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Cristiana Allievi

~ Interviste illuminanti

Cristiana Allievi

Archivi tag: Charlotte Gainsbourg

Rebel Wilson, «Ho perso peso, non carisma»

02 venerdì Dic 2022

Posted by cristianaallievi in Attulità, cinema, Personaggi, Zurigo Film Festival

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carisma, Charlotte Gainsbourg, Cristiana Allievi, Hollywood, interviste illuminanti, Le amiche della sposa, magra, Nicole Kidman, Rebel Wilson, the almond and the seahorse, Zurigo Film Festival

«MANGIAVO SEMPRE, LA MIA ERA UNA FAME EMOZIONALE». DAL LOCKDOWN L’ATTRICE SI LASCIA ALLE SPALLE 40 CHILI. E SVOLTA: SI INNAMORA DI UNA DONNA, DIVENTA MAMMA, INTERPRETA UN FILM CHE FA (ANCHE) COMMUOVERE

di Cristiana Allievi

L’attrice e comica australiana Rebel Wilson, 42 anni.

Mettiamola così, se non avessimo avuto un appuntamento non credo che l’avrei riconosciuta. La regina di commedie hollywoodiane patinate come Le amiche della sposa e Pitch Perfect, con cui l’abbiamo scoperta, è distante mille miglia dalla donna che ho davanti. Siamo in un hotel di lusso a Zurigo, lei indossa una camicia in chiffon nero con pantaloni e tacchi di vernice in tinta. Il suo corpo è letteralmente la metà di quello quell’amica simpatica e in sovrappeso da cui tutti andavano a consolarsi a cui ci aveva abituati. L’anno della svolta è stato il 2020, quando ha iniziato a perdere i primi dei 40 chili che si è lasciata alle spalle. Mentre cercava un fidanzato, si è innamorata di Ramona Agruma, imprenditrice californiana con cui fa coppia dallo scorso febbraio. E pochi giorni fa, a completare questa specie di rivoluzione copernicana, è arrivata Royce Lilian, la figlia avuta con la maternità surrogata. Anche il cinema risponde a questo forte cambiamento, e dal 16 dicembre arriva The almond and the seahorse su piattaforma (Prime Video), che ha presentato all’ultimo Festival di Zurigo con la coprotagonista Charlotte Gainsbourg. È la storia drammatica (ma raccontata con leggerezza) di due coppie in cui un partner è affetto da una lesione cerebrale traumatica, e con il passare del tempo non riconosce più chi ha accanto e non ricorda la vita insieme.

Un bel salto, dalle commedie a cui ci aveva abituati. «In realtà con questo ruolo ritorno agli inizi, quando volevo diventare la prossima Judi Dench e mi esibivo a teatro con Shakespeare e Marlowe. Solo nel 2003, quando ho vinto una borsa di studio di Nicole Kidman, mi sono specializzata nella commedia, a New York».

Conosceva la malattia di cui parla il film? «Non sapevo molto ma ho avuto una nonna che ha sofferto di demenza senile e pian piano si è dimenticata di chi fossi, è stato tragico. Da quando ho girato il film non sa quante persone mi hanno detto “mio cugino ha avuto quella malattia…”, “mio marito ne soffre…”, è stata una scoperta».

Fra le altre cose, questo film ci mostra quanto non vogliamo che le cose cambino. «Il mio personaggio è un’archeologa, una metafora di tutte quelle persone che vorrebbero che il mondo tornasse a com’era prima della pandemia.  Io non mi sento bloccata nel passato, sono fra i pochi che non vorrebbero mai tornare ai tempi del liceo».

