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Cristiana Allievi

~ Interviste illuminanti

Cristiana Allievi

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Keith Urban «Per mia moglie sono un super eroe»

23 mercoledì Set 2020

Posted by Cristiana Allievi in arte, Musica, Personaggi

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country, Grazia, interviste illuminanti, Keith Urban, music, Nicole Kidman, rockstar, Silvia Grilli, The speed of now, universal music

E’ UNA STAR GLOBALE DELLA MUSICA COUNTRY, MA ANCORA MOLTI CONSIDERANO KEITH URBAN L’UOMO CHE VIVE ALL’OMBRA DELLA DIVA NICOLE KIDMAN. ALLA VIGILIA DEL NUOVO ALBUM IL CANTANTE RACCONTA A GRAZIA IL SEGRETO DELLA LORO UNIONE: «OGNI GIORNO LEI RIESCE A FARMI SENTIRE INVINCIBILE»

di Cristiana Allievi

Sono molto grato per questo viaggio. Mi sorprende giorno dopo giorno con questo fenomeno surreale chiamato vita. Vedo il sole sorgere, e visto che siamo fortunati lo continua a fare, girono dopo giorno. Non vorrei sembrarle sdolcinato, ma per me tutto è un regalo straordinario, un’opportunità di esplorare, imparare, creare, osservare, assorbire. La mia  vita funziona così, sono pieno di gratitudine». A chiamare al telefono è direttamente lui, dall’Australia. Con una voce decisa ma pacata, e la sua energia mi arriva forte e chiara, come un’iniezione di vitamine. Superstar della musica country, con una famiglia di musicisti alle spalle, Keith ha all’attivo hit finite ai vertici delle classifiche inglesi, tour negli Usa e un successo per nulla scontato se  nasci in Nuova Zelanda come lui (che è naturalizzato australiano).  Non bastasse, sua moglie è una diva globale come Nicole Kidman: i due si sono conosciuti a un concerto nel 2005 e l’anno dopo erano già sposati. Hanno due figlie, Sunday Rose, 11 anni, e Faith Margaret, nove (Kidman ha altri due figli che condivide con l’ex marito Tom Cruise, Isabella e Connor). Passano molto temo a Nashville, la capitale del country, dove hanno una grande tenuta in campagna. Il 18 settembre Keith ha festeggiato l’uscita in tutto il mondo del suo nuovo album, il dodicesimo, intitolato The speed of now, che tradotto suona più o meno “la velocità del momento presente”.

Partiamo dal titolo, che è già un manifesto. «L’ho deciso a ottobre dello scorso anno. Allora avevo la sensazione che il mondo si stesse muovendo così velocemente che anche l’adesso, il presente, stava andando troppo velocemente! Con quel titolo ho fatto una specie di affermazione  sociologica. Poi è arrivato il Covid-19, che ha dato tutt’altro senso al titolo. Le dirò, mi sembra ancora più adeguato al momento che viviamo».

Lei è il simbolo della ripartenza. Lo scorso maggio ha fatto un concerto vicino a Nashville, il primo dopo il lockdown, che ha registrato  il tutto esaurito. «Avrei voluto non dover vivere questa pandemia. Però ho fiducia che da qui emerga un mondo migliore e più forte. Sento che la revisione delle nostre vite ci sta facendo bene, credo che stiano cambiando le priorità. La pandemia  ha messo in risalto quanto si lavora, quanto tempo si passa in famiglia, quanto sono importanti la comunità e la rete di relazioni in cui viviamo. Tutto stava andando troppo velocemente, così ci si perde la vita. Per me è importante ricordare che siamo esseri umani e funzioniamo a una velocità diversa da quella dei computer. E non è così scontato ripeterselo».

Cosa le piace della musica del genere country, il suo cavallo di battaglia? «Sono cresciuto con la collezione di mio padre, fondamentalmente la country music americana, che è molto contemporanea. Johnny Cash, Glen  Campbel, questa è la prima musica che ho ascoltato a casa. Da teenager nelle band in cui suonavamo facevamo le cover, e ascoltando alla radio le Top 40, mixavamo già allora il country con il pop».

Nel suo album canta i cambiamenti, le sfide, le svolte della vita. Quali menzionerebbe, a 53 anni? «Direi che la sfida più grande per tutti è riuscire a bilanciare le cose. La crescita interiore, quella spirituale, emozionale, la famiglia, spostarsi in un altro paese come l’America da così giovane, viaggiare in tour… Sono state tutte sfide, in modi diversi. E continuano ad esserlo, le sfide non finiscono mai».

(continua…)

Intervista pubblicata su Grazia il 17/9/2020

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Wild Boy

17 martedì Set 2019

Posted by Cristiana Allievi in arte, Musica

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arena di Verona, crossover, D La repubblica, David Garrett, interviste illuminanti, Itzhak Perlmann, Julliard, musica classica, Paganini, Reggia di Caserta, Unlimited Greatest Hits live, violino

DAVID GARRETT, IL VIOLINISTA PIU’ ROCK DELLA CLASSICA CROSSOVER, È IN TOUR ANCHE IN ITALIA PER I SUOI PRIMI 10 ANNI DI CARRIERA. DIVISA TRA RIGOROSA DISCIPLINA E ISTINTO (MOLTO) RIBELLE

di Cristiana Allievi

Il violinista David Garrett, 39 anni, in Italia con due date del suo nuovo tour, Unlimited Greatest Hits live.

