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Cristiana Allievi

~ Interviste illuminanti

Cristiana Allievi

Archivi tag: D La repubblica

Hong Chau, oceani e Balene

04 sabato Feb 2023

Posted by cristianaallievi in Academy Awards, cinema, Cultura, Mostra d'arte cinematografica di Venezia, Oscar

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cinema, D La repubblica, Darren Aronofsky, Hong Chau, interviste illuminanti, The Whale

Dal Vietnam ad Hollywood, la protagonista di The Whale punta all’Oscar con un film molto drammatico. Poi sarà la volta di Wes Anderson e Ralph Fiennes

di Cristiana Allievi

L’attrice vietnamita naturalizzata statunitense Hong Chau, classe 1979. Candidata agli Oscar per The whale, di Darren Aronifsky,

Ha un volto che resta impresso nella mente. Ma soprattutto, Hong Chau ha una vita degna di un romanzo picaresco. I suoi sono scappati dalla guerra in Vietnam nel 1979, la madre era incinta di lei e il fratello aveva cinque anni. La notte della fuga suo padre è stato ferito e ha sanguinato per tre giorni, non bastasse, durante il viaggio in mare sono stati derubati due volte dai pirati, prima di essere portati in salvo in Tailandia da una barca di pescatori giapponesi. Poco dopo, è nata lei in un campo profughi. Non stupisce che qualsiasi cosa faccia lasci il segno. È successo in Downsizing, Vivere alla grande di Alexander Payne (ma aveva già lavorato con Paul Thomas Anderson in Vizio di forma e nella serie tv Big Little Lies), e si ripeterà dal 23 febbraio con The whale di Darren Aronofski (I Wonder Pictures), con un ruolo per cui è stata nominata ai Bafta. Nella storia tratta  dall’opera teatrale di Samuel D. Hunter, è Liz, la storica amica di Charlie,  “la balena” a cui si riferisce il titolo. Brendan Fraser interpreta l’uomo in grande sovrappeso, un solitario insegnante di inglese la cui vita è andata completamente fuori rotta. Lo assiste in tutto, incluso il tentativo di riavvicinarsi alla figlia adolescente, diventata quasi un’estranea.

Una manciata di film significativi, ed è già da Aronofsky: ha un segreto? «Il mio agente mi ha detto che era interessato a me per il film. Ho pensato che non ce l’avrei mai fatta, e il personaggio non era nemmeno scritto per un’asiatica».

È scappata? «Avevo partorito da otto settimane e mia figlia non dormiva mai. Ero stanca, ho chiesto il favore di non farmi nemmeno provare (ride, ndr)».

E invece… «“Sei sicura che non te ne pentirai? È Aronofsky” è stata la frase con cui mio marito mi ha spinta a leggere la sceneggiatura. Ho girato alcune scene e le ho spedite a Darren».

(continua…)

Intervista integrale pubblicata su D la Repubblica del 4 Febbraio 2023

@Riproduzione riservata

Sharon Confidential

15 lunedì Nov 2021

Posted by cristianaallievi in Attulità, cinema, Cultura, giornalismo, Miti, Personaggi

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Basic Instinct, biografia, D La repubblica, Hollywwod, interviste illuminanti, malattia, Sharon Stone, vita, ZFF

Premiata con il Golden Icon Award al Festival di Zurigo, la star americana Ms. Stone si racconta. Un’infanzia difficile, problemi di salute, gli abusi, un divorzio. Il segreto del suo successo? Proprio i fallimenti, che «diventano il fondamento delle nostre grandi riuscite». E un padre che le ha detto dall’inizio: «Devi imparare a vincere, vincere, vincere!»

di Cristiana Allievi

  • L’attrice e produttrice americana Sharon Stone, 63 anni, appena premiata con il Golden Icon Award al Festival di Zurigo.