(continua…)

Intervista esclusiva pubblicata su F del 6/12/2022

@Riproduzione riservata

A tu per tu con Charlotte Gainsbourg

18 lunedì Apr 2022

Posted by cristianaallievi in arte, Attulità, cinema, Cultura, Festival di Berlino, Festival di Cannes, Miti

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Antichrist, Charlotte Gainsbourg, Cristiana Allievi, GLi amori di Suzanna Andler, interviste illuminanti, Jane Birkin, Jane by Charlotte, Lars Von Trier, Nymphomaniac, Serge Gainsbourg, Yvan Attal

UN PADRE, SERGE GAINSBOURG, MAI DIMENTICATO. UNA MADRE, JANE BIRKIN, SPESSO ALLONTANATA, ORA, A 50 ANNI, L’ATTRICE FRANCESE FA PACE CON I “FANTASMI” DEL PASSATO. GRAZIE A UN MUSEO E A UN FILM

di Cristiana Allievi

(… continua)

Intervista integrale pubblicata su Donna Moderna del 14 aprile 2022

 © RIPRODUZIONE RISERVATA

Charlotte Gainsbourg, «Tutto su mia madre».

12 martedì Ott 2021

Posted by cristianaallievi in arte, Attulità, Cannes, cinema

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arte, Charlotte Gainsbourg, figlia, interviste illuminanti, Jane Birkin, Jane by Charlotte, madre, Vanity Fair

Quando un’ingombrante genitore smette di essere un demone? Charlotte Gainsbourg affronta i suoi fantasmi con un docufilm super-emozionante. In cui, a Jane Birkin, fa (quasi tutte) le domande scomode

di Cristiana Allievi

Charlotte Gainsbourg, attrice e regista, con la madre Jane Birkin, modella e cantante inglese, all’anteprima di Jane by Charlotte, al Festival di Cannes 2021.

Il pudore e una macchina da presa. Ecco le due sole cose che restano tra loro, una madre e una figlia che, dopo decenni di distanza e di incomprensioni, si ritrovano nello steso letto, a passeggiare, a tavola, accanto finalmente e quasi se fosse la prima volta. È la magia di Jane By Charlotte, il docu film con cui  èunritratto personale e molto casual, una scusa artistica con cui Charlotte Gainsbourg debutta alla regia, presentato in anteprima al festival di Cannes e che sta facendo il giro delle rassegne cinematografiche del mondo, riscuotendo ovunque successo. La incontro alla Mostra di Venezia, dove ha presentato due film, Sundown di Michel Franco e Le cose umane, diretta dal partner Yvan Attal, attore regista e sceneggiatore di origine ebraica, l’uomo che l’ha raccolta a 19 anni, quando stava crollando in pezzi per la perdita del padre Serge, rockstar di Francia. Ivan è stato il terreno solido su cui costruirsi una dimensione esistenziale e una cifra propria, smarcandosi da fantasmi ingombranti. Con lui ha avuto tre figli (Ben, Alice e Joe), ha iniziato a firmare le canzoni con il suo vero nome e soprattutto a cantare in francese, la lingua che l’avvicinava vertigi- nosamente al mito del genitore. C’è voluto anche Lars Von Trier, per farle trovare se stessa. Il regista danese l’ha svestita e martoriata per bene nel corpo e nello spirito, e con Antichrist le ha regalato la Palma d’Oro e una fama allargata. Un nuovo equilibrio sembrava ritrovato, poi otto anni fa l’amata sorella Kate si è tolta la vita a Parigi. Lei è fuggita a New York, lasciandosi alle spalle la Francia e le sue ferite. Ora è tornata a casa. Incontrandola, si sente che qualcosa è cambiato. Charlotte ha finalmente posato lo sguardo sulla madre, accettando il delicato confronto con lei. La madre è la modella e cantante inglese Jane Birkin, un’icona di 74 anni (mentre scriviamo queste righe, è in convalescenza dopo aver avuto un ictus) che ha avuto una figlia per ogni suo amore: Charlotte da Serge, Kate dal primo marito John Barry (compositore di cult come la saga di 007) e Lou dal regista Jacques Doillon. Con Jane by Charlotte, ritratto personale e bellissimo, una figlia in- contra la propria madre e le fa domande molto scomode.

esordisce.