«Siamo andati tutti a scuola. E sappiamo che svegliarsi alle 7.30 pensando alla lezione di matematica non è sempre meraviglioso. Ma questa è la disciplina che ci insegnano, e per il violino vale lo stesso: ci sono giorni in cui ti piace e molti in cui vorresti fare tutt’altro. Ma per imparare qualcosa devi lavorare tutti i giorni, ogni settimana, ogni mese. E devi progredire». Ho appena chiesto a David Garrett, rockstar del violino, cosa ne pensa della disciplina che governa la sua vita, da sempre. Perché a 4 anni suonava già, a 7 era nel Conservatorio di Lübeck e a 11 anni aveva in mano uno Stradivari da quattro milioni di dollari. Due anni dopo era il più giovane concertista mai scritturato dalla Deutsche Grammophon, la regina delle etichette di classica. E la tecnica acrobatica che lo contraddistingue, e che vedremo in Italia  nelle due tappe del suo Unlimited – Greatest hits – live, il tour mondiale con cui celebrerà dieci anni di musica crossover (il 15 settembre all’Arena di Verona e il 17 alla Reggia di Caserta), se l’è sudata fino all’ultima nota. Madre ex ballerina americana (da cui David ha ereditato il cognome come nome d’arte) e padre, avvocato tedesco e titolare di una casa d’aste (dal cognome impronunciabile), hanno avuto un ruolo centrale nella sua crescita. «Se mi hanno spinto? Certo, si sono preoccupati che avessi i migliori insegnanti possibili. È stato stressante? Sì. È stato scomodo? Anche. Ho sentito pressione? Direi di sì. Ma le dico anche che, voltandomi indietro, rifarei tutto». Se si scovano le copertine dei suoi dischi di 15 anni fa, con i capelli corti e scuri, per non parlare dei live in cui sembrava depresso, si stenta a credere a chi si ha di fronte oggi:  un biondo con i capelli raccolti dietro la nuca, una camicia bianca e i jeans attillati, che sembra Curt Cobain. Con la differenza che  David ride di più. Il salto è avvenuto a partire dai 17 anni, quando è stato espulso dalla Royal College of Music: lì ha deciso di prendere la sua vita in mano, iscrivendosi alla Julliard, una specie di Harvard della musica.  Maestri leggendari a parte (il violinista Itzhak Perlmann), in America Garrett ha scoperto i Led Zeppelin e Jimi Hendrix. Per questo oggi riempie gli stadi con lo  Stradivari che diventa la “voce” di Axl Rose, Sting e Micheal Jackson.  Un atto di ribellione a tutti quei severi anni di studi e di reclusione? «Non è così, semplicemente io amo la musica, tutta: dal jazz al pop, dalla classica alla musica dei film», racconta sorridente. «E da musicista trovo innaturale non suonare le cose che amo ascoltare».

(continua…)

Intervista pubblicata su D La Repubblica del 14 settembre 2019

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Charlotte Gainsbourg: «La famiglia che mi porto dentro»

18 lunedì Mar 2019

Posted by Cristiana Allievi in cinema, Moda & cinema, Musica, Personaggi

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Charlotte Gainsbourg, Eric Barbier, giornalismo, Grazia, interviste illuminanti, La promessa dell'Alba, Pierre Niney, Rest, Yvan Attal

DOPO TANTI RUOLI AL LIMITE, ORA L’ATTRICE FRANCESE AL CINEMA È UNA MADRE CHE FA DI TUTTO PER SUO FIGLIO. UNA PARTE, DICE A GRAZIA, CHE L’HA RICONCILIATA CON L’AMORE, GLI ERRORI E GLI ADDII DEI SUOIO GENITORI STAR, IL CANTANTE SERGE E L’ATTRICE JANE BIRKIN

Ho appena visto Charlotte Gainsbourg nel suo prossimo film, La promessa dell’alba di Eric Barbier. Sono certa che sia l’interpretazione  cinematografica migliore della figlia di Serge Gainsbourg e Jane Birkin. Non ci sono scene di sesso, o di morte, e nemmeno atroci  torture, come ci aveva abituati nei film Antichrist e Nymphomaniac del regista Lars Von Trier. Ma nonostante questo, la donna che vedremo sugli schermi dal 14 marzo nei panni di una madre eccessiva e lievemente mitomane mi è sembrata molto più estrema che in passato. Gainsbourg è Nina, madre coriacea, ebreo polacca, che dalla Lituania, fra mille peripezie, porta  il figlio nel sud della Francia per fuggire dalle conseguenze della presa di potere di Hitler in Germania. La storia è tratta dal bestseller autobiografico sulla straordinaria vita di Romain Gary (interpretato da Pierre Niney), uno dei più famosi romanzieri francesi, l’unico ad aver vinto due volte il Goncourt Prize. «Ho girato il film mentre registravo il mio ultimo disco, Rest, non ho mai avuto un parte come questa, in cui presto il volto a una donna fra i 30 e i 60 anni. Avere un altro corpo, un’altra voce, parlare il polacco, sono stati una liberazione per me, ho potuto esplorare un’identità diversa.  Questo film mi ha resa più forte». Libertà è una parola che questa attrice e cantante dalla voce eterea pronuncerà molte volte durante la nostra conversazione. La sensazione è abbia trovato la serenità  e che i tempi in cui si torturava con i personaggi di Lars von Trier siano alle spalle. Così come il lutto che l’ha colpita quando la sorella Kate Barry si è tolta la vita, cinque anni fa: era la persona a cui era più legata in assoluto. Subito dopo si è trasferita a vivere a New York con la famiglia, il regista Yvan Attal e  tre figli Ben, Alice e Joe, 21, 16 e 7 anni. «Non riuscivo più a respirare a Parigi, troppi ricordi dolorosi. Per un po’ di tempo starò via dall’Europa, poi si vedrà».

