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Cristiana Allievi

~ Interviste illuminanti

Cristiana Allievi

Archivi Mensili: gennaio 2022

Sophie Marceau, Il tempo delle scelte

14 venerdì Gen 2022

Posted by cristianaallievi in Attulità, Cannes, cinema, Miti, Personaggi, Senza categoria

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Tag

È andato tutto bene, eutanasia, Francois Ozon, Il tempo delle mele, interviste illuminanti, Sophie Marceau, Vanity Fair

NEGLI ANNI OTTANTA CI HA CONQUISTATI CON IL PRIMO BACIO. ORA AL CINEMA SOPHIE MARCEAU CI FA RIFLETTERE SULL’EUTANASIA. MA IL TEMPO NON L’HA CAMBIATA (O FORSE L’HA MIGLIORATA)

di Cristiana Allievi

L’attrice e produttrice Sophie Marceau come l’avevamo conosciuta nel film cult degli anni Ottanta, Il tempo delle mele. Si racconta nell’intervista uscita su Vanity Fair il 5 gennaio 2022.

Si avvicina con passo deciso. Quando me la ritrovo davanti fatico a credere che abbia 55 anni: ne dimostra dieci di meno. Avvolta in un tailleur color panna,  l’attrice che negli anni Ottanta era l’idolo delle ragazzine grazie a Il tempo delle mele, accavalla le gambe in un modo che riesce solo alle dive francesi. Tra i suoi fan più appassionati c’è persino il regista Francois Ozon, che è riuscito ad averla in un suo film al terzo  tentativo.  La vedremo dal 13 gennaio in È andato tutto bene, adattamento del bellissimo libro di Emmanuèle Bernheim (Einaudi) in cui l’autrice condivide una parte di storia personale vissuta con suo padre. In Concorso all’ultimo festival di Cannes, il film vede Marceau interpretare la figlia di un uomo pieno di carisma e di successo, che però è stato un pessimo genitore. E dopo aver scoperto di essere malato,  le gioca un ultimo colpo basso chiedendole di aiutarlo a morire.

Francois Ozon l’ha inseguita per anni. «In realtà prima di questo progetto ci eravamo incontrati di persona solo altre due volte. Non ho mai accettato di recitare per lui perché non mi sentivo a mio agio nei ruoli che mi proponeva. Ma amo i suoi film dal primo che ha diretto (Sitcom, la famiglia è simpatica, del 1998, ndr). Quando mi ha mandato la sceneggiatura di È andato tutto bene mi ha colpita la nettezza, quel non perdersi nelle emozioni.  Abbiamo girato per due mesi, e anche se da attrice non sai mai quale sarà l’esito del tuo lavoro la collaborazione con Francois è stata perfetta».

Avete discusso di eutanasia, prima di girare questo film? «Certo, è importante sapere come la pensa un regista perché si possono vedere le cose molto diversamente.  Ho provato ad approcciare il tema dal lato psicologico, visto il tema. Ma lui mi rispondeva “si ok, che cosa stavamo facendo?”. Ozon è un uomo che vede e capisce tutto, ma è di poche parole». 

Però la ama: ha addirittura inserito nel suo lavoro precedente la scena de Il tempo delle mele in cui Pierre Cosso le mette le cuffiette del walkman… «Non lo ha fatto per me, semplicemente perché era innamorato dell’epoca incarnata dal film. È stata la nostalgia di quando eravamo giovani a ispirarlo, sappiamo tutti di cosa si tratta».

Oggi come vede Il tempo delle mele? «È stato un film super, grazie al quale abbiamo poi viaggiato in giro per il mondo. Non è stato solo turismo, in realtà ricordo molte stanze d’albergo. Però ho incontrato tante persone diverse, dal Giappone all’Italia, con cui discutere di un argomento universale: il primo bacio».

Anche in questo caso il tema è universale, se vogliamo… «Quello era il primo bacio, questa è la prima morte. Diciamo che è stato meno leggero da girare (ride, ndr)».

Che tipo di emozioni ha portato a galla, la morte? «Uno tsunami di emozioni, dalla risata alla disperazione. La perdita di una persona cara cambia gli equilibri delle vite di chi resta».

(continua…)

Intervista integrale pubblicata su Vanity Fair del 17/12/2021

©Riproduzione riservata

Astrid Casali, «La mia vita nell’aria».