Cosa ha provato alla fine delle riprese? «Riguardando il mio film da regista con il pubblico, mi sono sentita male. Ne ho percepito tutti i punti deboli e soprattutto mi sono detta: “Ma perché mai la mia famiglia dovrebbe interessare a qualcuno? Quello che hai fatto è una cosa indecente!”. Hanno tentato di farmi notare che gli spettatori erano molto toccati, ma ero troppo nervosa per accorgermene».

Come è nata l’idea di un film su sua madre? «Volevo condividere la stessa vicinanza che lei aveva con le mie sorelle, Kate e Lou. Eravamo molto diverse. Con i film mi sono creata una famiglia tutta mia – ho iniziato che avevo solo 13 anni – e questo ha creato una distanza fra noi. I miei si erano separati quattro anni prima, e io ero molto vicina a mio padre. Sono stata privilegiata per- ché vivevo con lui nei weekend continuando a essere la sua figlia unica… Con mia madre era tutto diverso».

Poi suo padre è morto... «Per anni questo è stata il mio grande buco da colmare, tutto ciò che ho mostrato di me al mondo. Quando nella mia vita è arrivato Yvan abbiamo creato una nuova famiglia tutta nostra, “vera”, sono capace di vivere una persona alla volta in modo esclusivo».

Tagliando fuori sua madre… «Me ne sono accorta molto tempo dopo, infatti questo mio interesse di adulta per lei l’ha spiazzata. Mi sono sentita male per averla sempre amata senza darlo a vedere, non le ho mai fatto capire quanto avessi bisogno della sua presenza e vicinanza.  E purtroppo non è stato il mio unico errore».

Quello successivo? «Le ho proposto di girare un film su di lei per poterla incontrare. E quando  le ho fatto la prima intervista, durante un suo tour, le mie domande troppo dirette l’hanno fatta ritirare.  Ha pensato che stessi cercando di farla sentire in colpa, cosa che le capita molto di frequente (ride, ndr). Invece è stata la mia timidezza, mi ha creato difficoltà, non sapevo come chiederle le cose, finché lei mi ha fermata: “Odio il Giappone e odio quello che stai facendo”».

(continua…)

Intervista integrale pubblicata sul numero 41 di Vanity Fair (12 ottobre 2021)

©Riproduzione riservata

Pierre Niney, «Se ami tuo figlio lascialo libero»

02 martedì Apr 2019

Posted by cristianaallievi in arte, cinema, Cultura, Letteratura, Miti, Moda & cinema

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Charlotte Gainsbourg, diventare genitori, GQ Italia, interviste illuminanti, La promessa dell'Alba, Pierre Niney

Appoggiato al muro accanto a una grande finestra che affaccia sulla Torre Eiffel, mani in tasca, il suo sguardo viaggia lontano. Si capisce che è completamene assorbito dai suoi pensieri. Quando si accorge che è entrato qualcuno nella stanza saluta con modi gentili, e la prima parola che viene in mente incontrandolo, è “elegante”. Non c’entra Yves Saint Laurent, lo stilista che ha interpretato magistralmente qualche anno fa e che gli è valsa un César: Pierre Niney emana la grazia di chi vive un senso diverso del tempo. La sensazione è che non lo rincorra mai, nemmeno quando scava fra i ricordi alla ricerca di sensazioni vissute a 11 anni, quando annunciò ai suoi genitori- critico di cinema e documentarista il padre, consulente d’arte la madre- che avrebbe fatto l’artista. «Per fortuna erano aperti alla creatività, mi hanno incoraggiato a darmi al cento per cento in quello che avrei scelto. Se non lo avessi fatto me ne sarei pentito per il resto della vita», racconta. Nato a Boulogne-Billancourt e cresciuto a Parigi, inizia a recitare da bambino, e a soli 21 anni è il più giovane attore di sempre a unirsi alla Comédie-Française, un’istituzione fondata addirittura da Luigi XVI. Non sorprende sentirlo elogiare Molière e Shakespeare, quanto scoprire che avrebbe voluto fare il giocatore di basket professionista, ma non aveva l’altezza adatta. Ma gioca con il suo club tutte le settimane, da quando era un teenager. Grande colpo di fulmine  anche quello avuto sette anni fa per il surf da onda, scoperto grazie alla compagna australiana, Natasha Andrews. «Ogni volta che posso corro in Portogallo, nello Sri Lanka e a Biarritz. La chiave del surf non è l’allenamento fisico, ma la perseveranza. E il fatto di non poter controllare la marea e le onde ti insegna ad arrenderti alla natura e a contemplare invece di agire. Qualcosa da ricordare anche nella vita…».

