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~ Interviste illuminanti

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Archivi tag: madri

Tra le madri di Tamburi

14 venerdì Giu 2024

Posted by Cristiana Allievi in Attulità, Cultura

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acciaierie, Donna Moderna, Ilva, inetrviste illuminanti, Lisa Sorgini, madri, malattie, TAmburi, Taranto, tossicità, vergogna

VIVONO NEL QUARTIERE DI TARANTO PIU’ VICINO ALL’EX ILVA. OGNI GIORNO LOTTANO CONTRO I VELENI DELl’ACCIAIERIA CHE FANNO AMMALARE I LORO FIGLI. CAPARBIE E RESILIENTI, SONO ORA AL CENTRO DI UN POTENTE PROGETTO FOTOGRAFICO ESPOSTO PER LE STRADE DELLA CITTA’

di Cristiana Allievi

Taranto, l'Ilva dovrà risarcire i residenti del quartiere Tamburi: "Case  svalutate del 20 per cento" - la Repubblica

Se è vero che è nella natura di tutte le madri lottare per i propri figli, ce ne sono alcune che sono costrette a farlo più delle altre. Sono le madri di Tamburi, il quartiere di Taranto più vicino al polo siderurgico dell’ex Ilva. È una delle più grandi fabbriche d’acciaio d’Europa – e dal 1965 emette fumi nocivi che si ritiene abbiano causato migliaia di morti per cancro. Ha contaminato terra, aria e acque con diversi cancerogeni e polveri di amianto, causando uno dei più seri disastri ambientali del nostro paese. Sono quello con cui convivono tutti i giorni queste donne, i veleni che fanno ammalare i loro figli. Eppure, nonostante l’ansia, il dolore e la rabbia non si arrendono.

Resilienti e caparbie, come appaiono nel potentissimo progetto fotografico di cui sono protagoniste: a loro è dedicata la mostra fotografica di ArtLab Eyland,  organizzata da Phest e dal Comune di Taranto, che fino al 30 giugno, nella parte vecchia della città, racconta la maternità.

Gli scatti sono stati commissionati a Lisa Sorgini, 43 anni, fotografa australiana di padre abruzzese che ha trascorso un mese nella città dei due mari fotografando situazioni che arrivano dritte al cuore. «Tutte le donne che ho incontrato a Tamburi hanno almeno un membro della famiglia morto di cancro», racconta. «Maria ha perso sua sorella un anno fa. Vive in un piccolissimo buco, dorme nello stesso letto con suo figlio e sua madre. Deve chiudere le finestre quando c’è vento per non far entrare in casa aria tossica. Non ha un lavoro perché tutto si ferma, se il vento va nelle direzione delle case, i ritmi sono governati dal lavoro sull’acciaio. Quando le ho chiesto “andresti via di qui?”, mi ha risposto che la sua vita è tutta lì, cosa che mi ha spaccato il cuore». 

Articolo integrale pubblicato su Donna Moderna del 13 Giugno 2024

La fotografia è arrivata nella sua vita quando aveva 20 anni. Dopo aver studiato al liceo lo sviluppo e la camera oscura,  la maggior parte dei segreti del mestiere li ha imparati da autodidatta. Nel 2015 è diventata madre di Ari, il primo dei suoi due figli, e per lei è stato l’inizio di un nuovo modo di essere donna e di lavorare. «Mio figlio è nato poco prima della morte di mia madre, un fatto che ha portato l’esperienza della mia maternità a un altro livello». La sua attenzione si è spostata. «Invece di fotografare quello che credevo gli altri volessero vedere, ho usato la macchina come un modo per processare quello che sentivo, e mi sono orientata sui ritratti».

Lisa ha iniziato a dare una forma artistica allo choc causato dalle trasformazioni psicofisiche che la maternità comporta, inclusa la scoperta delle politiche sull’argomento e del sistema di supporto medico. «Prima di diventare mamma non avevo mai visto la realtà di quella esperienza, la cultura pop non la descrive nel suo quotidiano, non l’ha mai rappresentata in immagini». Così ha iniziato a farlo lei, ritraendo madri in giro per l’Australia in scatti di suprema bellezza.

