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Cristiana Allievi

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Cristiana Allievi

Archivi tag: Elio Germano

Astrid Casali, «La mia vita nell’aria».

11 martedì Gen 2022

Posted by cristianaallievi in arte, cinema, Cultura, Mostra d'arte cinematografica di Venezia

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Tag

America Latina, Astrid Casali, Cinema Italiano, Elio Germano, famiglia, interviste illuminanti, Latina

Da bambina recitava con il padre regista, e sognava un futuro da attrice. Astrid Casali ha realizzato il suo desiderio ma deve fare i conti con il caos che ogni tanto torna a farle visita. E che lei combatte a colpi di boxe.

di Cristiana Allievi

Astrid Casali, 29 anni, attrice.

Si materializza come dal nulla nel lounge bar all’ultimo piano di un hotel di Milano con vista Stazione Centrale. Si scusa per essere arrivata con quindici minuti di anticipo al nostro appuntamento, ma lo fa con accento romano. «Lo dice anche la mia maestra di canto, è colpa delle mie frequentazioni in centro Italia», racconta con occhi verdi tranquilli. 29 anni, milanese ma nata a Ponte dell’Olio, provincia di Piacenza, Astrid Casali è la protagonista femminile del film America Latina, dei fratelli D’Innocenzo, in Concorso all’ultima Mostra di Venezia e nelle sale dal 13 gennaio. Il bello di incontrare un “volto nuovo” come lei è scoprire in diretta certi legami importanti. Per esempio un filamento del dna che la collega a Renzo Casali, l’attore e regista che nel 1969, insieme alla moglie fondò una rivoluzionaria  compagnia teatrale a Buenos Aires, la Comuna Baires.  In tournée in tutto il mondo, arrivarono in Italia dopo l’esilio dall’Argentina. «Eh sì, quello era mio padre…», commenta con un pizzico di orgoglio quando nomino l’artista che portò  il metodo Stanislavskij in Italia. «La storia di mio padre è lunghissima, ne conosco solo lo 0,5 per cento. È stato ispiratore di una compagnia che era anche una comune, purtroppo nel 2010 ci ha lasciati».

E come si cresce, con un padre simile? «Ho frequentato il liceo classico Berchet, ma all’ultimo anno me ne sono andata».

Dove? «Al Tito Livio».

Il motivo? «Quello superficiale è che mi ero lasciata con il mio fidanzato di allora, che era in classe con me. Ma la verità è che il Berchet era troppo duro».

E come è andata al Livio? «In tre settimane sono diventata una bulla.  Ho sviluppato una doppia natura, un’alternativa a quella molto seria e “berchettiana”».

Cosa faceva, da bulla? «Appena arrivata ero disorientata. Poi ho visto cosa facevano i compagni e ho iniziato a liberare la mia goliardia. Con lo studio, invece, ho vissuto di rendita per quasi tutto l’anno».

All’Università ci è andata? «No, e ogni tanto penso di iscrivermi ad Antropologia o Filosofia.  Mentre all’epoca ho frequentato una scuola serale di teatro, il Centro Studio Attori».

Quando ha deciso che voleva recitare? «A tre o quattro anni, ero in uno spettacolo teatrale con mio padre, finito poi al Fringe Festival di Edimburgo. Poi sono arrivati un corto a cui sono molto legata e un film per la tv svizzera».

Just in God è il corto.  «L’ho girato al Berchet nonostante frequentassi ancora le medie. Ero una ragazzina bruttina, sfigata e bullizzata che a un certo punto del suo diario, vedendo la foto di Justin Timberlake, inizia a parlargli come fosse Dio».

Cosa le diceva il Dio Timberlake? «“Cosa stai facendo? Devi reagire!”, era un invito a manifestarsi per come si è, un invito ad esserci. Vorrei molti più ruoli così liberi, scuri e ironici, ma per noi donne sono una rarità».

A nove anni però lei era già protagonista in La diga di Fulvio Bernasconi. «Mia madre era andata a fare un casting per il ruolo della madre ma era troppo grande. Hanno voluto me come figlia, e quello di Giorgia era un doppio ruolo: una bambina vera e un fantasma, che si dovevano anche incontrare».