I temi cambiano, la riflessione resta  profonda. «Divento molto triste quando sento giovani che vorrebbero diventare attori, pittori o cantanti, ma mi dicono che si iscrivono a Legge o a Economia solo perché i loro genitori non li supportano. È un peccato, le scelte fatte per rassicurare la famiglia non funzionano».

(continua….)

Intervista pubblicata su GQ, n. Marzo 2019

© Riproduzione riservata

Charlotte Gainsbourg: «La famiglia che mi porto dentro»

18 lunedì Mar 2019

Posted by cristianaallievi in cinema, Moda & cinema, Musica, Personaggi

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Charlotte Gainsbourg, Eric Barbier, giornalismo, Grazia, interviste illuminanti, La promessa dell'Alba, Pierre Niney, Rest, Yvan Attal

DOPO TANTI RUOLI AL LIMITE, ORA L’ATTRICE FRANCESE AL CINEMA È UNA MADRE CHE FA DI TUTTO PER SUO FIGLIO. UNA PARTE, DICE A GRAZIA, CHE L’HA RICONCILIATA CON L’AMORE, GLI ERRORI E GLI ADDII DEI SUOIO GENITORI STAR, IL CANTANTE SERGE E L’ATTRICE JANE BIRKIN

Ho appena visto Charlotte Gainsbourg nel suo prossimo film, La promessa dell’alba di Eric Barbier. Sono certa che sia l’interpretazione  cinematografica migliore della figlia di Serge Gainsbourg e Jane Birkin. Non ci sono scene di sesso, o di morte, e nemmeno atroci  torture, come ci aveva abituati nei film Antichrist e Nymphomaniac del regista Lars Von Trier. Ma nonostante questo, la donna che vedremo sugli schermi dal 14 marzo nei panni di una madre eccessiva e lievemente mitomane mi è sembrata molto più estrema che in passato. Gainsbourg è Nina, madre coriacea, ebreo polacca, che dalla Lituania, fra mille peripezie, porta  il figlio nel sud della Francia per fuggire dalle conseguenze della presa di potere di Hitler in Germania. La storia è tratta dal bestseller autobiografico sulla straordinaria vita di Romain Gary (interpretato da Pierre Niney), uno dei più famosi romanzieri francesi, l’unico ad aver vinto due volte il Goncourt Prize. «Ho girato il film mentre registravo il mio ultimo disco, Rest, non ho mai avuto un parte come questa, in cui presto il volto a una donna fra i 30 e i 60 anni. Avere un altro corpo, un’altra voce, parlare il polacco, sono stati una liberazione per me, ho potuto esplorare un’identità diversa.  Questo film mi ha resa più forte». Libertà è una parola che questa attrice e cantante dalla voce eterea pronuncerà molte volte durante la nostra conversazione. La sensazione è abbia trovato la serenità  e che i tempi in cui si torturava con i personaggi di Lars von Trier siano alle spalle. Così come il lutto che l’ha colpita quando la sorella Kate Barry si è tolta la vita, cinque anni fa: era la persona a cui era più legata in assoluto. Subito dopo si è trasferita a vivere a New York con la famiglia, il regista Yvan Attal e  tre figli Ben, Alice e Joe, 21, 16 e 7 anni. «Non riuscivo più a respirare a Parigi, troppi ricordi dolorosi. Per un po’ di tempo starò via dall’Europa, poi si vedrà».

