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Archivi tag: Ridley Scott

«Charlie va veloce». Plummer a cavallo verso una carriera stellare

10 martedì Apr 2018

Posted by cristianaallievi in cinema, Cultura, Mostra d'arte cinematografica di Venezia

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Andrew Haigh, Charley Thompson, Charlie Plummer, cinema, Cristiana Allievi, D La repubblica, interviste, Lean on Pete, Ridley Scott

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L’attore Usa Charlie Plummer, 19 anni a maggio, nelle sale con Charley Thompson (Courtesy Mondo Fox).

«Ho perso peso, non perché lo volessi ma perché il lavoro è stato molto duro. Charlie è un ragazzo isolato, che combatte per cercare l’amore e il contatto con gli altri,  e viene costantemente respinto.  Alla fine del film ero esausto e mi ci è voluto tempo per tornare alla mia vita normale». Magro di natura, biondo con gli occhi azzurri, ha persino quasi lo stesso nome del personaggio che interpreta. Figlio di un’attrice e di un produttore, Charlie Plummer, 19 anni fra un mese, ha vissuto tra New York e Los Angeles. Primi passi con la serie HBO  Boardwalk Empire, è arrivato a farsi notare nel film King Jack, applaudito al Tribeca, per poi venire diretto da Ridley Scott in Tutti i soldi del mondo, in cui era John Paul Getty III, ruolo per cui è appena stato candidato agli Oscar come miglior attore non protagonista. Dal 5 aprile è protagonista di Charley Thompson (Lean on Pete) per cui ha vinto il premio Mastroianni come rivelazione all’ultima Mostra di Venezia. Di Andrew Haigh e basato sul romanzo La ballata di Charlie Thompson, di Willy Vlautin, è un road movie ambientato a Portland, dove Plummer è un quindicenne con un padre sciupafemmine  (Travis Fimmel) e una madre che non ha mai conosciuto. La famiglia in frantumi, lui si ritrova a lavorare per un allevatore di cavalli da corsa (Steve Buscemi) che spreme la figlia come fantina (Chloe Sevigny). Charley fa di tutto per cercare una stabilità e un senso di appartenenza: con il fidato cavallo Lean viaggerà per gli Stati Uniti, in un’Odissea a caccia di una casa e della zia, unica parente rimastagli.

È vero che ha scritto una lettera di suo pugno al regista, per ottenere la parte? «Sono stato così colpito dalla tenacia del personaggio che volevo interpretarlo a tutti i costi. È stato molto sfidante e molto appagante allo stesso tempo, sono contento del risultato perché questo film si è preso un pezzo importante della mia vita».

Perché lo sottolinea? «Avevo 17 anni, stavo confrontandomi con le stesse cose con cui si confronta Charley, anche se in modo diverso. A mio modo sono diventato grande, sono stato lontano da casa e dai miei genitori per tre mesi, un periodo consistente. E poi mi ero innamorato da poco, e ho dovuto separarmi dalla mia ragazza per andare sul set».

È stata dura?  «Credo che nel film si veda che ero innamorato. Ho incontrato Samia tre settimane prima di arrivare a Portland, stava facendo una commedia a New York. È stato profondissimo per me, ho vissuto un parallelismo tra innamorarmi di una persona e fidarmi di un’altra creatura vivente, come un cavallo, che pesa 400 chili e può ucciderti con un calcio, se parte all’improvviso e ti colpisce in faccia. E la cosa incredibile è che non puoi avere paura, i cavalli lo sentono: devi avere fiducia in loro…».

Si è mai sentito solo come Charley? «Essere attore include questo aspetto e può essere molto, molto difficile. Nella mia vita famigliare ci siamo spostati molto, avevo il mio migliore amico e non l’ho più rivisto, capisco la solitudine».

Come ha iniziato a recitare? «Ero molto timido, mia madre stava facendo una commedia e mi sono sentito calamitato. Mi sono innamorato del teatro, non pensavo che avrei mai fatto cinema, e i miei sapevano che è una vita durissima, non mi incentivavano in quel senso. Le cose sono cambiate quando hanno visto la mia passione».

Il primo ruolo? «Il primissimo è stato a 10 anni, nel teatro di una comunità, ho recitato Obi-Wan Kenobi  in un adattamento di Star Wars».