(Continua…)

Intervista integrale su Grazia del 7 Marzo 2019

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SANREMO 2019- I miei voti alla seconda serata

07 giovedì Feb 2019

Posted by Cristiana Allievi in Festival di Sanremo, Musica, Personaggi, Politica

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Claudio Baglioni, Festival della canzone italiana, Italia, Musica, Rai 1

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Claudio Baglioni. Un artista di serie A che sembra il fantasma del conduttore dell’anno scorso. Fatto che dimostra una volta in più che un artista deve stare lontano dai giochi politici, possibilmente anche dall’Auditel, altrimenti la paga carissima. Baglioni ci è cascato in pieno, il perché (i perché) sono fatto che si vedrà con se stesso. Voto 6
Achille Lauro. Anche concentrandomi per cercare un motivo che giustifichi il nome che usa,  non l’ho trovato. Il suo pezzo musicalmente non mi dice niente, anzi, mi parla di una persona che non sa dove mettersi, non abbastanza convinta nemmeno di quello che canta. Se poi guardo com’è vestito (e non dovrei farlo, non c’entra), penso anche peggio. Voto 5
Einar. Ha una bella faccia, è giovane. Ma non c’è molto altro in quello che canta. Sembra educato, però, e non è poco. Voto 5.
Il Volo. Cantano bene, per carità. Li ho volutamente ascoltati dall’altra stanza, per non vederli, e la loro voce è attraente. Però mi sembrano studiati e un po’ finti.  Voto 5/6. 
Arisa. È cresciuta, è molto più sicura di sé e si sente da come canta. Perfettamente. Ha preso un bel rischio, con un pezzo complicato che sembra un musical in cui di orecchiabile c’è solo una piccola parte. Diciamo che il suo è un pezzo al limite, ma almeno è originale. Voto 6.
Mannoia-Baglioni. Belli in tutti i sensi. Professionisti a tutto spiano, senza se e senza ma.  Funzionano e basta, e si tira il fiato. Voto 8
Nek. È molto sicuro di sè e sa come si sta su un palco. Il pezzo non è straordinario ma prende, con quel beat. Voto 7.  
Silvestri. Rivederlo è un piacere perché si vede innanzitutto un uomo, qualcuno che è maturato in generale, non nella ricerca di un nuovo look o di un nuovo sound. Il pezzo è proprio giusto, originale, ben incarnato, netto. Il contenuto è molto importante, cosa vogliamo di più? L’accoppiata con Rancore perfetta. 8,5. 
Ex Otago. Alzandomi dal divano un attimo ho pensato che fosse arrivato Jovanotti a cantare, poi ho capito che è colpa della “s”. Per carità, lui è anche carino, e quindi? Voto 5/6. 
Marco Mengoni. Cresciutissimo, e con accanto Baglioni è anche più facile. Insomma, mi è molto piaciuto, se posasse lo sguardo da qualche parte, almeno per un momento, anche meglio. Voto 8. 
Ghemon. Un artista che si fatica a comprendere, che ha una sua originalità. Comunque domani me ne sarò dimenticata. Voto 6. 
Loredana Berté. È una sicurezza, e non ce n’è. È potente, anche nell’anima, e ti inchioda lì. Il pezzo funziona, ti martella per bene, mentre lei fa Vasco. Se poi qualcuno la aiutasse nel ricordarle che le sue gambe sono bellissime, lo sono sempre state, ma che con un altro look forse riuscirebbe a fare due passi su quel palco e sarebbe perfetta, grazie. Voto 7,5. 
Paola Turci. Il pezzo non è male, ma passa in secondo piano perché spinge troppo sull’imporsi fisicamente con i suoi look. Si sente una donna a metà fra la Nannini e Carmen Consoli e ci si ritrova spiazzati. Insomma, non capisco chi è lei. Voto 6. 
Negrita. Non so a voi, ma a me i movimenti del  frontman sul palco fanno passare la voglia di ascoltarlo. E lo trovo al limite del guardabile. Voto 5. 
Federico Carta e Shade. Sono bravini, e la loro canzone è carina. Forse in radio funzionerà anche. Voto 6. 
Pio e Amedeo. Non sono cantanti, ma li voto perché sono di una bravura straordinaria. Naturalissimi, intelligenti, perfettamente autoironici (col nostro paese) e disarmanti nelle verità che sbeffeggiato. Voto 8,5.

Lady Gaga «Ho tenuto stretta la mia musica».