È bellissima, e molto magra. Ha tagliato i capelli biondi, passando dal caschetto al corto più deciso, una mossa vincente. Il lamè del tailleur che indossa rafforza la luce che emana il viso. Eppure Sharon Stone vuole dare a chi la incontra la versione migliore di sé, al di là dell’aspetto fisico. «Sono molto timida, e ogni giorno dico sempre la stessa preghiera. Chiedo di essere usata per fare il bene migliore al maggior numero di persone possibile, e di essere guidata nel mio scopo del giorno. E poi permetto a me stessa di essere completamente presente». È quando apre bocca, infatti, che la Catherine Tremell di Basic Instinct da il meglio di sé. 63 anni, nei primi 40 ha conosciuto il successo che ti toglie la libertà. Quella di andare al supermercato, di farti un weekend al mare o semplicemente due passi con le amiche. Un prezzo impegnativo da pagare anche per una ragazza cresciuta in Pennsylvania con una madre cameriera e un padre che dopo un’esplosione ha perso tutto (nel business del petrolio). Ma per Sharon Stone, la “donna che piange a comando”, come ha detto di lei un regista per descriverne le doti, il successo è stata solo una delle tante cose da attraversare. La più radicale è avvenuta dopo un’emorragia cerebrale che ha messo a tappeto matrimonio, carriera ed economia. «Il mio cervello ha sanguinato per nove giorni, poi ho avuto un ictus. Avevo poche possibilità di sopravvivere, un figlio di un anno e un matrimonio per nulla meraviglioso». Solo che invece di chiamarlo disastro, lei lo definisce un “risveglio”.  «È stato difficilissimo. I miei genitori sono venuti a stare con me, mio padre mi ha molto aiutata. All’epoca non c’erano cure per l’ictus e avevo molti strascichi, distorsioni visive, problemi a camminare, dall’orecchio sinistro non sentivo quasi più nulla, la gamba sinistra era irriconoscibile a livello di sensibilità. Poi il mio amico Quincy Jones mi ha invitata a cena durante le vacanze di Natale. Era guarito da molti problemi grazie a un medico,  il dottor Hart Cohen, e voleva che lo incontrassi anch’io (è quello che ha guarito anche la leggenda del country Glen Campbell, ndr).  Quando non pensavo più che sarei riuscita a tornare a lavorare, ha fatto la diagnosi giusta». E delle 16 medicine che prendeva ogni giorno, le ha dato l’unica che le sarebbe servita. «È stata una disintossicazione dura, mia madre mi ha assistita in questo difficile processo». Il periodo di convalescenza è coinciso con un divorzio (da Phil Bronstein), e con l’arrivo di altri figli. Dopo il primo (Roan Joseph, adottato insieme a Bronstein) ha adottato Laird Vonne. E poco dopo è arrivata la terza, Quinn Kelly, dopo una chiamata che la informava del fatto che era la sorella di Laird Vonne. «All’improvviso avevo tre figli, che oggi hanno 15, 16 e 21 anni». No molto tempo dopo il divorzio, la Stone ha avuto anche un infarto. «E stata un’esperienza forte, che non ha voluto vivere invano. Non avrei fatto un buon lavoro se non mi fossi chiesta quale fosse il senso di quello che mi era successo. Ho sentito di avere finalmente un’opportunità,  affermare ciò che contava davvero per me.  Ed è quello che sta accadendo più in generale a noi donne: non solo è ok dire cosa non ci va più bene, ma è ok anche smettere di farci manipolare». Il festival di Zurigo le ha appena assegnato il  riconoscimento più importante, il Golden Icon Award, e la sua empatia ha scorrere lacrime in platea, per esempio mentre parlava di successo. «Non esiste successo senza fallimento, e non possiamo crescere senza provare cose nuove, che implicheranno a loro volta degli sbagli.  Ma è così che impariamo, che facciamo esperienze anche molto sottili, che poi diventano l’essenza del nostro successo. I fallimenti, in molti casi, diventano il fondamento delle nostre grandi riuscite».

(continua…)

Intervista integrale pubblicata su D La Repubblica del 13 Novembre 2021

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Soko, finalmente consapevole di sorprendere (ancora)

03 mercoledì Feb 2021

Posted by cristianaallievi in arte, cinema, Cultura, giornalismo, Musica, Personaggi

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A Good Man, cinema, Cristiana Allievi, D La repubblica, giornalista, interviste illuminanti, Soko, The dancer

di Cristiana Allievi

L’attrice e cantante francese Soko, 30 anni (courtesy http://www.amyharrity.com)