 La chiamata da Taranto è arrivata quando si trovava in Australia. «Mi hanno coinvolta in un festival a Monopoli, e da lì, grazie al mio progetto sulla maternità, mi hanno chiesto di creare un laboratorio sulle madri di Tamburi».

Quando è arrivata  a Taranto con la sua famiglia ha avuto una reazione di sconforto. «Era tutto troppo duro e non essendo una fotoreporter temevo di non poter fare il lavoro giusto. Non ho voluto mostrare l’acciaieria, non era quello il focus: il mio modo di raccontare queste donne è stato attraverso la maternità e la protezione dei loro figli».

(continua…)

@Riproduzione riservata

Viginie Efira, Le mille sfumature di una donna

06 lunedì Mag 2024

Posted by Cristiana Allievi in arte, Attulità, Cannes, cinema, Cultura

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attualità, cinema frnacese, Cristiana Allievi, figli, Il coraggio di Blanche, interviste illuminanti, madri, mariti, matrimonio, Niente da perdere, Valerie Donzelli, violenza, Virginie Efira

di Cristiana Allievi

«Ogni cosa, se osservata per abbastanza tempo, diventa interessante». La citazione di Gustave Flaubert sembra spiegare alla perfezione le scelte di Virginie Efira, attrice capace di gestire con grazia ruoli trasgressivi come quello di una suora italiana lesbica e ricca di fantasie erotiche, vissuta nel diciassettesimo secolo e poi accusata di blasfemia: la Carlini che ha incarnato in Benedetta. E proprio il regista del film, Paul Verhoeven, è stato colui che anni prima l’aveva trasformata da mattatrice della tv belga in una delle attrici più quotate Oltralpe, grazie a Elle (premio Cesar e miglior film straniero ai Golden Globe) e al ruolo di moglie dell’uomo sessualmente soddisfatto da Isabelle Huppert. Maggio è il mese della consacrazione di Efira grazie a due film in uscita: dal 2 è al cinema con Il coraggio di Blanche (Movies Inspired), film in Concorso a Cannes nel 2023. Tratto dal romanzo di Éric Reinhardt L’amore e le foreste (Salani), il lungometraggio di Valerie Donzelli è una storia di violenza domestica e psicologica, un viaggio nella mente di una donna che pensa di aver trovato l’uomo perfetto (l’ottimo Melvil Poupaud, che vedremo presto nei panni di un candidato alle presidenziali francesi nel film sul libro scritto da un ex primo ministro di Macron). Blanche lascia la sua famiglia e la sorella gemella con il sogno di farsi una nuova vita ma pian piano, e a fatica, realizzerà di avere accanto un uomo pericoloso che sta cercando di chiuderla progressivamente in una prigione. L’interpretazione di Efira è fisica, toccante e magnifica, e rende bene anche i rischi dell’immaginario in questo viaggio che è una specie di contraltare di Inferno di Chabrol, in cui il punto di vista della gelosia era quello maschile.
Dal 16 maggio sarà poi nelle sale anche Niente da perdere (Wanted cinema) un’altra storia di grande impatto emotivo in cui Efira si fa dirigere da una regista al primo lungometraggio, Delphine Deloget, per affrontare il dramma sociale della protezione dei bambini e l’ostilità di un sistema ottuso. Sylvie è una madre single di due figli difficili, una notte mentre è a lavorare e loro sono a casa da soli il piccolo ha un incidente domestico. In seguito a una denuncia, il bambino viene mandato in un istituto. Per Sylvie è l’inizio di un incubo che la rende instabile: combatterà con le forze che ha una lunga e dura battaglia amministrativa e legale per riportare a casa suo figlio e dimostrare la sua capacità di madre al mondo intero.