A Venezia si è parlato di lei come della nuova scoperta del cinema italiano. «I fratelli D’Innocenzomi avevano vista  in Strategie Teatrali, al teatro India di Roma, almeno quattro anni prima di girare America Latina».

(continua…)

Intervista integrale su Vanity Fair n. 1 del 5 gennaio 2022

©Riproduzione riservata

Elio Germano: «È ora di sognare in grande».

10 giovedì Dic 2020

Posted by cristianaallievi in arte, cinema, Cultura, Miti, Netflix, Politica

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Tag

Elio Germano, Giorgio Rosa, Grazia, idee geniali, interviste illuminanti, L'incredibile storia de L'isola delle rose, Rimini Sessantotto

di Cristiana Allievi

Nel suo ultimo film Elio Germano è un ingegnere che realizza un’idea impossibile: costruire un’isola artificiale al largo della Romagna. «Adesso dovremmo avere tutti», dice, «l’entusiasmo di chi osa per dare un futuro migliore a tutti»

L’attore e cantante Elio Germano, 40 anni.

È di Elio Germano uno dei primi esperimenti mondiali di teatro in realtà virtuale. Con tanto di occhiali e cuffie, ha fatto immerge gli spettatori in una dimensione che confonde immaginario e reale.  Segnale d’allarme – La mia battaglia VR, tutt’ora in cartellone nei teatri italiani, non mi viene in mente per caso. Anche il personaggio che gli ho appena visto interpretare nel film di Netflix, disponibile dal 9 dicembre, è un ingegnere emiliano realmente esistito che ha avuto un’idea molto brillante.

Elio Germano  è diventato padre per la seconda volta, da poco. Ma difende la sua vita privata come un leone difende i suoi cuccioli. «Che elementi hai per dire che sono padre?», mi chiede quando accenno alla sua vita famigliare. Nel film L’incredibile storia de L’isola delle rose, diretto da Sydney Sibilia e prodotto dallo stesso con Matteo Rovere, è Giorgio Rosa, un uomo che nel Sessantotto si è inventato speciali pali d’acciaio su cui costruire un’isola al largo di Rimini. Una superficie di cemento di 400 metri quadri, fuori dalle acque territoriali, proclamato poi stato indipendente, che ha attirato presto l’interesse di stampa e gente in fuga da mezzo mondo.

Nel Sessantotto, anno in cui è ambientato il film, non era nemmeno nato. Come si è preparato a quell’universo? «Una persona molto presa da quello che studia, com’è l’ingegnere che interpreto, è un po’ la stessa in tutte le epoche. Sono quei tipi d’uomo che  non guardano nemmeno a come si abbottonano la giacca o si pettinano i capelli. Non hanno idea di quello che fa il loro corpo, sono tutti persi nella loro mente».

Stavo per dire che con i capelli rossicci un po’ più lunghi del solito, e giacche favolosamente eccentriche, ha il look migliore di sempre. «Che però il mio personaggio indossa con distrazione, un po’ come fanno questi geni di oggi, che poi sono più geni della vendita che dell’ideazione di un prodotto. Penso ai ragazzi della silicon valley, con quesi look monocromatici fatti di maglietta nera e jeans».

L’ingegneria è mai stata nei suoi piani? «Ho frequentato il liceo scientifico e mio padre è un architetto. Gli ho dato una mano in studio per un po’, quindi una possibilità c’è stata. Ti costringono a prendere una direzione a soli 14 anni, quando le uniche certezze che hai sono ciò che fanno i tuoi genitori i tuoi genitori, e mio padre aveva frequentato lo scientifico».

Però? «Io con la matematica non avevo feeling, all’Università ho scelto Filosofia».