08 lunedì Ott 2018

Posted by Cristiana Allievi in cinema, Mostra d'arte cinematografica di Venezia, Musica, Personaggi

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A star is born, cinema, F, interviste illuminanti, Lady Gaga, popstar, Venezia 75, Warner Bros

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La cantante e attrice Lady Gaga, nome d’arte di Stefani Germanotta, 32 anni,

Cronaca di un incontro avvenuto in tre fasi all’ultima Mostra di Venezia. La prima, sullo schermo. Struccata, con i capelli castani, in jeans e maglietta, la Ally che canta in un locale per drag queen e non crede nelle sue capacità mi arriva dritta allo stomaco. Mi chiedo quanto la protagonista di A star is born assomigli alla vera Stefani Germanotta, alias Lady Gaga, ragazza della East coast americana con origini italianissime. Poche ore dopo la incontro sul red carpet, e stavolta è biondo platino, avvolta in piume di struzzo rosa. È diversa da Ally ma ridimensionata rispetto al passato (chi se la ricorda da David Letterman in mutande, guepiere, giacca in pelle e maschera neri, solo qualche anno fa?). C’è un altro dettaglio che mi colpisce: inizia a piovere a dirotto, lei non smette di firmare autografi e fare selfie con i fans per 10 minuti cronometrati. Segno di professionalità, ma anche  di generosità. Il giorno successivo la incontro per l’intervista, Gaga indossa un sobrio completo blu con i capelli raccolti.

La popstar da 30 milioni di dischi venduti nel mondo ha due film e la serie tv American Horror Story alle spalle. Ma A star is born, terzo remake del film cult del 1937 è il suo esordio da protagonista. Il ruolo è quello di una cameriera con doti canore che si cimenta in bar frequentati da drag queen  e si innamora di un cantante pop rock che la porterà sulle vette del successo. Anche Gaga, ex compagna di classe di Paris Hilton, è partita dal coro del liceo per poi iniziare a proporre pop music nella New York underground, anche in questo caso cantando fra le drag queen. Poi sono venuti i dischi d’oro, i sold out, le piogge di premi e i tour su palchi vertiginosi, come quello del Super Bowl dell’anno scorso.

Come la devo chiamare? «Gaga o Stefani, come le piace di più. Gaga è un nome partito come scherzo del mio produttore, dal brano Radio Ga Ga dei Queen. Ho iniziato a usarlo per gli show di Burlesque che successivamente ho incorporato nelle performance pop. Ormai è un soprannome, è come un mantra».

 Com’è successo che Bradley Cooper arrivasse a proporle il suo film? «Ero a un evento per la lotta al cancro, c’era anche lui e mi ha sentita cantare La vie en rose. Poi ho ricevuto una sua telefonata, è venuto a casa mia. Mi ha raccontato il suo progetto e guardandolo negli occhi ho sentito una chimica immediata. Siamo entrambe della East coast, e con radici italiane».

Sullo schermo siete esplosivi, cosa ha acceso quel fuoco fra voi? «Il fatto che per molti anni abbiamo entrambe accumulato un talento che voleva esprimersi in un’altra direzione, e quando succede è una specie di esplosione. Dopo 15 minuti che ci conoscevamo stavamo già cantando insieme: mi ha portato una canzone, The midnight special, e la cantava dalle viscere».

Ha cantato al Super Bowl e con Tony Bennett, dove si posiziona la prova attoriale con Cooper? «Sulle stesse vette, e forse più in alto… Perché stavo anche recitando, e Bradley ha dovuto accettarmi in veste di attrice. All’inizio dell’avventura ci siamo stretti la mano e gli ho detto: “Credo in te come musicista”, lui ha risposto “Credo in te come attrice”, e così è stato».

(…continua)

Intervista integrale pubblicata su F del 10 ottobre 2018 

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Federico Zampaglione: «Ogni volta che ho ricominciato».

03 mercoledì Ott 2018

Posted by Cristiana Allievi in cinema, Musica, Personaggi

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Due destini, Federico Zampaglione, Fino a qui, interviste, interviste illuminanti, Noi casomai, Tiromancino

C’è chi teme anche il più piccolo cambiamento di direzione del vento. Chi si butta a capofitto in nuove avventure. Chi resiste fino all’ultimo, finché gli eventi non lo costringono a saltare. Poi c’è Federico Zampaglione, che è rinato a se stesso almeno tre volte, in modo consapevole. «Per anni mi sono detto “pensa se riuscissi a scrivere canzoni che cantano tutti…”, era quello che sognavo dalla mattina alla sera. Poi quel giorno è arrivato, ho scritto tanti pezzi che hanno avuto grandissimo successo, e mi sono ritrovato intorno a 34 anni a non avere più quella molla, a non sapere più cosa sognare…». Così il leader dei Tiromancino mi racconta di quel momento in cui raggiungi tutto quello che la mente e il cuore hanno sognato, e ti chiedi cosa verrà dopo. E siccome lui non voleva ripetersi a vuoto, si è lasciato alle spalle successi come Due destini, Per me è importante o Un tempo piccolo e si è messo dietro la macchina da presa, sfornando tre film. «Ho vissuto un’altra vita, sono diventato un’altra persona, un regista di film di terrore! Ho viaggiato il mondo con Shadow, l’horror italiano che ha avuto più successo nel mondo negli ultimi 20 anni». Anche sentimentalmente Zampaglione, 50 anni, romano, ha attraversato cambiamenti radicali.  Dopo 11 anni con l’attrice Claudia Gerini, con cui ha avuto Linda, 8 anni, oggi rinasce con una nuova compagna, a cui dedica il singolo di un nuovo disco. Lei è l’attrice pugliese Giglia Marra, e il lavoro discografico disponibile da domani è Fino a qui: quattro brani inediti più nuove interpretazioni di 12 pezzi cult della band cantati in duetto con i grandissimi della musica italiana.