(continua…)

Intervista per Sette Corriere della Sera

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Maria Sole Tognazzi, «Dieci minuti per cambiare»

31 mercoledì Gen 2024

Posted by Cristiana Allievi in Attulità, cinema, Letteratura

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abbandono, Chiara Gamberale, Dieci minuti, donne, Fotini Peluso, Francesca Archibugi, interviste illuminanti, madri, Margherita Buy, Maria Sole tognazzi, relazioni

E se da domani facessimo una cosa nuova al giorno, anche solo per pochissimo tempo? Parte da qui l’ultimo film della regista, che parla di donne in cammino, pesi di cui alleggerirsi. E (un po’) della sua famiglia

di Cristiana Allievi

Intervista pubblicata su Donna Moderna dell’1 Febbraio

@Riproduzione riservata

Virginie Efira «Elogio della matrigna»

27 martedì Set 2022

Posted by Cristiana Allievi in Attulità, cinema, Mostra d'arte cinematografica di Venezia, Personaggi, Senza categoria

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Benedetta, cinema, Donna Moderna, Elle, figli, I figli degli altri, interviste illuminanti, madri, Paul Verhoeven, Rebecca Zlotowski, Virginie Efira

CRESCERE LA BAMBINA CHE IL TUO COMPAGNO HA AVUTO CON LA EX. LO FA LA PROTAGONISTA DI I FIGLI DEGLI ALTRI, DI REBECCA ZLOTOWSKI. E LO HA FATTO ANCHE L’ATTRICE FRANCESE, «ESISTONO TANTI MODI DI ESSERE MADRE»

dI Cristiana Allievi

L’attrice Virginie Efira, 45 anni, alla Mostra di Venezia con il film I figli degli altri.

Ha un’aria complice, nel suo micro abito in velluto nero dalla scollatura profonda. Quando si siede davanti a me non posso fare a meno di notare gli slip in tinta che sbucano mentre accavalla le gambe. E di ricordare la celebre scena di Sharon Stone in Basic Instinct (in cui, però,  gli slip non li indossava). Con quel film il regista Paul Verhoeven trent’anni rese l’attrice americana un’icona sexy. E siccome il caso non esiste, è stato lo stesso Verhoeven a trasformare Efira da mattatrice della televisione belga in una delle attrici piu’ quotate d’Oltralpe. In Elle era la moglie dell’uomo che veniva sessualmente soddisfatto dalla Huppert (premio Cesar e miglior film straniero ai Golden Globes del 2017). Poi, con Benedetta, nel 2021, ci ha fatto conoscere le fantasie erotiche della Carlini, suora italiana lesbica vissuta nel diciassettesimo secolo e accusata di blasfemia. Ora Virginie Efira cambia completamente registro. In I figli degli altri, di Rebecca Zlotowski, in Concorso all’ultima Mostra di  Venezia, è una quarantenne che suona la chitarra, insegna al liceo, è bella e in ottimi rapporti con il suo ex. Quando pero’ si innamora di Ali (Roschdy Zem), vorrebbe diventare madre e non ci riesce, e si lega visceralmente a Leila, la bambina di 4 anni che lui ha avuto con la ex  (Chiara Mastroianni). 

Come definirebbe la Rachel che interpreta nel film? «È un misto fra me, la regista Rebecca Slotowski e il personaggio della sceneggiatura. Mi fa venire in mente una frase di Flaubert, “ogni cosa, se osservata per abbastanza tempo, diventa interessante”.  Ed è cosi che accade con Rachel,  la amiamo sempre piu’ mentre la vediamo attraverso molti prismi, nonostante sia una donna tutto sommato semplice.

Recitare con una bambina di  quattro anni è difficile? «Ho fatto molti film accanto ai bambini, fino a oggi. Puo’ succedere che siano capaci di memorizzare le frasi e di restituirtele senza problemi, oppure non sanno le battute, e puoi indirizzarli in modo spontaneo nel dialogo. Nel caso della bambina del film io e Rebecca le parlavamo come se fosse una vera attrice. È  speciale, non aveva i genitori alle spalle a spingerla, voleva davvero fare quello che ha fatto».

Quando si separa dal padre di Leila, spiega alla bambina che non farete più le vacanze insieme e non vi vedrete più cosi spesso. Quando finiscono le riprese è facile separarsi da un’attrice bambina?  «Non puoi staccarti troppo brutalmente, come invece puoi permetterti di fare con un adulto. Sul set i piccoli a volte mi chiamano “mamma” e io rispondo “no, non sono tua madre, anche se sono qui con te…”. Pochi giorni fa una piccola mi ha detto “ci vediamo ancora, vero?”, le ho risposto “certo, mandami le tue foto…”. Poi non è che andiamo a prendere il gelato tutti i sabati, lei ha sua madre… Comunque dovrebbe vedere il mio cellulare, e’ pieno di messaggi  di bambini non miei, e non solo di quelli conosciuti sui set».

