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~ Interviste illuminanti

Cristiana Allievi

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Louis Garrel «Ho il terrore di annoiare»

18 martedì Ott 2022

Posted by cristianaallievi in arte, Attulità, cinema, Cultura, Miti

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Cannes, Cristiana Allievi, Festa di Roma, festival, interviste illuminanti, L'innocent, L'ombra di Caravaggio, Les Amandiers, Louis Garrel, Patrice Chereau, regista, VAleria Bruni Tedeschi

LA PAURA CHE IN SUA PRESENZA QUALCUNO SBADIGLI LO ACCOMPAGNA FIN DA RAGAZZINO. PER QUESTO FA L’ATTORE E ADESSO PURE IL REGISTA. “MI SONO SEMPRE SENTITO RESPONSABILE DELL’ATMOSFERA”. ANCHE QUELLA DEI SUOI FILM, «CHE DEVONO FARVI VENIRE VOGLIA DI VIVERE”

di Cristiana Allievi

Louis garrel Foto Stock, Louis garrel Immagini | Depositphotos
L’attore e regista francese Louis Garrel, 39 anni (courtesy Depositphotos).

«Da bambino ho incontrato tante persone appena uscite di prigione, e tutti gli intellettuali che frequentavano casa nostra erano interessati alla marginalità. È un mondo che conosco e che ho usato come aneddoto». Mentre mi racconta l’idea da cui è nato il suo quarto film da regista, mi accorgo che Louis Garrel è più tranquillo del solito. A 40 anni ancora non compiuti, sembra diventato grande.  Come il suo film, presentato fuori Concorso all’ultimo Festival di Cannes e proiettato in questi giorni alla Festa di Roma. L’innocent ha come idea di partenza  un aneddoto che riguarda la madre, Brigitte Sy, regista come il padre Philippe. E discendendo da due reali della Nouvelle Vague del cinema, Louis non poteva che diventare famoso con uno dei film più sexy della storia del cinema, quel The Dreamers offertogli dall’amico di famiglia Bernardo Bertolucci. Dai tempi del conturbante e ribelle Theo, 20 anni fa, ha fatto tutto il possibile per meritare il grande vantaggio di famiglia che aveva. Ce l’ha fatta, oggi ha un’identità sua ed è un cineasta di valore. Dal 3 novembre lo vedremo ancora in L’ombra di Caravaggio (passato prima alla Festa di Roma) diretto da Michele Placido, come l’uomo che ha investigato la vita del pittore e ha avuto potere di vita e di morte su di lui. E dopo essere stato Jean-Luc Godard, il simbolo della Nouvelle Vague mancato qualche settimana fa, dall’1 dicembre interpreterà un altro mostro sacro, Patrice Chéreau, direttore artistico della prestigiosa scuola del Theatre des Amandiers di Parigi. A dirigerlo la sua ex Valeria Bruni Tedeschi. Garrel indossa una t-shirt con giacca nera e pantaloni chiari, e ci tiene a parlare con me in italiano.

Come sempre nei suoi film, anche in L’innocent si ritaglia anche un ruolo di attore: Abel, di professione guida in un acquario.  «È un uomo che vive il lutto per la perdita di sua moglie. Un giorno scopre che sua madre (Anouk Grinberg) vuole sposare un uomo che è stato in carcere. Con l’aiuto della migliore amica lo tallonerà da vicino e scoprirà chi è veramente».

Ha dedicato il film a sua madre Brigitte Sy. «Ha lavorato per vent’anni in prigione con il teatro, come animatrice. Il punto di partenza è la sua vera storia, perché dopo che i miei si sono separati si è sposata in prigione con un uomo di nome Michael che mi piaceva molto.  Abbiamo legato, mi ha aperto le porte di un mondo che non conoscevo. Non volendo fare una semplice cronaca monotona, ho giocato con tanti registri, dalla commedia romantica al thriller, che è anche un modo per cambiare ritmo».

Il ritmo è importante per lei? «Molto, perché la mia più grande paura è quella di essere noioso».