Cade l’occhio sul fatto che in Fino a qui lei canta con Jovanotti, Biagio Antonacci, Luciano Sangiorgi, Tiziano Ferro e altri ancora, 12 artisti top di casa nostra. «Ci sono le pop star più consolidate e anche artisti del rap e della scena più alternativa, come Fabri Fibra e i Thegiornalisti. È un album che abbiamo fatto senza prenderci troppo sul serio, non volevamo fosse solo auto celebrazione».

I musicisti hanno personalità ingombranti, dobbiamo dedurre che lei ha una capacità speciale di fare squadra? «Nasco col blues e con le jam session, incontri di musicisti che non si sono mai visti prima e che improvvisano. Ho sempre avuto una mentalità di apertura, e non ascolto mai la mia musica, se non quando passa alla radio, quindi significa che ascolto quella degli altri».

Jovanotti ha detto sui social che lei ha scritto almeno cinque canzoni che avrebbe voluto scrivere lui. «Mi ha colpito, è uno di quei complimenti che mi porto nel cuore».

La voce di Biagio Antonacci dice “il pezzo è da paura, fatto così by night, con le chitarre… Vieni che lo registriamo da me, nella cantina…”, prima di attaccare con Un tempo piccolo. «È un messaggio vocale che mi ha mandato e che ho voluto inserire all’inizio del brano perché sintetizza lo spirito di questo lavoro, che mi ha divertito moltissimo».

Cosa c’è di nuovo? «Ho imparato a non avere aspettative, ho scoperto che sono un nostro tentativo di controllare tutto, anche il destino, e sono la causa della nostra sofferenza. La vita ha un suo corso, e il bello arriva quando non te lo aspetti».

In Noi Casomai, uno dei quattro brani inediti del disco, dedicato alla sua nuova compagna, canta: “Sei tutto quello che non mi aspettavo/ spero solo che non finirà…”. «Col passare del tempo le cose cambiano, in meglio e in peggio. Di fatto niente resta uguale e la mia è un’esortazione a vivere la gioia di questo momento».

(…continua) 

Intervista pubblicata su Grazia del 27/9/2018 

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Bradley Cooper: «Dirigo, canto, recito»

29 sabato Set 2018

Posted by Cristiana Allievi in cinema, Mostra d'arte cinematografica di Venezia, Musica, Personaggi

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A star is born, Bradley Cooper, cinema, interviste, interviste illuminanti, Lady Gaga, Star, Warner Bros

 

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L’attore, regista e produttore Bradley Cooper, 43 anni. 

REGISTA E INTERPRETE DI A STAR IS BORN, BRADLEY COOPER NON HA TEMUTO IL CONFRONTO CON LADY GAGA. UNA (TRIPLICE) SFIDA CHE GLI HA PERMESSO DI TENERE A BADA I SUOI DEMONI. MENTRE SI PREPARA DIVENTARE UN ALTRO MUSICISTA…

Essere pluricandidato agli Oscar come attore non gli bastava, evidentemente. Così ha pensato a un triplo salto, che avrebbe potuto anche rivelarsi mortale. E che invece sbancherà i botteghini del pianeta. Bradley Cooper, tra volte candidato agli Academy Awards per American Sniper, American Hustle e Il lato positivo, ha esordito da regista con il film più glam dell’ultima Mostra d’arte cinematografica di Venezia, presentato nella sezione fuori concorso. Oltre che produttore di A Star is Born ne è anche il protagonista, e non sfigura accanto alla sua costar, anche lei a un debutto:  Stefani Joanne Angelina Germanotta, alias Lady Gaga, di professione superstar della musica. Cooper ha scelto di cimentarsi in un remake, e non di un film qualunque: nelle sale dall’11 ottobre porta infatti la terza versione di uno dei melò che ha avuto più successo della storia di Hollywood. Prima della coppia Cooper Gaga, ci sono stati anche Barbra Straisand e Kris Kristofferson, Judi Garland e James Mason, Janet Gaynor e Fredric March. Nato a Philadelphia, con una laurea in Letteratura inglese e un master in Belle arti, nel 2009 Cooper è diventato molto popolare grazie a Una notte da Leoni: da lì in poi Hollywood non lo ha più mollato. A breve sarà nel nuovo diretto da Clint Eastwood in The mule, e poi sarà per la seconda volta dietro la macchina da presa a dirigere ancora se stesso, stavolta nei panni di uno dei direttori d’orchestra più famosi di sempre, Leonard Bernstein. In A Star is Born è Jackson Mained, un cantante rock folk che scopre in un locale per drag queen Ally, una cameriera che canta La vie en rose. Jackson riconosce in lei qualcosa di straordinario, fra loro è amore a prima vista. I due cantano (per davvero) i pezzi scritti da Lady Gaga con la collaborazione dello stesso Cooper e di vari musicisti country. E mentre la storia Jackson naufraga fra l’alcol e le droghe con cui tenta di affogare il dolore di un vecchio trauma, Ally scala l’Olimpo del successo.

Nervoso, prima della proiezione del suo film a Venezia?