Dall’altra parte del monitor la luce è abbagliante. A Los Angeles una donna si raccoglie i capelli dietro la nuca. Sorride, scherza, ammicca. Nella stanza accanto un bimbo si è appena addormentato, e quando si risveglierà lei esisterà solo per lui e per il loro momento di gioco insieme. Una normale scena famigliare, non fosse che dall’altra parte dell’Oceano c’è Soko, al secolo Stéphanie Sokolinski, l’artista che fino a una manciata di anni fa era nota per due motivi: essere la ex fiamma di Kristen Stewart e la musa di Gucci. Lo scenario, oggi,, sole californiano incluso, è molto cambiato per la polistrumentista, cantautrice e attrice nata a Bordeaux, ma di origini polacche. Si è lasciata alle spalle una vita con la valigia in mano e una serie di relazioni instabili, e ha ceduto al richiamo ancestrale di diventare mamma di  Indigo Blue (“abbiamo scelto il nome dalla canzone dei The Clean”), partorito due anni fa, che sta crescendo con la compagna Stella. “Sono in un relazione con una donna del mio sesso, e ho un bambino, sì, è possibile”, dice con un tono serio ma con un sorriso. Con il suo curriculum esistenziale, era perfetta per A good man, il film diretto da Marie-Castille Mention-Schaar in cui interpreta Aude, una donna che ama Benjamin, un transessuale (interpretato magnificamente da Noémie Merlant, la star di Ritratto di una donna in fiamme) e che non può avere bambini. Sarà proprio Benjamin a sacrificarsi per la coppia,  non avendo ancora completato la transizione a uomo. Basato su una storia vera, il film uscirà nelle sale francesi il 3 marzo (da noi prossimamente) mostra molto non detto sulle conseguenze psicologiche delle scelte della coppia, per esempio quando uno dei due rinuncia alla carriera per stare con l’altro. «Per la maggior parte della mia vita sono stata al posto di Ben, nelle relazioni», racconta. «Ho sempre vissuto correndo e ho preso grandi decisioni di vita dicendo ai miei partner  “io faccio questo, vuoi farne parte?”. Mi hanno seguita sui set, in tour o in qualsiasi cosa avessi già programmato, e lo hanno fatto a costo di grandi sacrifici. Ho sempre voluto lavorare su questo aspetto, riuscendo a far sentire l’altra persona speciale, e soprattutto ascoltata».

Nel 2006 il nome di Soko era balzato alle cronache per aver registrato I’ll Kill Her con un telefonino e avere spopolato su Myspace. E come si conviene a una donna che vive(va) di contrasti, da attrice ha attirato l’attenzione nei panni di una donna dell’Ottocento,  Augustine, la prima paziente “isterica” dalla storia della medicina.  Mentre è stato Io danzerò a regalare la fama internazionale, con la sua straordinaria rappresentazione di Loïe Fuller nel film basato sul romanzo di Giovanni Lista. L’anno dopo quel successo si è rinchiusa a scrivere le proprie storie. Il risultato è stato un terzo disco, Feel Feelings, uscito lo scorso luglio, con un video del singolo Are You a Magician? diretto dall’amica di lunga data Gia Coppola, nipote di Francis Ford. Un disco che celebra l’amore, naturalmente di ogni tipo, e che sembra frutto anche di una nuova consapevolezza. Arriva forte e chiara dai suoi ragionamenti. «Pensa che la maternità mi abbia cambiata?», sdrammatizza.

(continua…)

L’intervista integrale su D la Repubblica, 30/1/2021

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Olivia Colman – Un’altra stagione per sua Maestà

14 sabato Nov 2020

Posted by cristianaallievi in arte, Attulità, cinema, Cultura, Netflix, Personaggi, Politica

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corona, D La repubblica, Elisabetta II, Inghilterra, interviste illuminanti, Olivia Colman, reali, The Crown

REGINA PERFETTA SUGLI SCHERMI, L’ATTRICE INGLESE CI PARLA DELLE NUOVE ANTAGONISTE NELLA SERIE (VEDI LADY D) E DI COME SIA PRONTA A DEPORRE LO SCETTRO

Il premio Oscar Olivia Colman, protagonista della quarta stagione di The crown, sulla cover di D La Repubblica del 14 novembre 2020.