Mi sta dicendo che e’  stata matrigna anche nella vita vera? «Molte volte. Ho 45 anni, chissà perché a 23 anni mi sono sposata con un uomo che ha tre figli (Patrick Ridremont, ndr). Ricorderò sempre la madre, per lei non è stato facile ma mi ha aiutata ad avere una buona relazione con le sue bambine, che non hanno mai fatto fatica a prendermi per mano, anche davanti a lei. Adesso sono madre, ma prima ho sempre avuto relazioni con uomini che avevano  figli, evidentemente mi piaceva».

Le ex sono mai tornate indietro per riconquistare il compagno, come vediamo nel film? «Beh, conosco anche questa esperienza, con quel senso di sentirsi escluse che ne segue. Ma vede, io so anche quanto sia forte il legame, quanto sia delicata la posizione in cui ti metti scegliendo un uomo che ha gia’ avuto figli con un’altra donna. In qualche modo metti già in conto il fatto che se deludi qualcuno è naturale, perché dietro di te c’è sempre una “grande donna” che ti ha preceduta, e tu non sei la madre dei suoi figli. Questo solletica un certo senso di solitudine, infatti quando ho letto la sceneggiatura sono scoppiata a piangere».

(continua…)

Intervista integrale pubblicata su Donna Moderna del 22 settembre 2022

@Riproduzione riservata

Adele Exarchopoulos, «Sto cercando il mio posto nel mondo».

27 mercoledì Apr 2022

Posted by Cristiana Allievi in arte, Attulità, cinema, Cultura, giornalismo

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Adele Exarchopoulos, cinema red carpret, donne, Generazione Low cost, giovani, interviste illuminanti, lavoro, madri, precariato, Star

Quando La vita di Adele l’ha rivelata al mondo, ADÈLE EXARCHOPOULOS era una ragazzina dal talento istintivo. Oggi, nove anni dopo, è un’attrice consapevole e contesa, una mamma organizzata, un’amica vera. Eppure, le manca ancora qualcosa

di Cristiana Allievi

L’attrice francese Adele Exarchopoulos, 28 anni, diventata una star internazionale con La vita di Adele.

«Sto cercando il mio posto nel mondo». Forse, non ti aspetti queste parole da un’attrice che pare avere le idee chiare da tempo: a 13 anni esordisce al cinema diretta da Jane Birkin, a 20 vince la Palma d’oro come protagonista – insieme a Léa Seydoux – de La vita di Adele di Abdellatif Kechiche e oggi, 28enne, ha una lista di film in uscita degna di una diva navigata. Di sicuro, Adèle Exarchopoulos, grandi occhi neri alla Maria Callas che tradiscono le origini greche da parte del nonno e capelli raccolti in uno chignon alto, è cresciuta in fretta. Come il personaggio che interpreta in Generazione Low Cost di Julie Lecoustre ed Emmanuel Marre. Cassandra è assistente di volo in una compagnia low budget; disperatamente sola, ha una vita sregolata, ama divertirsi e si nasconde dietro il profilo Tinder Carpe Diem; il suo vago sogno è passare a Emirates. Una mattina arriva tardi al la- voro e resta bloccata per la prima volta nella stessa città per qualche giorno, il che la costringe a fare i conti con il vuoto della sua esistenza e un lutto importante.

Che cosa accomuna i ruoli che sceglie?

«Si tratta in genere di donne indipendenti che commettono errori. L’umanità è imperfetta, e io non amo i luoghi comuni».

Lei ha conquistato rapidamente traguardi e premi notevoli. «Continuo a vivere situazioni che nemmeno immaginavo possibili».

Quanto ha dovuto lottare?

«Il lavoro è arrivato all’improvviso e per caso, in un mo- mento in cui avevo paura di lasciare la scuola, che non era esattamente il mio forte. Ho conosciuto la delusione di es- sere rifiutata ai casting e di essere considerata una seconda scelta. Tutti hanno le loro battaglie da combattere, crescere significa scegliere per quali spendere le proprie energie».