«Sta scherzando? Sono uno dei produttori del film e anche il produttore esecutivo, uno degli sceneggiatori oltre che il protagonista… Todd Philips, che è un caro amico e partner in affari, mi ha sempre detto “non c’è niente come dirigere un film, significa tutto e si diventa davvero vulnerabili”. Mi sono innamorato di questo progetto e ci ho passato molti anni insieme, ma la sera della proiezione ho detto a Stefi: “Questo è quanto,  da ora  in poi il film non sarà più nostro, sei pronta a questo?”».

Che effetto le ha fatto? «Una certa tristezza, mista a speranza e a sollievo. E anche se il film è stato accolto bene quel fondo di tristezza non se n’è andato».

 Esordio del regista e dell’attrice protagonista: saltare in due è più o meno rischioso?  «Ci siamo sentiti come due persone che sono allo stesso punto, nel proprio lavoro. Avevamo entrambi bisogno della stessa cosa, l’uno dall’altra, per riuscire a saltare le tracce e raggiungere una nuova posizione».

 “Il talento lo hanno in molti, ma avere qualcosa da dire e farlo in modo che la gente ti ascolti, è un’altra cosa. E finché non esci allo scoperto, e ci provi, non lo puoi sapere”. Parole di Jackson che ha usato per prendere coraggio, durante le riprese? «Molto di quello che dice Jackson è ciò che spero di ottenere attraverso questo film. Quando sono al top del successo, Jack dice ad Ally: “adesso ci ascoltano, ma non lo faranno sempre. Devi riuscire a rimanere radicata nel tuo centro”». Mi ricordo di aver letto un’intervista di Steven Soderbergh con Richard Lester in cui diceva che dopo i 38 anni un regista è finito. Mi ha spaventato a morte, io non avevo nemmeno iniziato! Però Clint Eastwood aveva  41 anni quando ha girato  Play Misty For Me, si tratta davvero di avere il coraggio di dire quello che vuoi dire».

 

(…continua)

Intervista integrale pubblicata su D La Repubblica del 29 settembre 2018.

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Anastacia: «Ho imparato a volermi bene».

06 domenica Mag 2018

Posted by Cristiana Allievi in Musica, Personaggi

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Anastacia, Cristiana Allievi, donne forti, Evolution, Grazia, interviste, music, pop music

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La cantante Usa Anastacia, 49 anni (Courtesy Urban Post). 

«Ho cambiato casa discografica, mi sono sposata, ho divorziato, ho avuto il secondo cancro ed è stato davvero un colpo durissimo. Diciamo che sono arrivata a toccare il fondo e ho dovuto ricominciare daccapo». Parole, queste, che mi fanno sobbalzare sulla sedia. Poi faccio due conti, e mi accorgo che gli incontri con Anastacia sono sempre stati di questa intensità. È una donna molto forte, vulcanica, e le interviste con lei vibrano della stessa energia. Mi torna in mente l’ultima volta che l’avevo incontrata, mi aveva detto di aver scoperto il primo cancro al seno grazie alla voglia di ridurlo di due taglie, «mi dava fastidio, anche quando salivo sul palco, e per fortuna grazie a questo mio disagio i medici sono intervenuti subito, asportando il male e riducendomi il seno di un terzo del volume». Credevo fosse tutto, invece dieci minuti dopo, ascoltando i suoi riferimenti temporali,  mi ero accorta che i conti non tornavano: è stato il suo modo di raccontarmi che aveva sempre mentito sulla sua età: «Non ero mai stata in clinica per disintossicarmi, non ero una bad girl, avevo una voce da nera in un corpo da bianca, non sapevano come “etichettarmi”… Mi hanno detto “Vai bene, ma dovresti avere 23 anni…”. Togliermi sei anni è stato l’unico compromesso che ho accettato, e non intendo più farlo». E oggi ride con quella voce portentosa che si ritrova e un timbro che le è valso 30 milioni di dischi venduti, forse più. Le ricordo questi episodi del passato e lei prende la palla al balzo: “la prima parte della storia è sempre la stessa, adesso le racconto la seconda…”. La scusa è l’uscita di Evolution, a 18 anni dal suo debutto discografico, disco che l’artista di Chicago porterà in un tour che passerà presto dall’Italia: prima data a Brescia, il 6 maggio.

Evolution viene dopo Resurrection, una conseguenza logica, in effetti. «Pensi che il mio nome significa proprio “resurrezione”, ma Evolution è stato un passo successivo, un ritrovare davvero me stessa. Nel 2006 mi ero persa nel business, avevo davvero bisogno di staccare la spina perché  dopo il primo cancro avevo corso troppo. Invece non l’ho fatto,  e nel 2013 me ne hanno diagnosticato un secondo tumore, lì sono crollata».

Cambiamenti alla mano, negli ultimi 10 anni lei ha vissuto praticamente tre vite… «Diciamo che sono arrivata a toccare il fondo ( ha contribuito anche il divorzio da Wayne Newton, il suo bodyguard, con cui è stata sposata dal 2007 al 2010, ndr), ho dovuto ricontattare davvero la mia parte femminile e ricostruire tutto di me, eccetto la voce. Mi sono accorta che con il disco precedente stavo cercando di mantenermi occupata, lavorare era un modo per dirmi che non era finita. Adesso sono una donna nuova, anche se questo album contiene ancora elementi del 2007».