di Cristiana Allievi

Nessuno sa mai cosa accade veramente nella famiglia Windsor, eccetto i Windsor.  E anche questo caso non fa eccezione: nessuno sa se Elisabetta II abbia mai visto la serie tv che racconta la sua vita e quella della famiglia reale, tanto più che per scrivere di loro, e rappresentarli in una fiction, non occorre avere autorizzazione da parte degli interessati. Mentre fonti autorevoli sostengono che i giovani rampolli di corte si siano piazzati davanti a The crown, l’unica certezza è che il nome di Olivia Colman resterà negli annali. La sua interpretazione della regina d’Inghilterra è magnifica, e la quarta stagione su Netflix dal 15 novembre lo marcherà  in modo netto. Il destino dell’attrice si è avverato grazie a un greco visionario, Yogor Lanthimos, che l’ha voluta in un film surreale in cui chi non trovava un partner entro 45 giorni veniva trasformato in un animale e spedito nella foresta (The Lobster). Subito dopo lo stesso le ha fatto indossare i sontuosi abiti di Anna Stuart, regina settecentesca dalla salute cagionevole e dal carattere umbratile. Al potere dal 1702 al 1714, e divisa fra due amanti del suo stesso sesso e 17 conigli (a ricordarle i figli, tutti persi), questa sovrana le è valsa un Oscar, un Golden Globe e la Coppa Volpi a Venezia. Poi è venuta l’Elisabetta della serie scritta da Peter Morgan che, nonostante ora si trovi a fronteggiare l’arrivo in scena della destabilizzante Diana Spencer, futura principessa del Galles, resta il fulcro intorno a cui tutto ruota. Perché mai come in questa stagione si capirà cosa significhi davvero far parte del regno più potente al mondo e far brillare solo lei, come un sole.

(continua…)

Intervista di copertina pubblicata su D la Repubblica del 14 novembre 2020

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Sotto il sole c’è Lorenzo (Zurzolo)

20 lunedì Lug 2020

Posted by cristianaallievi in cinema, Netflix, Personaggi

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Baby, D La repubblica, Film, interviste illuminanti, Lorenzo Zurzolo, Netflix, Sotto il sole di Riccione

DALLA SERIE BABY AL FILM DELL’ESTATE IN STREAMING: ARRIVA LA STAGIONE DI ZURZOLO

di Cristiana Allievi

Lorenzo Zurzolo, 20 anni, attore (photo courtesy of Netflix)

Avere 740mila follower non è un gioco da ragazzi. Ma se sei della generazione che sa come mostrarsi, come usare i social e come parlare alla stampa, tutto è possibile. Specie se finisci in una serie tv proiettata in tutto il mondo, com’è successo a lui in Baby, la storia (vera) fatta di licei e prostituzione giovanile nella Roma bene che gli ha regalato la fama internazionale. «Avevo sette anni quando mi presero al primo provino. Eravamo a  Sabaudia, con Totti. Ci ha messo 37 ciak a dire life is now, con il coach inglese che urlava. Ma è di una simpatia incredibile, e io sono romanista, è stata una delle giornate più belle del mondo e ho detto a mia madre che volevo continuare». Così è stato, con Una famiglia perfetta di Paolo Genovese, poi qualche pubblicità e spettacoli teatrali, fino alla serie tv Questo è il mio paese. «All’epoca mi fermavano per strada, ma appena finiva la serie le fan page toglievano il mio nome. Con Baby, e 190 pesi che ti seguono nel mondo, è stato diverso». Madre pierre che lo ha accompagnato nel mondo dello spettacolo, padre giornalista radio che lo vorrebbe all’Università, Lorenzo Zurzolo dall’1 luglio sarà nel film dell’estate di Netflix, Sotto il sole di Riccione. Primo, riuscitissimo, lungometraggio dei registi di videoclip YouNuts! Un colpo di genio dare a lui, con due splendidi occhi chiari, la parte del non vedente, come  affidare la colonna sonora a Tommaso Paradiso, e avere il tormentone estivo assicurato. «Fanno immagini bellissime e sono molto diretti, ti dicono le cose come le direbbe un ragazzo della mia età. Se assomiglio al personaggio di Vincenzo? Lui è sincero ma tende a tenere tutto dentro. Io preferisco parlare subito, prima che sorgano problemi».