(Continua…)

Intervista integrale su Grazia del 7 Marzo 2019

© Riproduzione riservata

Charlotte Gainsbourg: «Le note della mia anima»

11 sabato Nov 2017

Posted by cristianaallievi in cinema, Musica, Personaggi

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Charlotte Gainsbourg, D La repubblica, Independence day, Kate, Lars Von Trier, nuovo album, Nuovo film, Rest, Serge Gainsbourg, YSL

«Mia sorella Kate era tutto il mio mondo. Quando è morta sono entrata in una paralisi che è durata sei mesi. Con Yvanne e i nostri figli volevamo lasciare Parigi, scappare da tutto ciò che è successo, ma non sapevamo dove andare. Venendo qui non è stato come se nulla fosse accaduto, ma almeno sono tornata a respirare e ad essere una madre, a vivere». Per chi conosce Charlotte Gainsbourg questa non è una premessa normale. Anche se la riservata figlia della superstar francese Serge Gainsbourg e della modella e attrice inglese Jane Birkin predilige gli incontri a due a quelli più social, l’esordio parla di un cambio di rotta. Siamo a Manhattan, e all’ora prevista per l’incontro è già seduta in un angolo del The Marlton Hohel. Il volto luminosissimo, che vedremo per tutto l’inverno nella campagna YSL, risalta ancora di più sulla t-shirt nera d’ordinanza e il trench in pelle vintage portati con jeans attillati. Siamo a due passi dagli Electric Lady Studios, gli studi di registrazione in cui ha inciso Rest, il quarto album della carriera, nei negozi dal 17 novembre. Nei cinema di tutto il mondo intanto c’è L’uomo di neve, in cui recita accanto a Michael Fassbender, ma confida di non averlo ancora visto. Oggi si parla delle 11 canzoni che sembrano uno spartiacque nella sua vita. Marcano il confine fra i complessi di inferiorità nei confronti del padre Serge e una ritrovata forza personale, su vari fronti. Queste song dallo scintillante suono electro pop dividono il tempo in cui Charlotte si vergognava a parlare in prima persona, e demandava la firma delle sue canzioni a parolieri esperti, da quello in cui è lei a firmare i testi e a svelare la se stessa più intima e (anche) dolorosa. Sono passati sette anni dal suo disco precedente, Stage Whisper, è maturata, ha girato una valanga di film fra cui due Nymphomaniac con Lars Von Trier e un blockbuster come Independence Day con Roland Emmerich. Per Rest (su etichetta Because/Warner) ha voluto al suo fianco un produttore che viene dall’elettronica, SebastiAn, e musicisti come Guy-Manuel de Homem-Christo dei Daft Punk, Owen Pallett, Connan Mockasin e altri ancora. C’è persino una song del Beatle Paul McCartney, dal titolo lievemente inquietante, Songbird in a cage. «Quest’album è nato cinque anni fa, quando ho avuto l’idea intorno a cui incentrare il lavoro. Sapevo che SebastiAn aveva lavorato con Kavinsky ed ero curiosa di vedere se avrebbe accettato di lavorare con me. Ma il primo incontro è stato disastroso, lui è arrivato molto in ritardo ed era completamente ubriaco. Non bastasse, mi ha detto “so cosa devi fare, un disco in francese, come tuo padre…”. Mi sono detta, “ok, cos’altro mi deve capitare nella vita? (scoppia a ridere, ndr)». Parole che devono essere pesate come macigni, su una donna che ce la stava mettendo tutta per smarcarsi da un padre/artista ingombrante, scomodo, geniale e pure alcolista. A partire dal nascondersi dietro testi scritti da altri fino al cantare in inglese, piuttosto che in francese. Ma poi la perdita della sorella Kate Barry, la fotografa di moda che si è tolta la vita a Parigi, nel dicembre 2013, ha spazzato via ogni indugio, lasciando spazio a un dolore e a un’urgenza di esprimerlo brucianti.

