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Cristiana Allievi

~ Interviste illuminanti

Cristiana Allievi

Archivi tag: Matteo Garrone

Stacy Martin, «La mia vita in transito».

26 venerdì Apr 2019

Posted by cristianaallievi in arte, cinema, Personaggi

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Attrici, Il racconto dei racconti, interviste illuminanti, Lars Von Trier, Matteo Garrone, MeToo, Quel giorno d'estate, Stacy Martin, Vanity Fair

HA LASCIATO PARIGI DA BAMBINA, E SI È TRASFERITA A TOKYO. POI, QUANDO HA DECISO DI DIVENTARE ATTRICE, HA INTERPRETATO UNA PARTE DI CUI TUTTI HANNO PARLATO. NON STUPISCE ALLORA CHE STACY MARTIN ABBIA VUTO BISOGNO DI TEMPO PER SCOPRIRE LA PROPRIA IDENTITA’ (E PER NON DOVERSI OGNI VOLTA SPOGLIARE)

Stacy Martin, 28 anni, attrice (courtesy CR fashion book)

«Ho tradotto un film in giapponese per il mio fidanzato. Quando ho capito che ce l’avevo fatta mi è sembrato di avere un potere segreto». Qualcosa di simile Stacy Martin deve averlo sviluppato davvero. Forse essere stata catapultata da Parigi a Tokio all’età di sette anni l’ha resa una specie di aliena, obbligandola ad adattarsi a situazioni estreme.

Poi però, quando Lars von Trier le ha proposto Nymphomaniac con un ruolo da drogata del sesso, essere allenata al disagio ha fatto la differenza. Perché con l’ottima performance della giovane Joe, il mondo si è accorto all’improvviso che esisteva una Stacy Martin, e  Miu Miu l’ha presa al volo come volto del suo profumo. Da lì in avanti ha militato nel cinema indipendente (fatta eccezione per Tutti i soldi del mondo di Ridley Scott), e scelto molto bene i registi con cui lavorare. Padre francese e madre inglese, Stacy vive a Londra con il fidanzato musicista indie rock Daniel Blumberg. Il paio di Dr Martens che indossa con una lunga gonna nera plissettata abbinata a un maglioncino millerighe, insieme alla voce pacata e sottile, racconta che riserva gli estremi solo ai film. A marzo in Francia è uscito Dernier Amour, di Benoit Jacquot, con Valeria Golino e Vincent Lindon, «racconta il periodo dell’esilio di Casanova a Londra, io sono Marianne de Charpillon, l’unica donna che non ha mai conquistato». A breve inizierà le riprese di The evening hour, storia di un giovane che cerca di sopravvivere nel declino della West Virginia, mentre attende di essere diretta da Kirsten Dunst che esordirà dietro la macchina da presa con The Bell Jar, adattamento del romanzo di Sylvia Plath. Intanto dal 30 maggio la vedremo in Quel giorno d’estate di Mikhael Hers. David (Vincent Lacoste), sbarca il lunario a Parigi facendo il giardiniere e affittando stanze. Un giorno nella sua vita arriva Lena (Stacy Martin) e fra i due nasce l’amore, ma la festa finisce qui: un attacco terroristico nel cuore della città gli strappa la sorella e lui si ritrova a fare i conti con una madre mai frequentata, il dolore e un assetto di vita tutto da ricostruire. «Ho accettato il film perché Michael fa bellissimi ritratti di persone e città in fase di transizione. È un tema che mi tocca, trovo molto interessante chi cerca di capire dove si trova».

(continua…)

Intervista esclusiva uscita su Vanity Fair n. 17 dell’1 maggio 2019

© Riproduzione riservata

Matteo Garrone e il suo Dogman, un film da Palma d’oro

23 mercoledì Mag 2018

Posted by cristianaallievi in Cannes, Festival di Cannes, Senza categoria

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cinema, Cristiana Allievi, Dogman, Edoardo Pesce, Festival di Cannes, Marcello Fonte, Matteo Garrone

dogman-marcello-fonte-foto-1.jpg

Marcello Fonte in Dogman, il film per cui ha vinto il premio come miglior attore protagonista all’ultimo festival di Cannes. 