(continua…)

Intervista pubblicata su D La Repubblica del 18 luglio 2020

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Il talento di Veerle

01 domenica Mar 2020

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Alabama Monroe, D La repubblica, Doppio sospetto, Hitchcock, interviste illuminanti, premi Magritte, Thriller, Veerle Baetens

DOPO IL SUCCESSO COME ATTRICE, LA BAETENS HA INCISO UN DISCO. POI È TORNATA SUI SET. E ORA PENSA ALLA REGIA…

di Cristiana Allievi

Veerle Baetens, 42 anni, da Alabama Monroe a Doppio Sospetto, (in sala).

I più l’hanno scoperta nella versione tatuatrice e l’hanno amata per il suo lasciarsi andare innamorandosi di un musicista di bluegrass. Le cose poi sono andate male. I due hanno perso un figlio, e a poco a poco il loro amore si è sgretolato. Succedeva in Alabama Monroe, di cui era la protagonista. Dopo quel successo Veerle Baetens ha inciso un disco ed è andata in tour. Ha persino fondato un gruppo, Dallas, con una sua amica. «Era il mio più grande sogno, ma realizzandolo ho capito che  non faceva per me. Recitare è un modo di nascondersi dietro i personaggi, di scavare nelle altre menti e psicologie. Fare musica ed essere in scena è invece un essere molto vicino a me stessa. Quando ero sul palco a cantare andava tutto bene, il dopo anche. Ma fra un concerto e l’altro per me era l’inferno», racconta Veerle Baetens,  42 anni, belga, mamma insegnante d’asilo e papà insegnante alla scuola secondaria. «Sento di avere musica dentro di me, ma non capsico cosa devo farci, mentre di fronte a una storia, so cosa manca o meno». Infatti dopo aver smesso con la musica è andata a lavorare anche in Francia, ha iniziato a scrivere, prima una serie tv, Tabula rasa, in cui recita se stessa, poi un film tutto suo. In questi giorni è al cinema con Doppio sospetto, thriller psicologico di Oliver Masset-Depasse che ha vinto 9 Magritte, gli Oscar del Belgio, di cui uno è andato a lei come miglior attrice.  La storia è quella di Alice e Céline, vicine di casa negli anni Sessanta e amiche. Finchè il figlio di Celine non vola dalla finestra, sotto gli occhi impotenti di Alice. Da lì in poi il dolore insopportabile incrina l’amicizia fra le due, e in una tipica narrativa con struttura a spirale, si scende agli inferi con tanto di finale raggelante. «L’aspetto più impegnativo del film è stato che è in francese ed è pieno di dialoghi.  Quando devi incarnare emozioni come la paura, ma specialmente la rabbia, hai la naturale tendenza a improvvisare, e farlo in una lingua che non è la tua è difficile. Come lo è stato recitare la paranoia senza esagerare, mantenendo un buon equilibrio».

(continua…)

Intervista integrale uscita su D La Repubblica del 29 febbraio 2020

©Riproduzione riservata

 

Doctor Wu

15 venerdì Nov 2019

Posted by cristianaallievi in cinema, Cultura, Personaggi

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cinema, Constance Wu, D La repubblica, interviste illuminanti, Jennifer Lopez, Le ragazze di Wall Street, Personaggi

HA “RISCHIATO” DI DIVENTARE LOGOPEDISTA. PER FORTUNA, CONSTANCE HA MANTENUTO FEDE ALLA SUA VOCAZIONE: DIMOSTRARE CHE LA FAMA SERVE A DARE VOCE A CHI NON NE HA

di Cristiana Allievi – Foto di Gareth Cattermole

L’attrice americana Constance Wu, 37 anniLe ragazze (courtesy Backastage).

