora».

È un caso raro che una 36enne in carriera abbia tre figli. «Non in Francia. Anche l’attrice Isabelle Huppert ne ha tre. Ma forse ha ragione lei: tre sono tanti, si deve cambiare spesso l’automobile, pensare sempre più in grande».

È diverso adesso il modo in cui sceglie i film? «In questo momento ho meno voglia di assentarmi per lunghi periodi e di andare lontano da casa, ma credo fermamente che anche per i figli sia importante avere una madre realizzata. Lavorare fa bene».

Al cinema ha iniziato con personaggi simili al cliché dell’adolescente sexy alla Lolita, in Turbolenze d’amore è una single 30enne che sogna l’amore con la A maiuscola. È una svolta? «Tutti invecchiamo, non si può interpretare Lolita fino a 50 anni. Trovo che questa donna single sui 30 anni sia molto attuale. È giovane, vuole essere indipendente, ma ha comunque un’idea romantica dell’amore. Non trova tutto questo molto moderno?».

Il film affronta anche il tema del tradimento.
«È stato interessante studiare l’aspetto della gelosia. In Turbolenze d’amore si capisce quanto sia un sentimento che nasce dall’insicurezza. È bello vedere che cosa scatena un’emozione così forte e distruttiva: che il tuo fidanzato ti tradisca davvero o meno quasi non conta».

Lei è gelosa?
«No, ma so che stiamo parlando di un sentimento pericoloso quanto la tossicodipendenza. La buona notizia è che con una psicoterapia mirata si può guarire».

Ha già interpretato donne molto diverse tra loro. Con quale nuovo personaggio si cimenterebbe?
«Mi mancano le donne di potere, per esempio le politiche. Non ne ho nessuna in mente, ma è un mondo che mi attira».

Sono pochi i ruoli per le donne, al cinema? Il cinema è sessista?
«Purtroppo sì. Ci sono ruoli favolosi per le 20enni, poi per le 40enni: nell’età di mezzo, invece, sembra che non succeda nulla di interessante. Io sono troppo giovane per fare la 40enne e troppo grande per essere una 20enne. Ma non mi posso lamentare perché lavoro lo stesso».

Come si sentirebbe se le sue figlie facessero il suo mestiere?
«Bonnie, la più grande (avuta dall’attore Nicolas Duvauchelle, ndr), è già apparsa nei miei film, l’unica regola che ho dato è stata: “solo un giorno di riprese”. Le bambine vengono sempre con me sul set, dopo la scuola, do loro compiti speciali. Chiedo di annotare i nomi degli elettricisti, dei macchinisti, oppure di descrivere che cosa succede durante la giornata. Voglio che imparino che puoi fare molte cose su un set, che non c’è solo il mestiere dell’attrice e del regista».

Lei quale altro mestiere sogna?
«Amo cantare, vorrei farlo di più. E spero di girare presto il film scritto da mio marito».

 Intervista uscita su Grazia del 4 settembre
© Riproduzione riservata

Yann Arthus-Bertrand, il regista che racconta gli esseri umani

21 lunedì Set 2015

Posted by cristianaallievi in Mostra d'arte cinematografica di Venezia

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Tag

6 miliardi di Altri, Bettencourt Shueller, cambiamenti climatici, Cristiana Allievi, Earth from above, emergenza pianeta, festival di Venezia, Human, Onu, Yann Arthus-Bertrand

Yann Arthus Bertrand, regista, scrittore, giornalista e fotografo francese.

Yann Arthus Bertrand, regista, scrittore, giornalista e fotografo francese (courtesy of artfinding.com)

C’è un uomo che racconta cosa si prova a uccidere. Una donna che ammette quanto le sia costato seguire i desideri di sua nonna, invece dei propri. E poi c’è chi ha così fame da ridursi a raccogliere i chicchi di riso da terra, negli anfratti delle strade del proprio villaggio. Si procede così per tre ore e 15 minuti, il tempo in cui sono stati condensati quattro anni di interviste a esseri umani provenienti da ogni angolo del pianeta, dall’Alaska all’Equador, sui temi più diversi. Si va dall’amore alla fame, dalla criminalità alla sessualità, e le parole si alternano alla bellezza straordinaria delle immagini della natura, e della musica che le accompagna. Con Human lo scopo di Yann Arthus-Bertrand, regista, fotografo, cineasta, ambientalista, narratore e maestro indiscusso delle riprese aeree, era quello di consegnare un ritratto del genere umano nella sua globalità e nelle sue infinite sfumature. Dopo Home, il film inchiesta sullo stato del pianeta visto da più di 600 milioni di persone, il nuovo film verrà presentato in anteprima mondiale al festival di Venezia, il 12 settembre, in contemporanea con il palazzo delle Nazioni Unite a New York. A un certo punto di Human un bambino stregone che è stato cacciato dalla sua famiglia dice “abbiamo tutti una missione su questa terra, e tocca a me trovarla..”. È forse questa la lezione più importante che Yann vuole lasciare allo spettatore, come racconta ad Icon proprio a Venezia, a poche ore dalla proiezione del film.