Un lavoro classico e potente, che finisce dritto nella rosa dei potenziali vincitori della Palma D’Oro

Anticipato da un tappeto rosso che ha visto sfilare anche Nicoletta Braschi e Roberto Benigni, e concluso con una standing ovation di 10 minuti (ripetutasi all’ingresso del regista e del cast in sala stampa), il film apre con un primo piano sui denti di un cane feroce che viene placato e lavato dal mite protagonista. Una scena che racchiude l’essenza della storia che vedremo, quella di un uomo che deve sopravvivere in una periferia popolata da belve, che non sono, però, gli animali di cui si occupa per professione e a cui allude il titolo, ma i consimili che lo circondano.

Marcello è un uomo di piccola statura che porta avanti un salone di toelettature per cani, faticosamente messo in piedi in una periferia malfamata, un luogo che sembra un po’ un asfissiante e che il regista ha trovato (di nuovo) in un angolo disabitato di Castelvolturno. La vita del protagonista è semplice e scandita dalla passione con cui cura e pulisce gli animali – cuccioli e cani adulti dalle razze e dalle taglie più svariate che arrivano nel suo negozio -, l’amore profondo che lo lega a sua figlia Alida e la vita squallida del luogo in cui domina la personalità violenta e terrorizzante di Simone, un ex pugile che tiene in pugno la zona. Gli altri abitanti del luogo, stufi dei soprusi, iniziano a mormorare che bisogna liberarsi di Simone, ma Marcello sembra non sposare la loro idea e rimanere fedele a quel piccolo mostro che gli è famigliare da sempre.

«Come è capitato spesso nei miei film, anche all’origine di Dogman c’è una suggestione visiva, un’immagine, un ribaltamento di prospettiva: quella di alcuni cani, chiusi in gabbia, che assistono come testimoni all’esplodere della bestialità umana. Un’immagine che risale a 13 anni fa, quando per la prima volta ho pensato di girare questo film», racconta il regista romano, classe ’68, amatissimo a Cannes.
Era stato sulla Croisette nel 2002 con L’imbalsamatore, nella sezione Quinzaine, poi per la prima volta in Concorso con Gomorra, nel 2008, con cui vinse il Gran Prix, e di nuovo nel 2012 e nel 2015, con Reality e Il racconto dei Racconti.

«La storia è cambiata molto negli anni, insieme a noi, e siamo arrivati a fare questo film e a raccontare Marcello, ampliando molto la storia e dandole un senso più profondo e umano. Il protagonista resta incastrato dentro meccanismi di violenza, dentro un incubo, e riesce fino alla fine, al suo meglio, a non trasformarsi in un mostro ma a rimanere in qualche modo una vittima della macchina. È molto naif, innocente, e la sua umanità è la forza del film».

Dogman non è soltanto un film di vendetta, insiste Garrone, a cui in piena conferenza stampa squilla il cellulare («non sono fortissimo con la tecnologia, pensavo di aver messo la modalità aerea»), anche se la vendetta gioca un ruolo importante, così come non è soltanto una variazione sul tema (eterno) della lotta tra il debole e il forte. «È invece un film che, seppure attraverso una storia estrema, ci mette di fronte a qualcosa che ci riguarda tutti: le conseguenze delle scelte che facciamo quotidianamente per sopravvivere».