Crescere significa anche trovare il proprio posto nel mondo. Diceva che lo sta ancora inseguendo…

«Ho iniziato a recitare molto presto, a 17 anni vivevo già da sola e a 23 ho avuto Ismaël (dal rapper Morgan Frémont, in arte Doums, ndr) mentre gli amici andavano alle feste a ubria- carsi fino all’alba. A prescindere dai traguardi, ho spesso do- vuto cercare il mio spazio e il senso di ciò che facevo, perché non era adeguato né alla mia età né alla mia generazione».

Si è sentita più grande, più adulta?

«Nelle scelte, ma non nella testa, tanto che non ho mai vis- suto un momento in cui le percepissi coerenti all’ambiente in cui stavo».

(continua….)

Intervista pubblicata su Vanity Fair del 13 aprile 2022

© RIPRODUZIONE RISERVATA


Maggie Gyllenhaal, Pianeta Madre

18 venerdì Mar 2022

Posted by Cristiana Allievi in arte, Attulità, Mostra d'arte cinematografica di Venezia, Personaggi

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Bim distribuzone, Cristiana Allievi, Elena FErrante, figli, interviste illuminanti, La figlia oscura, madri, Maggie Gyllenhaal, maternità, Vanity Fair

di Cristiana Allievi

L’attrice e regista Maggie Gyllenhaal su Vanity Fair.

Fa parte di una famiglia reale hollywoodiana, Maggie Gyllenhaal. Un vero e proprio clan di spiriti liberi che ha come capostipiti il padre Stephen, discendente di una famiglia aristocratica svedese, e la madre Naomi Foner, proveniente da una ricca famiglia ebrea newyorkese. Negli anni Settanta si sono trasferiti a Hollywood e sono diventati un riferimento, il pr9mo come come regista la seconda come sceneggiatrice. I loro due gemelli, Jake e Maggie, sono fra i più stimati attori in circolazione. Il marito di Maggie è l’attore statunitense Peter Sarsgaard, ed Emma Thompson e Jamie Lee Curtis sono amiche di famiglia. Rispetto al passato, Maggie è più rilassata davanti a una giornalista. Naviga fra i meandri sottili della psiche con una certa dimestichezza, mentre la conversazione prende una piega non casuale. Mi racconta come i bambini sviluppino una visione ambivalente della propria madre. Da una parte c’è quella buona, che nutre, consola e si prende cura, dall’altra c’è la versione “cattiva”, che non risponde quando la si chiama, è frustrata e vive in un suo mondo. In poche frasi, ecco spiegata l’attrazione per la Leda del suo primo film da regista, La figlia Oscura, adattamento del romanzo di Elena Ferrante al cinema dal 7 aprile. Ha già vinto una sfilza di premi, a partire da quello per la miglior sceneggiatura alla Mostra di Venezia, e con grande probabilità si aggiudicherà l’Oscar per lo stesso motivo. «Leda non è nè una madre mostruosa né una santa, è una figura ambivalente», racconta descrivendo la protagonista, una professoressa di  letteratura italiana a Cambridge che si trova in vacanza in Grecia da sola. Osservando una giovane mamma (Dakota Johnson) con la figlia in spiaggia, inizia il suo viaggio fra i ricordi che la farà confrontare con le angosce e la confusione degli inizi della sua stessa maternità.

Cosa l’ha colpita del libro di Elena Ferrante? «A essere sincera non è stato solo La figlia oscura a colpirmi, ma tutto quello che Ferrante ha scritto. Dalle sue parole emerge un’esperienza, una domanda su cosa significhi essere una donna nel mondo, una madre che è allo stesso tempo un essere sessuale, emotivo e intellettuale. Si esprime con parole senza precedenti, disturbanti e allo stesso tempo confortanti, perché leggendole capisci che qualcun altro ha vissuto l’ansia e il terrore che hai vissuto tu».

In un certo senso, Ferrante ci dice che tutto quello che le donne desiderano a livello sessuale, professionale ed esistenziale è molto più di quanto non sia stato permesso loro anche solo di sperare. «È esattamente quello che penso, e il mio modo di mostrarlo è stato incollare la macchina da presa ai corpi di Olivia Colman e Dakota Johnson».

(continua…)

Intervista integrale pubblicata su Vanity Fair n. 12, 23 marzo 2022

©Riproduzione riservata

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