11 martedì Gen 2022

Posted by cristianaallievi in arte, cinema, Cultura, Mostra d'arte cinematografica di Venezia

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Tag

America Latina, Astrid Casali, Cinema Italiano, Elio Germano, famiglia, interviste illuminanti, Latina

Da bambina recitava con il padre regista, e sognava un futuro da attrice. Astrid Casali ha realizzato il suo desiderio ma deve fare i conti con il caos che ogni tanto torna a farle visita. E che lei combatte a colpi di boxe.

di Cristiana Allievi

Astrid Casali, 29 anni, attrice.

Si materializza come dal nulla nel lounge bar all’ultimo piano di un hotel di Milano con vista Stazione Centrale. Si scusa per essere arrivata con quindici minuti di anticipo al nostro appuntamento, ma lo fa con accento romano. «Lo dice anche la mia maestra di canto, è colpa delle mie frequentazioni in centro Italia», racconta con occhi verdi tranquilli. 29 anni, milanese ma nata a Ponte dell’Olio, provincia di Piacenza, Astrid Casali è la protagonista femminile del film America Latina, dei fratelli D’Innocenzo, in Concorso all’ultima Mostra di Venezia e nelle sale dal 13 gennaio. Il bello di incontrare un “volto nuovo” come lei è scoprire in diretta certi legami importanti. Per esempio un filamento del dna che la collega a Renzo Casali, l’attore e regista che nel 1969, insieme alla moglie fondò una rivoluzionaria  compagnia teatrale a Buenos Aires, la Comuna Baires.  In tournée in tutto il mondo, arrivarono in Italia dopo l’esilio dall’Argentina. «Eh sì, quello era mio padre…», commenta con un pizzico di orgoglio quando nomino l’artista che portò  il metodo Stanislavskij in Italia. «La storia di mio padre è lunghissima, ne conosco solo lo 0,5 per cento. È stato ispiratore di una compagnia che era anche una comune, purtroppo nel 2010 ci ha lasciati».

E come si cresce, con un padre simile? «Ho frequentato il liceo classico Berchet, ma all’ultimo anno me ne sono andata».

Dove? «Al Tito Livio».

Il motivo? «Quello superficiale è che mi ero lasciata con il mio fidanzato di allora, che era in classe con me. Ma la verità è che il Berchet era troppo duro».

E come è andata al Livio? «In tre settimane sono diventata una bulla.  Ho sviluppato una doppia natura, un’alternativa a quella molto seria e “berchettiana”».

Cosa faceva, da bulla? «Appena arrivata ero disorientata. Poi ho visto cosa facevano i compagni e ho iniziato a liberare la mia goliardia. Con lo studio, invece, ho vissuto di rendita per quasi tutto l’anno».

All’Università ci è andata? «No, e ogni tanto penso di iscrivermi ad Antropologia o Filosofia.  Mentre all’epoca ho frequentato una scuola serale di teatro, il Centro Studio Attori».

Quando ha deciso che voleva recitare? «A tre o quattro anni, ero in uno spettacolo teatrale con mio padre, finito poi al Fringe Festival di Edimburgo. Poi sono arrivati un corto a cui sono molto legata e un film per la tv svizzera».

Just in God è il corto.  «L’ho girato al Berchet nonostante frequentassi ancora le medie. Ero una ragazzina bruttina, sfigata e bullizzata che a un certo punto del suo diario, vedendo la foto di Justin Timberlake, inizia a parlargli come fosse Dio».

Cosa le diceva il Dio Timberlake? «“Cosa stai facendo? Devi reagire!”, era un invito a manifestarsi per come si è, un invito ad esserci. Vorrei molti più ruoli così liberi, scuri e ironici, ma per noi donne sono una rarità».

A nove anni però lei era già protagonista in La diga di Fulvio Bernasconi. «Mia madre era andata a fare un casting per il ruolo della madre ma era troppo grande. Hanno voluto me come figlia, e quello di Giorgia era un doppio ruolo: una bambina vera e un fantasma, che si dovevano anche incontrare».

A Venezia si è parlato di lei come della nuova scoperta del cinema italiano. «I fratelli D’Innocenzomi avevano vista  in Strategie Teatrali, al teatro India di Roma, almeno quattro anni prima di girare America Latina».

(continua…)

Intervista integrale su Vanity Fair n. 1 del 5 gennaio 2022

©Riproduzione riservata

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