Gli attori sono di una bravura straordinaria. Il protagonista, Marcello Fonte, ha «il volto antico che sembra arrivare da un’Italia che sta scomparendo», dice Garrone, che si sta preparando a girare Pinocchio con Toni Servillo. «Mi ha sempre ricollegato molto a uno dei miei grandi miti del passato, Baxter Keaton, è riuscito a portare al film, soprattutto nella prima parte, momenti di comicità. Quindi un personaggio che abbiamo completamente reinventato rispetto al fatto di cronaca, che è stato molto cruento, soprattutto per quanto riguarda la tortura».

Le vicende del film sono liberamente ispirate ai fatti del 16 febbraio 1988, quando Pietro De Negri, il “Canaro della Magliana”, uccise brutalmente l’ex pugile dilettante Giancarlo Ricci, dopo averlo rinchiuso in una gabbia per cani. Ma come sempre accade, Garrone allarga lo sguardo rispetto all’ispirazione da cui parte e la trasforma in una metafora universale, in questo caso della perdita dell’innocenza.
Edoardo Pesce è quasi irriconoscibile, trasfigurato dalla cattiveria. E accanto a lui Marcello diventa ancora più significativo, con il suo incarnare una forma di innocenza in grado di “reggere” la brutalità dell’antagonista. Finché non accade qualcosa che va oltre il sopportabile: a quel punto Marcello avrà un’idea che lo spettatore (che non conosce i fatti di cronaca) non si aspetterebbe.
A questa storia che, alla fine, mostra un mondo gelido che rimane sempre uguale, addirittura quasi indifferente, danno un tocco straordinario le luci e la fotografia a cui ha lavorato il danese Nicolaj Bruel.

Articolo pubblicato su GQ.it

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Bebe Cave: «Il mio salto nel vuoto»

09 martedì Giu 2015

Posted by cristianaallievi in Festival di Cannes

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Bebe Cave, Cristiana Allievi, Festival di Cannes, Harry Potter, Helen Mirren, Il racconto dei racconti, Jessie Cave, Matteo Garrone, Salma Hayek, The audience

Prima l’ha sospesa sull’orlo di un precipizio perché fosse terrorizzata. Poi le ha riempito la stanza di palloncini per festeggiare i suoi 17 anni. Bebe Cave racconta il suo incontro con il regista Matteo Garrone che l’ha scelta come protagonista di uno dei tre episodi di cui è composto  Il racconto dei racconti, in concorso all’ultimo festival di Cannes. E adesso, grazie al personaggio di Viola, si ritrova tra le grandi del cinema. 

Ha un padre che, per errore, la condanna a diventare sposa di un orco. Ma lei, la principessa, farà di tutto per sfuggire a questo destino. La figlia del re ha il volto dell’inglese Bebe Cave (pronuncia “Bibi”). È la protagonista di La pulce, l’episodio più bello di Il racconto dei racconti, ottavo lungometraggio del regista di Gomorra, in corsa per la Palma d’Oro all’ultimo festival di Cannes e ancora nelle sale. A teatro è già stata principessa accanto alla regina Helen Mirren, in The Audience. E dopo varie serie tv, ha girato Grandi speranze con Ralph Fiennes ed Helena Bonham Charter. Massa di capelli biondi, frizzante come una bottiglia di champagne, a soli 17 anni è stata sul red carpet della Croisette. Riesco a parlarle dopo le 16, orario inglese, quando terminano le lezioni del suo ultimo anno di liceo.

Bebe Cave, attrice britannica, 17 anni, è la protagonista di uno dei tre episodi di Il racconto dei racconti di Matteo Garrone.

Bebe Cave, attrice britannica, 17 anni, è la protagonista di uno dei tre episodi di Il racconto dei racconti di Matteo Garrone.

Come ti ha trovata Matteo Garrone? «Stava cercando una giovane inglese, ha visto un’intervista che ho fatto insieme a mia sorella Jessie per Grandi speranze, credo l’unica presente in rete!».

 Jessie aveva già recitato in due film della saga di Harry Potter, nei panni di Lavanda… «Infatti originariamente Matteo voleva lei, ma quando ha visto che ha 10 anni più di me, ha cambiato idea, una fortuna sfacciata!».