Lei è un maestro indiscusso delle riprese aeree. Da dove nasce il suo interesse per questa visione dal cielo? «Quando avevo trent’anni io e mia moglie siamo andati in Kenia a studiare i leoni per scrivere una tesi. Volevo diventare uno scienziato, ma non avevo i requisiti necessari e non volevo tornare a studiare. Così ho pensato a un dottorato sul comportamento dei leoni, e abbiamo scelto di seguire un’intera famiglia».

Per quanto li ha seguiti? «Per tre anni, tutti i giorni. Io fotografavo, mia moglie scriveva. Il leone è stato il mio maestro, quando ho scoperto la fotografia, grazie a lui ho imparato tutto sulla della bellezza evidente e sulla pazienza. A un certo punto è arrivata l’esigenza di studiare l’aspetto della territorialità, avevo bisogno di vedere le cose diversamente. E dall’alto registri cose insospettabili rispetto a quando sei a terra».

A quel punto ha deciso di fare il fotografo per davvero… «Sono tornato in Francia, era il grande momento del National Geographic, di Geo, di Airone da voi in Italia. Sono diventato il fotografo di wildlife e ho smesso di studiare. Era una vita meravigliosa, giravo per il mondo e guadagnavo. Poi ho scritto un libro che ha avuto enorme successo, Earth from above, ho guadagnato abbastanza da poter creare la mia fondazione».

Com’è nata, invece, la sua passione per il racconto in immagini filmate? «Nel 1991 per un guasto a un elicottero sono rimasto qualche giorno in un villaggio nel Mali, presso una famiglia di agricoltori di sussistenza. Sono un milione nel mondo, persone che non vendono i loro prodotti, coltivano la terra per solo sfamare la famiglia, e non sanno né leggere né scrivere. In quei due giorni mi hanno raccontato la loro vita, le loro angosce sulla morte e la malattia, il dispiacere per il fatto che i figli non potessero avere un’istruzione. Sapevo già quelle cose, ma mi sono accorto che sentirle dalla voce delle persone era diversissimo dal leggere il racconto di un giornalista. Io, che facevo le riprese aeree di tutti quegli omini, ho iniziato a chiedermi cosa avrebbero avuto da raccontarmi. Da lì è iniziato il progetto di 6 miliardi di Altri, una mostra multimediale precedente a Human.

La sua scelta è di comunicare cose di forte impatto ma senza alcun sensazionalismo, né spinta. «Ciascuno di noi reagisce per come è, a ciò che vede. C’è chi mi ha detto che non ha potuto vedere il film completo, era troppo violento… Tutte le persone che si vedono sullo schermo sono me e te, sono uno specchio. Ma concordo sull’assenza di sensazionalismo, io preferisco raccontare la verità senza giocare, certo è che un bambino che dice di essere stato venduto dai suoi genitori, è violentissimo da ascoltare».

Cosa pensa del cinema “normale”? «Non sopporto più la violenza gratuita, gli attori che fingono di soffrire, oggi c’è una grande confusione tra realtà e fantasia. La violenza è qualcosa che parte dall’economia, vivo in un paese che è il terzo produttore di armi al mondo, un paese che difende i diritti umani e allo stesso tempo vende aerei e missili che uccideranno bambini, colpendo una scuola. Non capisco perché siamo ancora in questa dinamica di violenza e di odio, la morte di un bambino è un’idea inaccettabile per me».

I problemi più urgenti del pianeta quali sono, secondo lei? «Non sono economici, quanto i cambiamenti climatici e i rifugiati. Dobbiamo smettere di combattere e aprire la mente, il papa ce lo ripete ogni giorno. Se non lo facciamo, esplodiamo. Il mio film parla di questo, di che cosa siamo al mondo a fare, di cosa significa essere esseri umani e di qual è la nostra missione».

È facile da trovare, secondo lei? «Dico spesso che è relativamente facile avere successo nella propria vita professionale, mentre è molto più complicato riuscire nella nostra vita in quanto esseri umani. Ma è a questo che dobbiamo tendere, ed è per questo che dobbiamo usare la nostra intelligenza».

Il nuovo film, Human, ha il sostegno di due colossi dell'impegno umanitario, la Fondazione Bettencourt Shueller e la Fondazione GoodPlanet, dello stesso Arthus-Bertrand .

Il nuovo film, Human, ha il sostegno di due colossi dell’impegno umanitario, la Fondazione Bettencourt Shueller e la Fondazione GoodPlanet, dello stesso Arthus-Bertrand .

Nel suo film una persona dice che la vita dell’uomo è più facile di quella della donna. Lo crede anche lei? «Innanzitutto credo che le donne non abbiano abbastanza potere sulla terra. Hanno un’intelligenza istintiva che le porta dritte a ciò che è essenziale, e credo dipenda dal fatto che la loro ambizione è riuscire a creare una famiglia, per cui serve intessere relazioni. Mentre l’uomo cerca la realizzazione professionale, e vuole realizzarsi attraverso di essa. Ma la felicità passa attraverso le relazioni e la crescita insieme, non i propri interessi personali».

Dopo il 12 settembre Human potrà contare su una distribuzione capillare in tutto il mondo, grazie al sostegno di network, della rete, dei cinema e delle televisioni.

Articolo pubblicato su Icon Panorama di settembre 2015

© Riproduzione riservata

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