(… continua)

Cover story di D La Repubblica dell’11 novembre 2017

© Riproduzione riservata

 

 

Charlotte Gainsbourg, «Finalmente ho smesso di paragonarmi a Serge, mio padre»

29 mercoledì Apr 2015

Posted by cristianaallievi in cinema

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Charlotte Gainsbourg, Cristiana Allievi, Donna Moderna, Jane Birkin, Lars Von Trier, Nymphomaniac, Omar Sy, Samba, Serge Gainsbourg, Yvan Attal

Tra una risposta e l’altra Charlotte Gainsbourg beve varie tazze di tè verde. E sorride. Fa uno strano effetto trovarla così serena, dopo averla vista sul grande schermo devastata dalla perdita del figlio in Antichrist, sconvolta dall’imminente fine del mondo in Melancholia, dipendente dal sesso in Nymphomaniac. I tre film di Lars von Trier l’hanno resa un’attrice cult, ma ci hanno fatto conoscere solo il suo lato tormentato. Adesso Charlotte, 43 anni, figlia Serge Gainsbourg, la più grande e provocatoria rockstar di Francia, e della diva del cinema Jane Birkin, è finalmente protagonista di una commedia: Samba, al cinema dal 23 aprile. Interpreta Alice, dirigente d’azienda che in seguito a un esaurimento nervoso decide di cambiare vita. Va a lavorare per un’associazione di volontariato e qui si innamora di Samba, un clandestino senegalese aspirante cuoco, interpretato Omar Sy.

Quanto c’è di te in Alice? «Parecchio. Lei ha un crollo psicofisico, io da ragazza ho sofferto di depressione. So cosa significa essere isolata, persa nelle tue preoccupazioni, ossessionata dalle bugie che racconti a te stessa: sono stati d’animo che causano dolore fisico e psicologico».

Che ricordi hai di quel periodo? «All’epoca in cui stavo male tutti mi dicevano che per guarire dovevo fare un piccolo sforzo. Mi ripetevano: “Guarda quante cose meravigliose hai…”. Ma non funziona così, a volte non basta la volontà per riuscire a reagire, anche perché quando sei depressa hai la sensazione di essere del tutto diversa da quella che eri».

Cosa ti ha aiutato a uscirne? «Riemergere da quel vortice è difficile, non so spiegare come accada. Di sicuro, è importante avere qualcuno a cui appoggiarsi, qualcuno di “reale” che ti  accompagni nel percorso per dissolvere l’incubo in cui ti trovi. Nel film Alice si innamora, e questo le dà una via d’uscita più facile».

Anche tu hai incontrato il tuo compagno, il regista e attore Yvan Attal, subito dopo la morte di tuo padre Serge. «Avevo 19 anni ed ero un relitto, passavo ore e ore ad ascoltare le canzoni di papà allo stereo solo per sentire la sua voce… Mi sono compiaciuta nel dolore, ci sono voluti anni per riprendermi. Ma Yvan è stato paziente, mi ha aspettato».

Charlotte Gainsbourg, 44 anni, attrice. Con Independence day 2 farà il suo ingresso a Hollywood.

Charlotte Gainsbourg, 44 anni, attrice. Con Independence day 2 farà il suo ingresso nel cinema di Hollywood.