Quando è iniziata, questa paura? «Verso i 13  o 14 anni, mi sentivo sempre quello che doveva fare qualcosa per evitare a tutti i momenti noiosi».

È ancora così? «Quando sono in mezzo alle persone mi sento responsabile dell’atmosfera. Se tutti sono annoiati sento il dovere di fare qualcosa per intrattenere».

E ne ha fatto una professione.  «Jean-Paul Carrère (regista e sceneggiatore mancato dieci anni fa), mi ha  insegnato a non essere né monotono né troppo psicologico. “Devi sorprendere” è una lezione che ho imparato da lui, e per farlo uso molto le emozioni».

Le piacciono, le emozioni? «Vado matto per le  affezioni sentimentali fra i personaggi, quelle fra un figlio e un padre adottivo, o fra una madre e sua figlia. Uso tanto questo ingrediente per nascondere altro, come fanno i maghi. A volte mi sento proprio così, un mago, incanto con le romanticherie e poi cambio strada, perché il film dev’essere un gioco».

“È così difficile prendere decisioni…” una frase di Abel che sembra sua. «Lo è, per me è un incubo prendere decisioni! Qualcuno mi ha detto “ogni decisione è una rinuncia”, e mi sembra un fatto pazzesco».

(continua…)

Intervista a Louis Garrel pubblicata su F del 18/10/2022

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Virginie Efira «Elogio della matrigna»

27 martedì Set 2022

Posted by cristianaallievi in Attulità, cinema, Mostra d'arte cinematografica di Venezia, Personaggi, Senza categoria

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Benedetta, cinema, Donna Moderna, Elle, figli, I figli degli altri, interviste illuminanti, madri, Paul Verhoeven, Rebecca Zlotowski, Virginie Efira

CRESCERE LA BAMBINA CHE IL TUO COMPAGNO HA AVUTO CON LA EX. LO FA LA PROTAGONISTA DI I FIGLI DEGLI ALTRI, DI REBECCA ZLOTOWSKI. E LO HA FATTO ANCHE L’ATTRICE FRANCESE, «ESISTONO TANTI MODI DI ESSERE MADRE»

dI Cristiana Allievi

L’attrice Virginie Efira, 45 anni, alla Mostra di Venezia con il film I figli degli altri.

Ha un’aria complice, nel suo micro abito in velluto nero dalla scollatura profonda. Quando si siede davanti a me non posso fare a meno di notare gli slip in tinta che sbucano mentre accavalla le gambe. E di ricordare la celebre scena di Sharon Stone in Basic Instinct (in cui, però,  gli slip non li indossava). Con quel film il regista Paul Verhoeven trent’anni rese l’attrice americana un’icona sexy. E siccome il caso non esiste, è stato lo stesso Verhoeven a trasformare Efira da mattatrice della televisione belga in una delle attrici piu’ quotate d’Oltralpe. In Elle era la moglie dell’uomo che veniva sessualmente soddisfatto dalla Huppert (premio Cesar e miglior film straniero ai Golden Globes del 2017). Poi, con Benedetta, nel 2021, ci ha fatto conoscere le fantasie erotiche della Carlini, suora italiana lesbica vissuta nel diciassettesimo secolo e accusata di blasfemia. Ora Virginie Efira cambia completamente registro. In I figli degli altri, di Rebecca Zlotowski, in Concorso all’ultima Mostra di  Venezia, è una quarantenne che suona la chitarra, insegna al liceo, è bella e in ottimi rapporti con il suo ex. Quando pero’ si innamora di Ali (Roschdy Zem), vorrebbe diventare madre e non ci riesce, e si lega visceralmente a Leila, la bambina di 4 anni che lui ha avuto con la ex  (Chiara Mastroianni). 

Come definirebbe la Rachel che interpreta nel film? «È un misto fra me, la regista Rebecca Slotowski e il personaggio della sceneggiatura. Mi fa venire in mente una frase di Flaubert, “ogni cosa, se osservata per abbastanza tempo, diventa interessante”.  Ed è cosi che accade con Rachel,  la amiamo sempre piu’ mentre la vediamo attraverso molti prismi, nonostante sia una donna tutto sommato semplice.