Raccontaci l’incontro con il regista di Gomorra. «Ero abituata alle audizioni formali, che prevedono almeno due step prima dell’incontro con un regista. Così, quando Matteo è arrivato a Londra di persona, e ha iniziato a mostrami le foto di dove avremmo girato, ero spiazzata. Mi ha parlato per dieci minuti a fila, e quando mi ha chiesto se avevo qualche domanda da fargli ho risposto: “Quante altre ragazze sta incontrando per il ruolo?”. Non avevo capito che mi aveva già scelta, stavo per scoppiare a piangere».

Com’è Garrone sul set? «Attori che avevano già lavorato con lui mi avevano avvisata, non avrei mai più visto niente del genere in vita mia. Matteo ha un modo molto personale di approcciare un film, al secondo giorno di riprese mi ha detto “gireremo la scena in cui sei arrabbiatissima con tuo padre in cima al castello…”. Sono finita attaccata a una catena di ferro, davanti avevo il vuoto e voleva mi avvicinassi sempre di più al precipizio… Ero terrorizzata, sarei potuta cadere giù. Matteo soffre di vertigini, faticava a guardare quello che facevo: ma cercava l’elettricità, voleva che morissi di paura!».

Cosa ti ha insegnato, di fondamentale? «Il suo voler rendere le cose più reali possibili, lo pretende anche dentro una favola! Ma è comprensibile, anche in questo caso si tratta di emozioni umane, e voleva che restituissi a tutti i teenagers quello che ha vissuto Viola. Si è fidato di me, delle parole che secondo me una persona come lei avrebbe detto».

 Poco fa mi raccontavi di non volere che le riprese finissero… «Su quel set, tra Gioia del Colle e Bari, ho passato i due mesi più belli della mia vita. Ho anche compiuto 17 anni, e mi hanno fatto trovare la stanza piena di palloncini e di dolci, non lo dimenticherò mai».

Bebe sul red carpet di Cannes con Vincent Cassel, Salma Hayek e John Reilly (courtesy of bbc.com)

Bebe sul red carpet di Cannes con Vincent Cassel, Salma Hayek e John Reilly (courtesy of bbc.com)

Come sei diventata un’attrice? «Ho iniziato a 10 anni, con la tv, a 14 avevo già capito di non voler fare altro. Con Jessie abbiamo costretto mia madre, un medico, a trovarci un’agente per fare audizioni».

Anche tuo padre è un medico, ti ha sostenuta? «Per papà è  uno shock, non si è ancora abitato all’idea, spera che prima o poi faccia il dottore anch’io, come mio fratello più grande. Siamo cinque fratelli, l’altro maschio è all’università e studia storia, farà il primo ministro. Il terzo è un attore, in famiglia siamo tre contro quattro…».

Con Jessie non c’è nessuna competizione? «Siamo le migliori amiche, forse perché ci separano 10 anni, ma in effetti su una cosa c’è competizione: i vestiti. Ne ha tonnellate, se gliene prendo uno dall’armadio non se ne accorge. Ma se glielo chiedo, guai: me lo nega, è un po’ possessiva!».

Quali attrici hai come modello? «Mia sorella su tutte, e poi Jennifer Lawrence. Ha iniziato da giovanissima e ha affrontato un sacco di problemi, senza mollare. Recita in modo realistico e non ha paura di essere buffa, in un mondo come Hollywood, così ossessionato dall’immagine».

Tempo per l’amore ne hai? «Sono la più giovane, i miei fratelli non mi permetteranno mai di avere un fidanzato! Se mai ne portassi a casa uno, lo butterebbero fuori dalla porta o dalla finestra! Mi vedono ancora come la little sister, ma a 18 anni sarò adulta, si dovranno accorgere che sto crescendo…».

articolo pubblicato su Grazia del 20/5/2015

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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