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Cristiana Allievi

~ Interviste illuminanti

Cristiana Allievi

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Lady Gaga «Ho tenuto stretta la mia musica».

08 lunedì Ott 2018

Posted by cristianaallievi in cinema, Mostra d'arte cinematografica di Venezia, Musica, Personaggi

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A star is born, cinema, F, interviste illuminanti, Lady Gaga, popstar, Venezia 75, Warner Bros

lady-gaga-venezia-1.jpg

La cantante e attrice Lady Gaga, nome d’arte di Stefani Germanotta, 32 anni,

Cronaca di un incontro avvenuto in tre fasi all’ultima Mostra di Venezia. La prima, sullo schermo. Struccata, con i capelli castani, in jeans e maglietta, la Ally che canta in un locale per drag queen e non crede nelle sue capacità mi arriva dritta allo stomaco. Mi chiedo quanto la protagonista di A star is born assomigli alla vera Stefani Germanotta, alias Lady Gaga, ragazza della East coast americana con origini italianissime. Poche ore dopo la incontro sul red carpet, e stavolta è biondo platino, avvolta in piume di struzzo rosa. È diversa da Ally ma ridimensionata rispetto al passato (chi se la ricorda da David Letterman in mutande, guepiere, giacca in pelle e maschera neri, solo qualche anno fa?). C’è un altro dettaglio che mi colpisce: inizia a piovere a dirotto, lei non smette di firmare autografi e fare selfie con i fans per 10 minuti cronometrati. Segno di professionalità, ma anche  di generosità. Il giorno successivo la incontro per l’intervista, Gaga indossa un sobrio completo blu con i capelli raccolti.

La popstar da 30 milioni di dischi venduti nel mondo ha due film e la serie tv American Horror Story alle spalle. Ma A star is born, terzo remake del film cult del 1937 è il suo esordio da protagonista. Il ruolo è quello di una cameriera con doti canore che si cimenta in bar frequentati da drag queen  e si innamora di un cantante pop rock che la porterà sulle vette del successo. Anche Gaga, ex compagna di classe di Paris Hilton, è partita dal coro del liceo per poi iniziare a proporre pop music nella New York underground, anche in questo caso cantando fra le drag queen. Poi sono venuti i dischi d’oro, i sold out, le piogge di premi e i tour su palchi vertiginosi, come quello del Super Bowl dell’anno scorso.

Come la devo chiamare? «Gaga o Stefani, come le piace di più. Gaga è un nome partito come scherzo del mio produttore, dal brano Radio Ga Ga dei Queen. Ho iniziato a usarlo per gli show di Burlesque che successivamente ho incorporato nelle performance pop. Ormai è un soprannome, è come un mantra».

 Com’è successo che Bradley Cooper arrivasse a proporle il suo film? «Ero a un evento per la lotta al cancro, c’era anche lui e mi ha sentita cantare La vie en rose. Poi ho ricevuto una sua telefonata, è venuto a casa mia. Mi ha raccontato il suo progetto e guardandolo negli occhi ho sentito una chimica immediata. Siamo entrambe della East coast, e con radici italiane».

Sullo schermo siete esplosivi, cosa ha acceso quel fuoco fra voi? «Il fatto che per molti anni abbiamo entrambe accumulato un talento che voleva esprimersi in un’altra direzione, e quando succede è una specie di esplosione. Dopo 15 minuti che ci conoscevamo stavamo già cantando insieme: mi ha portato una canzone, The midnight special, e la cantava dalle viscere».

Ha cantato al Super Bowl e con Tony Bennett, dove si posiziona la prova attoriale con Cooper? «Sulle stesse vette, e forse più in alto… Perché stavo anche recitando, e Bradley ha dovuto accettarmi in veste di attrice. All’inizio dell’avventura ci siamo stretti la mano e gli ho detto: “Credo in te come musicista”, lui ha risposto “Credo in te come attrice”, e così è stato».

(…continua)

Intervista integrale pubblicata su F del 10 ottobre 2018 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Christian Bale: «Voglio essere il miglior padre possibile».