(…continua)

Intervista pubblicata su D La Repubblica del 7 aprile 2018

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The Terror: la nave che cercando il passaggio a Nord Ovest trovò l’inferno

31 sabato Mar 2018

Posted by cristianaallievi in cinema, Serie tv, Televisione

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Amazon, Canada, cannibalismo, Cristiana Allievi, GQ, Passaggio Nord Ovest, Ridley Scott, Royal Navy, The terror

Un horror a ritroso nel tempo, quando la marina britannica si avventurava verso i confini del mondo sul continente artico. Tra iceberg, naufragi, ammutinamenti, inuit, cannibalismo e mostri (ma nessuno più pericoloso dell’uomo)

Presentata in anteprima mondiale all’ultima Berlinale, la serie The terror, prodotta da Ridley Scott, è ora in onda su Amazon Prime Video. Basata sul romanzo di Dan Simmons del 2007, che a sua volta si ispira a una storia vera accaduta alla Royal Navy britannica, ci porta indietro al 1845, quando Sir John Franklin era in viaggio nelle terre sconosciute dell’Artico, alla ricerca del passaggio a Nord Ovest e le due navi della spedizione (Erebus e Terror) scomparvero nel nulla (per essere ritrovate solo nel 2014 e nel 2016, nella zona di King Willim Island).

La serie tv in 10 episodi, dalla produzione piuttosto ambiziosa, mostra pian piano come la scarsità delle risorse e le condizioni avverse devono aver portato gli equipaggi alla catastrofe. Nel gelodi quelle terre isolate ai confini del mondo, succedono cose orrende che mettono in luce il peggio di un gruppo di marinai che lotta per la sopravvivenza e invece di sconfiggere un male esterno finisce per combattersi al suo interno, fino al culmine di una violenza primordiale.

Nella serie Jared Harris (Sherlock Holmes, Operazione U.N.C.L.E, Allied e la serie The crown) è il Capitano Francis Crozier, al comando della HMS Terror e secondo al comando della spedizione. È un marinaio senza eguali ma è anche un irlandese che è cresciuto nelle gerarchie della Royal Navy, e ha quindi dovuto accettare uno stato di inferiorità senza metabolizzarlo.
Il suo consiglio da esperto non viene mai ascoltato e lui affoga i dolori nell’alcol.
Quando la spedizione si rivela disastrosa può finalmente mostrare il proprio valore, ma i suoi demoni sono duri da combattere.

Suo antagonista è il Capitano James Fitzjames, terzo capo della spedizione, interpretato da Tobias Menzies (già nella serie The crown, in Games of Thrones e presto nel film tv King Lear con Anthony Hopkins e nel mistery ispirato al romanzo gotico Carmilla). È una promessa della Royal Navy, ha la stima di Franklin nonostante non abbia mai navigato verso il Polo ed è in competizione con Crozier. La sua falsa sicurezza verrà frantumata e i suoi tremendi segreti emergeranno.

The Terror

Conoscevate la storia narrata in The terror?
T. «In inghilterra non è molto nota, al tempo hanno voluto dimenticarla, mentre in Canada viene insegnata nelle scuole».
J. «Per via del cannibalismo, gli inglesi dicono “non è vero, non è mai successo”…».

Non ci sono stati sopravvissuti, come facciamo a conoscere i fatti oggi?
J. «Una nave che viaggiava sul ghiaccio ha incontrato due gruppi di Inuit che cacciavano, in due punti diversi del percorso. Quegli Inuit sapevano cosa stava succedendo. Durante successive ricerche, che sono andate avanti per 10 anni, gli Inuit hanno raccontato tutto. Quindi sono iniziati i ritrovamenti di ossa lunghe; c’era una famosa foto con un uomo su una barca circondato di ossa umane, ed erano visibili i segni dai coltelli, quindi non ci sono dubbi su quanto accaduto».

È una coincidenza il fatto che questa storia vada in onda oggi, o è lo specchio di qualcosa?
J. «L’idea era mostrare come stiamo impattando l’ambiente, l’arroganza delle persone che entrano nel mondo e credono di esserne i padroni. Un’attitudine che produce degli effetti».
T. «Sento il tema della sopravvivenza, e forse anche l’idea di incontrare una forza più grande di te, l’arroganza dell’imperialismo».

The Terror

Siete attori esperti, anche di teatro, come si crea un’atmosfera horror sul set, da far respirare poi agli spettatori?
T. «Jonathan, il production designer, ha creato un mondo magnifico. Poi si è trattato di calarsi con l’immaginazione in un mondo pre moderno e vedervi dei mostri».
J. «I mostri cambiano, uno di loro è Cornelius Hickey, ma poi per un paio di episodi lo sono io, poi lo diventa Tobias… forse il mostro peggiore è l’ammutinamento…».
T. «L’ammutinamento è la cosa più temibile per un capitano, sempre».

Dove avete girato il film?
J. «Principalmente a Budapest, sede del set, per sette mesi, poi siamo stati un mese in Croazia: un’isola chiamata Pag, piena di pietre, funzionava bene come paesaggio per la fine della storia, quando si scioglie il ghiaccio».