E adesso avete 3 figli: Ben, 18 anni, Alice, 13, e Joe, 3. «Siamo una famiglia tranquilla,  in questo non ho seguito le orme dei miei genitori (che negli anni ’70 furono protagonisti di una storia d’amore tanto scandalosa quanto tormentata, ndr). Sto con Ivan da 23 anni, trascorro molto tempo con i nostri figli e trovo la routine quotidiana rassicurante per loro. Verso me stessa, però, sono severa, ipercritica. Sentirmi in bilico è parte della mia identità».

 Il tuo personaggio in Samba fa molte battute ironiche su se stessa e il sesso. Credi che recitare nuda, per di più in scene estreme, nei film di Lars von Trier ti abbia “sciolto”? «Lavorare con lui mi ha cambiata: fino a qualche anno fa mi vergognavo del mio corpo. Posso dire che esiste un “prima” e un “dopo” Lars. E non solo dal punto di vista del nudo e del sesso. Ho scoperto di avere tanta rabbia dentro e l’ho buttata fuori grazie a quei film: ho pianto e gridato come una disperata. Sul set tutto era spinto così al limite che niente era più un problema. E questo, dopo, mi ha dato tranquillità e portato ad affrontare le cose in modo più rilassato».

La Gainsbourg in una scena di Samba, con Omar Sy (cortesi of primissima.it).

La Gainsbourg in una scena di Samba, con Omar Sy (courtesy of primissima.it).

(continua…)

Intervista integrale su Donna Moderna del 28/4/2015

 © RIPRODUZIONE RISERVATA

Io, Asia Argento e la mia Incompresa

21 venerdì Nov 2014

Posted by cristianaallievi in cinema, Festival di Cannes

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Asia Argento, Charlotte Gainsbourg, cinema, Cinema Italiano, Festival di Cannes, Gabriel Garko, Giulia Salerno, Incompresa, Panorama

Intervista alla regista al suo terzo film che sarà nelle nostre sale dal 5 giugno

Asia Argento alla 67a edizione del Festival di Cannes

Asia Argento alla 67a edizione del Festival di Cannes

Occhiali da intellettuale. Caschetto corto rasato da una parte. Ricoperta di tatuaggi, a partire da quello enorme che le spunta sul petto, giacca in pelle e stivali biker, Asia sfodera un look total black. E anche i muscoli, quando dice a sorpresa che non farà mai più l’attrice (“ci vuole troppo ego”), mentre racconta il suo terzo film da regista, Incompresa, che è stato in concorso a Cannes nella sezione Un certain regard e sarà nelle nostre sale dal 5 giugno. Sta già scrivendo il quarto film, Asia, mentre descrive la sua bambina figlia di divorziati, inquieta per non essere amata. Ma guai a usare la parola “autobiografico”. Nonostante la protagonista sia una magnifica Giulia Salerno che nel film si chiama Aria (secondo nome della regista) e sia capace di “vendicarsi” degli adulti con un’espressione implacabile, e i personaggi di Charlotte Gainsbourg e Gabriel Garko assomiglino per vari aspetti a Daria Nicolodi e a Dario Argento, Asia ti stronca prima di iniziare con un “se avessi voluto parlare della mia famiglia avrei girato un documentario”.

Cosa hai voluto raccontare con Incompresa?
La famiglia, ma in un modo in cui non viene presentata in Italia. Da noi i matrimoni si sfasciano, con tutte le conseguenze del caso, ma non si vuole affrontare la questione.

Da dove sei partita?
Da un’immagine di una bambina cacciata dalla casa del padre e che la madre non può prendere con sè. Cammina con il suo gatto in una mano e una valigia che pesa nell’altra, perchè non ha le rotelle. Poi da lì, scrivendo con Barbara Alberti ci siamo accorte che stavamo facendo un film per ragazzi, la cosa ci è molto piaciuta. Ma ci rivolgiamo ai bambini intelligenti, non a quelli lobotomizzati, rintronati da telefonini, videogiochi e social media.