02 lunedì Apr 2018

Posted by cristianaallievi in cinema, Cultura, Personaggi

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actors, attori, Batman, Christian Bale, Cristiana Allievi, F, New Mexico, Ostiles-Ostili

 

christian-bale-3-720x720.jpgSUL SET AMMETTE DI CERCARE “UN’OSSESSIONE”, L’UNICO MODO PER NON ANNOIARSI. LA FAMA NON GLI INTERESSA. «SONO ME STESSO QUANDO GUIDO IL MIO VECCHIO PICK UP», RACCONTA L’ATTORE CHE TRA FAMIGLIA E LAVORO NON HA DUBBI: «MIA MOGLIE E I MIEI FIGLI SONO LA MIA VITA».

Christian Bale è così bravo a cambiar pelle da essersi meritato l’appellativo di “grande camaleonte”. Finora ci ha convinti su più fronti. Nei panni di Gesù, in quelli di Mosè, di un operaio della Pennsylvania e persino di Batman. Ma se gli riesce facile essere qualcun altro sullo schermo, altra cosa è essere se stesso nelle interviste: è il terreno su cui si ritrae di più, nonostante ce la metta tutta per essere professionale. Nato in Galles 44 anni fa, cresciuto fra l’Inghilterra e gli Usa in un contesto bohémien, Bale è figlio di un’artista circense e di un pilota civile diventato in seguito famoso attivista. Ha iniziato col teatro shakesperiano, poi è finito sul grande schermo a soli 12 anni grazie a Spielberg con L’impero del sole. Da lì in avanti si è specializzato nel prendere e perdere (tanto) peso, fino a vincere l’Oscar con The fighter di David O. Russel nel 2011, e a sfiorarlo di nuovo tre anni dopo, con American Hustle. Nell’ultimo film, Ostili, definito dal Guardian “un western brutale e meraviglioso” e nelle sale dal 22 marzo, è un leggendario capitano dell’esercito che accetta suo malgrado di scortare un capo guerriero Cheyenne in punto di morte e la sua famiglia fino alle loro terre natie. Nel viaggio incontrerà una giovane vedova (Rosamund Pike) a cui sono stati assassinati tutti i membri della famiglia, e i due dovranno sopravvivere al dolore e alle ostili tribù Comanche.

Da Fort Berringer, un isolato accampamento nel Nuovo Messico, alle praterie del Montana, quello in cui è impegnato è un viaggio da Odissea. «Abbiamo girato nel Nuovo Messico col caldo più intenso, indossando le vere uniformi di lana del periodo. Per questo motivo siamo diventati sempre più magri durante l’arco del film! Durante il lavoro ho visto i fulmini e le tempeste più incredibili della mia vita, seguiti da doppi arcobaleni. Ne ho contati quattordici durante le riprese!».

L’uomo che interpreta è costretto a fare cose tremende. «Ha conosciuto solo guerra e orrore per tutta la vita e non può fare quello che fa senza accumulare odio. La violenza che conosce non è spavalderia, è molto specifica, brutale, efferata ed anche molto veloce. E lui deve reprimere tutto, perché un leader non può mostrare alcuna vulnerabilità, in effetti vive una specie di incubo (ride, ndr)».

Quando si trova in un incubo lei come ne esce? «Come dicono i saggi, non si può risolvere un problema con la stessa mentalità di chi lo ha creato, e anche questa storia lo dimostra. È un percorso interiore, un viaggio su come si impara a spegnere l’odio, attraversando quell’enorme senso di colpa che si prova nel farlo. In effetti il manoscritto originale di Donald Stewart, scritto negli anni ’70, mostra un problema molto attuale: ci ostiniamo a non ammettere che tutti i conflitti che continuiamo ad alimentare non hanno senso».

È vero che ha passato molto tempo con i Cheyenne? «Il Capo Phillip è stato inestimabile. Ho dovuto imparare la lingua, e lui diceva che non me l’avrebbe insegnata senza prima insegnarmi tutto sulla cultura del suo popolo, e così è stato».

La cosa che porterà sempre con sè? «Ogni mattina il Capo Phillip ci metteva tutti in cerchio per benedirci, ed era un processo che richiedeva tempo. Per la troupe, che su un set cerca di velocizzare tutto al massimo, è stata una specie di incubo. Per me invece è stato fondamentale, mi ha dato la possibilità di centrarmi e di sentirmi legato a tutto quello che mi circondava. Mi ha dato una forza e una potenza che mi hanno aiutato in tutto quello che ho fatto, e ho capito che prendersi del tempo per stare insieme e sentirsi parte di una comunità rende le cose molto più facili».

(….continua)

 

Intervista pubblicata su F del 4 Aprile 2018 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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