Stava per diventare logopedista. Non si trattava di una passione, però. Era piuttosto una spinta, datale da un fidan- zato che non reputava il mestiere di attrice un’occupazione abbastanza stabile. Eppure Constance Wu a 12 anni aveva già iniziato a lavorare nel teatro locale di Richmond, dove è cresciuta, per volare a New York a 16 a studiare alla scuo- la di Lee Strasberg. E mentre piegava magliette da Gap per sbarcare il lunario, i suoi primi film passavano dal Sundan- ce. Qualche anno dopo si è trasferita a Los Angeles, dove le cose hanno iniziato a ingranare. Il grande pubblico l’ha conosciuta grazie alla serie tv asiatico-americana Fresh Off the Boat, mentre con l’interpretazione della newyorkese che va a Singapore per incontrare la famiglia del fidanzato, inCrazy & Rich, la seconda sitcom familiare mai prodotta dall’Asia, si è aggiudicata il primo Golden Globe. «Essere un’americana asiatica lo considero un privilegio», racconta dalla sua casa a Silverlake, in California, dove vive con il co- niglio Lida Rose. «Ogni artista ha una qualità precisa, che sia la faccia, la tecnica, la voce o la sensualità: qualsiasi cosa è un privilegio da riconoscere e mostrare al mondo. Ma non è un mio particolare merito aver saputo rendere l’umanità dei personaggi asiatici sullo schermo: più che altro erano scarsi i contenuti precedenti», dice con schiettezza.

L’anno scorso era entusiasta per la nomination di San- dra Oh agli Emmy, ma anche arrabbiata per il fatto che fosse stata la prima donna di origini asiatiche nominata per un ruolo da protagonista. «Credo dica qualcosa della cul- tura in cui viviamo e di quello che si pensa valga la pensa raccontare». Ora è al cinema con Le ragazze di Wall Street – Business is business, un film ispirato a un articolo di Jessica Presler intitolato “The Hustlers at Score”, truffatori al pun- teggio, uscito sul New York Times e diventato virale. Basa- to su una storia vera, racconta di un gruppo di stripper che si inventano un modo poco ortodosso per spennare ricchi clienti di Wall Street: uomini che nel film sono insignifican- ti, hanno a malapena dei nomi. «Succede perché questa sto- ria non è stata scritta per loro, cosa che accade alle donne da sempre: non avere personaggi femminili di sostanza. Credo che gli uomini cerchino di separarci perché sanno che non c’è niente di più forte e di più bello di quando siamo uni- te». Nel gruppo di spogliarelliste dirette dalla regista Lore- ne Scafaria, Wu è Destiny e fatica a mantenere se stessa e la nonna da cui vive. «È una donna che non è cresciuta con particolari privilegi, non ha avuto né assistenza sociale né l’opportunità di frequentare una buona scuola. Ma è mol- to intelligente e usa la sua posizione per fare qualcosa nella vita che persone come lei non riescono a fare. È una donna che vorrei come amica».

(…continua…)

Intervista integrale pubblicata su D La repubblica 9 NOVEMBRE 2019

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Wild Boy

17 martedì Set 2019

Posted by cristianaallievi in arte, Musica

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arena di Verona, crossover, D La repubblica, David Garrett, interviste illuminanti, Itzhak Perlmann, Julliard, musica classica, Paganini, Reggia di Caserta, Unlimited Greatest Hits live, violino

DAVID GARRETT, IL VIOLINISTA PIU’ ROCK DELLA CLASSICA CROSSOVER, È IN TOUR ANCHE IN ITALIA PER I SUOI PRIMI 10 ANNI DI CARRIERA. DIVISA TRA RIGOROSA DISCIPLINA E ISTINTO (MOLTO) RIBELLE

di Cristiana Allievi

Il violinista David Garrett, 39 anni, in Italia con due date del suo nuovo tour, Unlimited Greatest Hits live.