Si sarà confrontata con varie paure. «Soprattutto ho dovuto realizzare che non ero una vittima, e che se vuoi essere sana e vivere una vita gioisa devi accorgerti che la maggior parte delle volte l’ostacolo sei tu stessa. Mi sono guardata dentro e ho fatto un inventario di quello che stavo permettendo, mangiando, pensando».

Precisamente? «Mangiavo male, un’italiana come lei inorridirà a sentire che facevo fuori i ravioli direttamente dalla lattina, non ci facevo nemmeno caso. Il problema è che quando hai il morbo di Chrones bruci tutto, quindi mi bastava ingerire calorie, non sapevo di fare cose terribili per il cancro. Oggi sono molto più intelligente col cibo e da cinque anni non bevo più alcol».

Altri aspetti guariti? «Oggi mi accorgo delle cose sbagliate, prima non ero brava a scegliere i collaboratori giusti, e nemmeno gli uomini. Quando sono stata tradita ho scritto nelle canzoni che non me lo meritavo, ma se mi volto indietro vedo che stavo accontentandomi degli scarti, senza saperlo. “Voglio davvero avere il cuore a pezzi?”, mi sono chiesta, e la risposta era no, quindi dovevo cambiare strada».

 Come? «Non ripetendo gli stessi errori, è così che le cose cambiano».

Quando ci siamo incontrate l’ultima volta aveva scritto in una canzone, “non amerò mai più così”, e quando le ho chiesto cosa intendesse dire mi ha risposto che non avrebbe mai più vissuto un sentimento così intenso. «All’epoca ero sposata, quando divorzi scopri più verità rispetto a quello che credevi essere l’amore. Io ho scoperto che quello che avevo davanti non era ciò che desideravo per il futuro, anche se ero più che grata a quella persona: è anche merito suo se sono arrivata fin qui».

 

(…continua) 

Intervista pubblicata su Grazia del 3/5/2018 

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L’altra Grace Jones. Amante, figlia, madre, sorella e nonna. Senza filtri

30 martedì Gen 2018

Posted by Cristiana Allievi in cinema, Miti, Musica, Torino Film Festival

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Cristiana Allievi, documentario, GQ Italia, Grace Jones, Grace Jones: Bloodlight and Bami, Sophie Fiennes

Sophie Fiennes, sorella delle star hollywoodiane Ralph e Joseph, ci fa conoscere la donna che si nasconde dietro una delle icone più indelebili e graffianti degli Anni Ottanta

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Grace Jones con la regista Sophie Fiennes (courtesy Billboard, ndr)

Il viso come un teschio d’oro. Un corpo che pare scolpito nella pietra scura. E scenografie potenti quanto le coreografie che scorrono davanti agli occhi sulle note di Slave to the Rythm o La vie en rose in versione disco. Poi si passa al dietro le quinte, alla vita vera. Così, in un sapiente alternarsi di masquerade, episodi della vita più intima e personale, immersioni nella natura della Jamaica, cappelli eccentrici e soprattutto incursioni nella dolorosa storia familiare, si snoda il racconto di Grace Jones: Bloodlight and Bami, raffinato film di Sophie Fiennes presentato in anteprima all’ultimo Torino Film Festival che sarà in sala come evento il 30 e 31 gennaio 2018 grazie a Officine UBU in collaborazione con SkyArteHD.

Con un mix inedito di immagini mai viste prima, la documentarista inglese, sorella delle star hollywoodiane Ralph e Joseph, ci fa conoscere la donna che si nasconde dietro l’icona degli anni Ottanta.

Quello che sorprende di più del suo lavoro è la mancanza di filtri, per cui la Jones si mostra così com’è nei panni di figlia, madre, sorella, amante, creando una sensazione che fa da contrappunto alla pantera nera che divora il palcoscenico e che conosciamo bene. Sophie, 50 anni e un figlio di otto anni, Horace, è apprezzatissima a livello internazionale per i suoi lungometraggi che vanno a ritrarre grandi personalità del mondo dell’arte e della cultura.

Perché dopo l’artista tedesco Anselm Kiefer ha scelto proprio Grace Jones?
«L’ho incontrata quando ho girato un film su suo fratello Noel, che è pastore della City of Refuge Church, in California. Così ho conosciuto un essere bellissimo, con i suoi sessant’anni. Era il momento giusto per fare un film su una personalità così forte, e credo di aver trovato una chiave molto inusuale che sorprenderà. Mostro una Jones lontanissima dalle masquerade a cui ci ha abituati, mi ha permesso di entrare in una parte molto privata della sua vita».

Grazie al film scopriamo che Grace e i suoi fratelli, Chris e Noel, sono stati cresciuti per anni da un terribile patrigno: Mas P., uomo violento e autoritario…
«Eppure lei non è una vittima e non ha paura: trasforma la paura, butta fuori questa energia e la scaglia sul pubblico. Credo che abbia deciso di portarmi con lei perché desiderava esplorare la sua relazione con la Giamaica e la sua famiglia. Per cinque anni ho avuto la valigia sempre pronta, quando chiamava partivo. Ho raccolto moltissimo materiale, fra Tokyo, Parigi, Mosca, Londra e New York, e solo in un secondo tempo mi sono occupata di selezionarlo pensando a cosa avrei voluto farci».