Cosa c’è di nuovo in questa serie, nella vostra percezione?T. «La cosa più importante è il fatto di raccontare la storia stessa, che non è molto nota. Sembra diversa dalle cose che ho visto fin qui, ma è difficile spiegare perché. Dovevano trovare un modo originale di fare un horror, e David Kajganich e Soo Hugh che hanno scritto la storia conoscono il genere, eravamo in ottime mani».
J. «Il primo episodio mi ha reso chiaro che non ci sono clichè sul modo di intrattenere il pubblico. La storia si costruisce lentamente, non salta subito sulle terrificanti forze esterne presenti nei ghiacci, per esempio. Direi che è reale, non ruba dai classici del genere per attirare l’attenzione, non copia i finali di Brian De Palma, per intenderci».

Jared, lei ha altre due serie in uscita, una Amazon Original, Carnival Row, e una per HBO, Chernobyl.
J. «Carnival Row uscirà alla fine del 2019, io sono Absalom Breakspear, un cancelliere imperioso assediato da nemici politici da tutti i lati. È una grande storia fantasy, in cui devi buttarti senza esitazioni. E in Chernobyl, che uscirà all’inizio del prossimo anno, sono un investigatore mandato a cercare di risolvere un problema che negano esistere».

Tobias lei invece ha girato Re Lear…
T. «Alla fine dell’anno scorso, con Anthony Hopkins. Uscirà alla fine del 2018 sulla BBC, è una produzione inglese. Io sono Cornwall, membro della famiglia Lear, e ho lavorato molto accanto a Emily Watson (che è anche in Chernobyl, ndr). Hopkins è sempre stato un mio eroe, non è stato difficile accettare».

Amazon e Netflix sono buona cosa, per la libertà degli attori?
J. «Il problema è che gli studios hanno abdicato, hanno deciso molto tempo fa di rinunciare a grandi film. Paramount sette anni fa ha detto “non ne faremo più”, e HBO, Amazon e Netflix hanno sentito quel vuoto. E poi… organizzare le uscite di un’intera famiglia è difficile, se puoi vedere qualcosa di molto ben fatto anche stando a casa, non è male».
T. «Credo che tutta questa concorrenza forzerà il cinema ad alzare di nuovo l’asticella, quindi credo che andrà bene per tutti».

Articolo pubblicato su GQ.italia 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ana de Armas: «Mai stare ferme ad aspettare»

05 giovedì Ott 2017

Posted by cristianaallievi in cinema, Miti, Personaggi

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Ana de Armas, Blade Runner 2049, Clive Owen, Cristiana Allievi, Denis Villeneuve, Grazia, Ridley Scott, Ryan Gosling

 

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L’attrice cubana Ana de Armas, 29 anni, protagonista  di Blade Runner 2049.

Ordina un caffè e mi dice che durante le riprese di Blade Runner 2049 non lo beveva mai, per non metterci lo zucchero. Ma Ana de Armas è un tipo solare, e se da una parte capisco non sta scherzando, presto mi accogerò che sa prendere con ironia le fisime del suo lavoro di attrice. Siamo nel cuore di Barcellona, fa caldo e sono i frenetici giorni prima dell’uscita del film più atteso dell’anno. Boccoli biondi e labbra carnose, mi racconta che interpreta Joi, la miglior amica dell’Agente K, nientemeno che Ryan Gosling. Mi ricorda anche che quando Ridley Scott ha girato il suo capolavoro, lei non era nemmeno nata. 29 anni, Ana ha lasciato Cuba a 18 anni per trasferirsi in Spagna da sola. Poi è stata la volta di Los Angeles, dove vive.

Coraggiosa senza ombra di dubbio, l’attrice è già stata sposata all’attore spagnolo Marc Clotet, da cui si è divisa dopo due anni, e ogi si dichiara single. Ma considerato che ha debuttato a Hollywood con due film, solo un paio di anni fa (entrambe al fianco di Keanu Reeves), e che si trova già sul set di Three Seconds, diretta da Andrea Di Stefano, con Rosamund Pike e Clive Owen, siamo sicuri che di lei si sentirà parlare parecchio, d’ora in poi.

Come descriverebbe la sua Joi? «È una donna molto coraggiosa e appassionata, è la miglior amica, amante e cheer leader dell’Agente K, lo supporta e lo incoraggia a fare ciò che deve fare. Lo ama davvero, per lui farebbe qualsiasi cosa».

Come ha ottenuto un ruolo così importante? «Facendo tre audizioni, la mia gente ha spinto un po’ per ottenere la prima. All’inizio non credevano fossi adatta, ma quando Denis è venuto sul set, la seconda volta, e mi ha visto nella scena in cui dico “ti ho sempre detto che sei speciale”, ha capito che ero perfetta Ho davvero avuto il tempo di crescere e prepararmi al ruolo, con tutti quei provini».

Ricorda la prima volta in cui ha visto Blade Runner? «Ero molto giovane, a Cuba, e non ho capito quello che poi ho realizzato dopo, lavorandoci. Scott è stato un genio visionario, ha raccontato il futuro dell’umanità, il senso degli esseri umani, la tecnologia, il futuro…».

 

[…]

L’intervista integrale è su Grazia del 14/9/2017

© Riproduzione riservata

 

 

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