«Siamo andati tutti a scuola. E sappiamo che svegliarsi alle 7.30 pensando alla lezione di matematica non è sempre meraviglioso. Ma questa è la disciplina che ci insegnano, e per il violino vale lo stesso: ci sono giorni in cui ti piace e molti in cui vorresti fare tutt’altro. Ma per imparare qualcosa devi lavorare tutti i giorni, ogni settimana, ogni mese. E devi progredire». Ho appena chiesto a David Garrett, rockstar del violino, cosa ne pensa della disciplina che governa la sua vita, da sempre. Perché a 4 anni suonava già, a 7 era nel Conservatorio di Lübeck e a 11 anni aveva in mano uno Stradivari da quattro milioni di dollari. Due anni dopo era il più giovane concertista mai scritturato dalla Deutsche Grammophon, la regina delle etichette di classica. E la tecnica acrobatica che lo contraddistingue, e che vedremo in Italia  nelle due tappe del suo Unlimited – Greatest hits – live, il tour mondiale con cui celebrerà dieci anni di musica crossover (il 15 settembre all’Arena di Verona e il 17 alla Reggia di Caserta), se l’è sudata fino all’ultima nota. Madre ex ballerina americana (da cui David ha ereditato il cognome come nome d’arte) e padre, avvocato tedesco e titolare di una casa d’aste (dal cognome impronunciabile), hanno avuto un ruolo centrale nella sua crescita. «Se mi hanno spinto? Certo, si sono preoccupati che avessi i migliori insegnanti possibili. È stato stressante? Sì. È stato scomodo? Anche. Ho sentito pressione? Direi di sì. Ma le dico anche che, voltandomi indietro, rifarei tutto». Se si scovano le copertine dei suoi dischi di 15 anni fa, con i capelli corti e scuri, per non parlare dei live in cui sembrava depresso, si stenta a credere a chi si ha di fronte oggi:  un biondo con i capelli raccolti dietro la nuca, una camicia bianca e i jeans attillati, che sembra Curt Cobain. Con la differenza che  David ride di più. Il salto è avvenuto a partire dai 17 anni, quando è stato espulso dalla Royal College of Music: lì ha deciso di prendere la sua vita in mano, iscrivendosi alla Julliard, una specie di Harvard della musica.  Maestri leggendari a parte (il violinista Itzhak Perlmann), in America Garrett ha scoperto i Led Zeppelin e Jimi Hendrix. Per questo oggi riempie gli stadi con lo  Stradivari che diventa la “voce” di Axl Rose, Sting e Micheal Jackson.  Un atto di ribellione a tutti quei severi anni di studi e di reclusione? «Non è così, semplicemente io amo la musica, tutta: dal jazz al pop, dalla classica alla musica dei film», racconta sorridente. «E da musicista trovo innaturale non suonare le cose che amo ascoltare».

(continua…)

Intervista pubblicata su D La Repubblica del 14 settembre 2019

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La perfezione di John

06 lunedì Mag 2019

Posted by cristianaallievi in arte, cinema, Miti, Sport

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campioni, D La repubblica, interviste illuminanti, John McEnroe, Julien Faraut, L'impero della perfezione, uomini

John McEnroe in un’immagine del film L’impero della perfezione che lo ritrae negli anni Ottanta.

IL 6 MAGGIO ESCE NELLE SALE IL FILM di JULIEN FARAUT, CHE UNISCE LE LEGGI DELLE SCIENZE MOTORIE, L’AGONISMO E L’ESTRO DI UNO DEI GIOCATORI DI TENNIS PIU’ ORIGINALI DEL SECOLO SCORSO. SI INTITOLA L’IMPERO DELLA PERFEZIONE E A GIRARLO È STATO UN (EX) ARCHIVISTA