Che scelte di regia hai privilegiato?
Ho lavorato senza storyboard né shortlist perché avevo il film molto chiaro in mente, esteticamente e poeticamente. Volevo girare con piani molto larghi perché con Nicola Pecorini (direttore della fotografia, ndr), eravamo un po’ stufi del cinema fatto tutto di primi piani, tra un 50 e 100 millimetri, che sembra aver paura di raccontare le stanze, la vita, i luoghi.

Ma ci sono primi piani in momenti inaspettati…
È vero, ma in genere l’obiettivo è avvicinarci sempre di più alla protagonista, infatti iniziamo con una commedia e finiamo su toni più strappacuore.

Perché hai scelto Gabriel Garko?
Ho scritto il film pensando a lui. In Italia una volta esistevano attori così, e li esportavano all’estero. Oggi da noi per essere considerato serio devi essere tormentato e brutto, o imbruttirti, mentre in Francia o in America uno come Gabriel non sarebbe ghettizzato in tv.

La Gainsbourg?
L’ho sempre sentita come una sorella nell’anima, e non perchè tutte e due abbiamo avuto genitori ingombranti, come qualche cretino ha scritto. La trovo straordinaria.

Parlando di musica, risulti tra gli autori dei brani originali del film, e in genere la colonna sonora è forte e coinvolgente…
Avevo un 45 giri che ho perso. Io e il produttore americano abbiamo scritto su Facebook che avremmo dato 100 dollari a chi ci avesse messo in contatto con i musicisti. Abbiamo trovato il batterista, da lui siamo risaliti al gruppo, gli Il Y A Wolkswagens, che ci hanno dato il loro pezzo, Kill Myself, l’unico che hanno mai prodotto.

Anche i colori rimangono impressi, molto anni Ottanta.
I rosa, i rossi, il turchese sono colori che ci ossessionavano e che oggi non ci sono più, ma li uso come dettagli. Non volevo fare un film in costume ma accennare a un tipo di estetica che ancora mi affascina, usando indumenti miei e di Nicoletta Ercole, la costumista, tutto vintage puro anni Ottanta.

Come la scelta di girare il pellicola…
Abbiamo dimostrato che non è vero che costa di più, perché se spendi all’inizio poi risparmi, quando non devi passare cinque settimane alla Color correction per cercare di far assomigliare i numeri alla realtà. Questo perchè la pellicola è viva, mentre il digitale è la riproduzione numerica della realtà. Volevo un film con una grana che assomigliasse alle Polaroid, qualcosa che sbiadisce e ciò che manca lo può immaginare lo spettatore.

Registi che ti hanno influenzata?
A parte Incompreso di Comencini, da ragazza mi aveva molto colpita I 400 colpi di Antoine Doinel, alter ego del regista Jean Pierre Leaud. Oggi ha 70 anni ma sarà per sempre il bambino di quel film.

Dove avete girato?
Gli esterni nel quartiere Prati, il luogo di Roma che conosco meglio perché ci sono cresciuta. Gli interni sono tutti girati a Torino, dove abbiamo trovato le case perfette per il padre e la madre, oltre a un certo entusiasmo genuino per il cinema. La Regione Piemonte ci ha dato il finanziamento che non ci ha concesso lo Stato, le siamo molto grati.

A cosa punti ora, come regista?
A fare film che abbiano un’integrità poetica, e in questo voglio essere viva, commossa. Il botteghino non mi preoccupa, per me conta solo continuare a fare film. E credo che se si lavora con amore e dedizione il risultato poi arriva, e non sarà mai quello che uno si immagina.

Cosa significa per te la parola onestà?
In questo momento della mia vita significa tutto. Sono stata molto disonesta, in passato. Oggi cerco onestà nei rapporti umani, nella mia famiglia, con i miei bambini, che sono la cosa più importante. Da regista? È lo stesso, niente trucchetti per conquistarsi la simpatia del pubblico.

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Intervista pubblicata su Panorama © Riproduzione Riservata

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