Cosa significano le parole che ha scelto per il titolo del suo film?
«‘Bloodlight’ si riferisce alla luce rossa che si illumina quando un artista è impegnato in una registrazione in sala d’incisione. Mentre ‘Bami’ fa riferimento a una focaccia giamaicana di farina e tapioca, che simboleggia il pane della vita».

Grace dà la sensazione di essere una donna che preferisce stare nuda e sul palco, è così?
«Si sente più forte, in quella versione, e il palcoscenico è la sua àncora, il punto fermo a cui ritornare. Le abbiamo fatto indossare anche quegli incredibili cappelli di Philip Treacy che sottolineano le sue movenze da ex top model».

La Jones è anche una tenace donna d’affari, che discute dei suoi progetti musicali con un certo piglio.
«“Voglio essere libera di fare la musica che desidero” è una delle frasi che fanno capire che non si piega alle logiche del mercato. Il suo è un continuo processo sperimentale che la porta a capire chi è e chi vuole essere in quel momento, assecondando ciò che prova in quell’istante».

Altro elemento soprendente è scoprire la tanta religione nella vita della Jones. 
«Ho mostrato Grace mentre applaude la performance della madre in chiesa, e da spettatore senti che c’è qualcosa di potente mentre le guardi. Credo che sia dovuto alla mancanza di intimità con i suoi genitori, durante l’infanzia, che poi è il tema di tutta la parte del film girata in Giamaica».

[Continua…]

Intervista pubblicata su GQ.it il 30 gennaio 2018

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Charlotte Gainsbourg: «Le note della mia anima»

11 sabato Nov 2017

Posted by Cristiana Allievi in cinema, Musica, Personaggi

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Tag

Charlotte Gainsbourg, D La repubblica, Independence day, Kate, Lars Von Trier, nuovo album, Nuovo film, Rest, Serge Gainsbourg, YSL

«Mia sorella Kate era tutto il mio mondo. Quando è morta sono entrata in una paralisi che è durata sei mesi. Con Yvanne e i nostri figli volevamo lasciare Parigi, scappare da tutto ciò che è successo, ma non sapevamo dove andare. Venendo qui non è stato come se nulla fosse accaduto, ma almeno sono tornata a respirare e ad essere una madre, a vivere». Per chi conosce Charlotte Gainsbourg questa non è una premessa normale. Anche se la riservata figlia della superstar francese Serge Gainsbourg e della modella e attrice inglese Jane Birkin predilige gli incontri a due a quelli più social, l’esordio parla di un cambio di rotta. Siamo a Manhattan, e all’ora prevista per l’incontro è già seduta in un angolo del The Marlton Hohel. Il volto luminosissimo, che vedremo per tutto l’inverno nella campagna YSL, risalta ancora di più sulla t-shirt nera d’ordinanza e il trench in pelle vintage portati con jeans attillati. Siamo a due passi dagli Electric Lady Studios, gli studi di registrazione in cui ha inciso Rest, il quarto album della carriera, nei negozi dal 17 novembre. Nei cinema di tutto il mondo intanto c’è L’uomo di neve, in cui recita accanto a Michael Fassbender, ma confida di non averlo ancora visto. Oggi si parla delle 11 canzoni che sembrano uno spartiacque nella sua vita. Marcano il confine fra i complessi di inferiorità nei confronti del padre Serge e una ritrovata forza personale, su vari fronti. Queste song dallo scintillante suono electro pop dividono il tempo in cui Charlotte si vergognava a parlare in prima persona, e demandava la firma delle sue canzioni a parolieri esperti, da quello in cui è lei a firmare i testi e a svelare la se stessa più intima e (anche) dolorosa. Sono passati sette anni dal suo disco precedente, Stage Whisper, è maturata, ha girato una valanga di film fra cui due Nymphomaniac con Lars Von Trier e un blockbuster come Independence Day con Roland Emmerich. Per Rest (su etichetta Because/Warner) ha voluto al suo fianco un produttore che viene dall’elettronica, SebastiAn, e musicisti come Guy-Manuel de Homem-Christo dei Daft Punk, Owen Pallett, Connan Mockasin e altri ancora. C’è persino una song del Beatle Paul McCartney, dal titolo lievemente inquietante, Songbird in a cage. «Quest’album è nato cinque anni fa, quando ho avuto l’idea intorno a cui incentrare il lavoro. Sapevo che SebastiAn aveva lavorato con Kavinsky ed ero curiosa di vedere se avrebbe accettato di lavorare con me. Ma il primo incontro è stato disastroso, lui è arrivato molto in ritardo ed era completamente ubriaco. Non bastasse, mi ha detto “so cosa devi fare, un disco in francese, come tuo padre…”. Mi sono detta, “ok, cos’altro mi deve capitare nella vita? (scoppia a ridere, ndr)». Parole che devono essere pesate come macigni, su una donna che ce la stava mettendo tutta per smarcarsi da un padre/artista ingombrante, scomodo, geniale e pure alcolista. A partire dal nascondersi dietro testi scritti da altri fino al cantare in inglese, piuttosto che in francese. Ma poi la perdita della sorella Kate Barry, la fotografa di moda che si è tolta la vita a Parigi, nel dicembre 2013, ha spazzato via ogni indugio, lasciando spazio a un dolore e a un’urgenza di esprimerlo brucianti.

(… continua)

Cover story di D La Repubblica dell’11 novembre 2017

© Riproduzione riservata

 

 

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