Lo si vede discutere con l’arbitro. Lamentarsi dei clic delle macchine fotografiche. Allontanare i cameraman. E si resta ipnotizzati dalla faccia con cui fissa un punto dall’altra parte della rete. Le immagini sono così concentrate sulla sua figura che lo spettatore si sente trasportato in campo, a soffrire con lui. E inizia a comprendere qualcosa che fino a quel momento non aveva visto. «Ho capito che il tennis per lui andava al di là dello sport: era un bisogno vitale, lui doveva vincere». Julien Faraut, 41 anni,  lavora per l’archivio del Ministero dello Sport. Un giorno scopre un vero tesoro: ore di girato di Gil de Karmadec, sportivo e regista appassionato che dagli anni Cinquanta si è dedicato alla didattica attraverso l’analisi del gesto dei tennisti. A un certo punto, però, rinuncia alle riprese con quello scopo e segue ciò che un campione fa dal vero. È con questo materiale che Faraut decide di restituire la genialità del tennista che nel 1984 vince su  tutte le superfici, tentando di entrare nella sua testa. Le straordinarie riprese in 16 mm mai montate prima sono già cinema (all’epoca circolavano solo immagini video), e con esse cerca di rispondere a una domanda: cosa rende unico John McEnroe, l’uomo che con il  96.5 % di vittorie in una stagione vanta un  primato ancora oggi imbattuto? Le risposte sono affidate alla voce narrante di Mathieu Amalric, che scandisce verità vertiginose. L’impero della perfezione- John McEnroe è una folgorazione, un fenomenale viaggio fra il cinema e lo sport. «Dall’inizio ho voluto parlare con uno psicologo, dicendo che stavo facendo un ritratto di McEnroe», racconta. «Volevo capire la sua collera, e mi ha spiegato che un perfezionista vede un mondo per definizione imperfetto e si trova in uno stato di insoddisfazione permanente». Se in molti hanno pensato che McEnroe ci marciasse, sulle sue collere, per destabilizzare gli avversari, Faraut porta una nuova sfumatura. «Sono arrivato a concludere che era sincero, non aveva secondi fini, non poteva evitare quel vulcano emotivo. Ma mentre chiunque altro lasciandosi andare a queste emozioni avrebbe sbagliato due volte, lui vinceva, la sua rabbia lo caricava». Attraverso una spietata analisi delle relazioni familiari, con un padre avvocato d’affari assente  e una madre gelida che vuole un figlio campione, la tensione sale.  Da una parte si delinea il mantra di John, “se non sono il top, loro non mi amano”, atteggiamento molto distruttivo che lo ha portato ai vertici del tennis. Dall’altra si arriva al culmine del racconto, la mitica finale di Roland Garros in cui dopo 1 ora e 29 minuti di gioco sublime, McEnroe crolla e perde al quinto set contro Ivan Lendl. Un match di cui gli appassionati ricordano ogni istante di sofferenza. «Ci sono due modi per guardare il tennis, a bordo campo o in tv. Io dovevo creare una terza via, spingere una persona ad andare al cinema. Hitchcock ha sempre detto che la suspence di una storia non sta alla fine, ma durante il racconto».

(continua…)

Articolo pubblicato su D La Repubblica del 16 febbraio 2019

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Nadine Labaki, dalla parte dei bambini»

14 domenica Apr 2019

Posted by cristianaallievi in Cannes, cinema, Festival di Cannes, Personaggi

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bambini, Cafarnao, D La repubblica, interviste illuminanti, Nadine Labaki, senza identità, Siria

Zain è un ragazzino che trascina dietro una tinozza legata a una corda.  Dentro c’è la sorellina Yonas, poco più che neonata.  Cammina nella miseria e solitudine di Beirut, e sembra che la vita si sia dimenticata di lui. È una delle tante immagini che restano impresse di Cafarnao, il terzo film della nota regista e attrice libanese Nadine Labaki. Un grido che, attraverso le vicende di Zain Al Rafeea, nato in Siria e trasferitosi in Libano, dà voce a quei 280 milioni di piccoli nel mondo che vengono maltrattati, abusati, picchiati, violentati, imprigionati, e di cui non si conosce nemmeno l’esistenza perché privi di identità.

«La storia lavorava dentro di me da tempo», racconta la Labaki, che dal 14 maggio al festival di Cannes sarà presidente di giuria nella sezione Un Certain Regard.  «Ci dicono di non dare denaro ai bambini per la strada, perché sono gestiti dalla mafia che li lascia di mattina e li riprendere alla sera, io volevo capire di più, cosa succede quando uno come Zain sparisce dietro l’angolo? C’è troppa tendenza a etichettare e disumanizzare questi bambini. E ho scoperto, fra le altre cose, che un piccolo non può andare a letto finché non ha procurato una certa quantità di denaro alla famiglia, quindi prima glieli diamo noi, quei soldi, prima andrà a dormire». I 123 minuti di immagini dalla forza dirompente che sono passati in Concorso all’ultimo festival di Cannes hanno suscitato reazioni nette. Qualche critico cinico ha gridato al misery porn, mentre il pubblico omaggiava con 15 minuti di standing ovation. E adesso è nelle nostre sale. Dopo Caramel e E ora dove andiamo?, con cui la regista ha avuto molto successo anche al botteghino, Cafarnao è il suo primo film apertamente drammatico. Segue la storia vera di Zain Al Rafeea, profugo siriano che porta i propri genitori in tribunale e gli fa causa. Il motivo? «Avermi messo al mondo».

(continua)

Articolo pubblicato su D la Repubblica del 10 Aprile 2019.

© Riproduzione riservata

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