Facoltà in cui trionfano le idee, come sull’isola delle rose. «La differenza è che l’ingegnere in questione ha un’idea geniale e la concretizza, direi quasi che prima di avere un’idea l’ha già costruita. Il suo intento è stato costruire qualcosa nel mare che si reggesse da solo. La sua invenzione più importante, e brevettata, sono pali telescopici simili all’antenna delle vecchia tv ma che funzionano al contrario: invece di andare verso il cielo, scendono sott’acqua, riuscendo a infilarsi nel terreno e a sopportare un grande peso».

(continua…)

Intervista pubblicata su Grazia del 17 dicembre 2020

© Riproduzione riservata

Elio Germano: «Un figlio ti cambia prima di nascere».

21 mercoledì Nov 2018

Posted by cristianaallievi in cinema, Festival di Cannes, Personaggi

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Tag

Alba Rohrwacher, attori, Elio Germano, Gianni Zanasi, Madonna, relazioni, sopranaturale, Troppa Grazia

Sullo schermo ci ha abituati a personaggi di ogni tipo. Disadattati sociali, delinquenti, poeti leggendari, figli di ricchi contemporanei. L’ultimo è il ragazzo con il codino di Troppa grazia, ostinato nel cercare di tornare con la fidanzata che lo ha piantato da tempo, che è tormentata dalle apparizioni mistiche. Al confronto, la sua vita fuori dal set è molto meno avventurosa: sta da tre anni con Valeria, maestra di sostegno, di cui sappiamo pochissimo. Se non che nel 2017 è nato il loro primo figlio.  Attore e musicista, leader da vent’anni del gruppo rap Bestierare, tempo fa aveva detto: “Non potrei mai stare con una che fa il mio stesso mestiere. Quando torno a casa devo staccare”. Sulla paternità, invece, riusciamo a strappargli solo una battuta: «Mio figlio è ancora piccolo, ma in generale credo che non sia un bambino a cambiarti. Succede prima, quando decidi di diventare genitore». Fine delle confidenze, si torna a parlare dell’ultimo film, nelle sale dal 22 novembre.

Arturo, il personaggio che interpreta in Troppa Grazia, non ha figli. Ma le somiglia, almeno un po’? «Con il lavoro che faccio mi sembra di assomigliare a tutto e al contrario di tutto, mi dimentico di come sono fatto. Non lavoro razionalmente sulle similitudini fra me e i personaggi che interpreto. Arturo è un uomo in balia della sua donna, di cui è innamorato nonostante lei lo abbia lasciato da tempo. È molto ancorato alla realtà, ha problemi assurdi e non si fa contagiare dai sognatori che lo circondano».

Si riconosce, almeno nella sua determinazione? «Nell’ossessione direi, soprattutto quando lavoro. In un certo senso inventarsi un mondo che non c’è, relazioni che non si hanno, pensare che sei a letto con tua moglie o in stanza da solo a sognare, mentre di fronte a te vedi macchinari che si muovono mossi da operai, è roba da autistici e ossessionati».

Il film inizia con una discussione fra il suo personaggio e quello di Alba,  sul tradimento e come i maschi lo affrontino solo con il corpo… «È una voluta sequenza di stereotipi, dimostra quanto sia difficile non cadere in concetti pre masticati da qualcun altro, invece di pensare con la propria testa. Ci appoggiamo a dei sentiti dire che strutturano la nostra vita, e questo riguarda anche questioni più gravi, come la violenza sulle donne, che si stanno ampliando».

A cosa si riferisce? «Al #MeToo, per esempio. In questi mesi si sono creati stereotipi da entrambe le parti, ora è difficile arrivare a un dialogo davvero costruttivo. Si passa alle generalizzazioni, ho letto che in Francia ci si chiede se fare l’amore con la propria donna, mentre dorme, sia una forma di stupro o meno».

Nemmeno gli stereotipi sul tradimento sono solo veri, secondo lei? «Non c’è differenza fra uomini e donne su un argomento simile, dipende da come si imposta la propria vita e su cosa si basa un rapporto. Ho visto coppie che si definiscono aperte, composte da donne, uomini o da entrambe i sessi, e anche che stanno in tre, in quattro… Sono questioni private, è difficile generalizzare».

(continua…)

Intervista integrale pubblicata su F del 28 Novembre 2018.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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