Recitare con una bambina di  quattro anni è difficile? «Ho fatto molti film accanto ai bambini, fino a oggi. Puo’ succedere che siano capaci di memorizzare le frasi e di restituirtele senza problemi, oppure non sanno le battute, e puoi indirizzarli in modo spontaneo nel dialogo. Nel caso della bambina del film io e Rebecca le parlavamo come se fosse una vera attrice. È  speciale, non aveva i genitori alle spalle a spingerla, voleva davvero fare quello che ha fatto».

Quando si separa dal padre di Leila, spiega alla bambina che non farete più le vacanze insieme e non vi vedrete più cosi spesso. Quando finiscono le riprese è facile separarsi da un’attrice bambina?  «Non puoi staccarti troppo brutalmente, come invece puoi permetterti di fare con un adulto. Sul set i piccoli a volte mi chiamano “mamma” e io rispondo “no, non sono tua madre, anche se sono qui con te…”. Pochi giorni fa una piccola mi ha detto “ci vediamo ancora, vero?”, le ho risposto “certo, mandami le tue foto…”. Poi non è che andiamo a prendere il gelato tutti i sabati, lei ha sua madre… Comunque dovrebbe vedere il mio cellulare, e’ pieno di messaggi  di bambini non miei, e non solo di quelli conosciuti sui set».

Mi sta dicendo che e’  stata matrigna anche nella vita vera? «Molte volte. Ho 45 anni, chissà perché a 23 anni mi sono sposata con un uomo che ha tre figli (Patrick Ridremont, ndr). Ricorderò sempre la madre, per lei non è stato facile ma mi ha aiutata ad avere una buona relazione con le sue bambine, che non hanno mai fatto fatica a prendermi per mano, anche davanti a lei. Adesso sono madre, ma prima ho sempre avuto relazioni con uomini che avevano  figli, evidentemente mi piaceva».

Le ex sono mai tornate indietro per riconquistare il compagno, come vediamo nel film? «Beh, conosco anche questa esperienza, con quel senso di sentirsi escluse che ne segue. Ma vede, io so anche quanto sia forte il legame, quanto sia delicata la posizione in cui ti metti scegliendo un uomo che ha gia’ avuto figli con un’altra donna. In qualche modo metti già in conto il fatto che se deludi qualcuno è naturale, perché dietro di te c’è sempre una “grande donna” che ti ha preceduta, e tu non sei la madre dei suoi figli. Questo solletica un certo senso di solitudine, infatti quando ho letto la sceneggiatura sono scoppiata a piangere».

(continua…)

Intervista integrale pubblicata su Donna Moderna del 22 settembre 2022

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Christoph Waltz, «Ci vuole resistenza»

22 giovedì Set 2022

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Bastardi senza gloria, Christoph Waltz, DEad for a dollar, Django Unchained, Inglorious Basterds, interviste illuminanti, Quentin Tarantino, successo, uomini, Vanity Fair

PER AVERE SUCCESSO LA PASSIONE NON BASTA. LUI LO DIMOSTRA DAI TEMPI IN CUI, CON TARANTINO, HA CONQUISTATO HOLLYWOOD E DUE OSCAR COME ATTORE NON PROTAGONISTA. ORA PERO’ HAIL RUOLO PRINCIPALE NEL NUOVO DEAD FOR A DOLLAR, E CI PARLA DI CONFINI E DELL’IMPORTANZA DI CERTE SINFONIE

L’attore e regista austriaco Christoph Waltz, due volte premio Oscar (courtesy Ausbury Movies)

di Cristiana Allievi

Con Hans Landa, il colonnello delle SS terrificante e colto di Bastardi senza gloria, e con il cacciatore di taglie King Schultz in Django Unchained, è passato quasi all’improvviso dall’oscurità all’eroismo, vincendo due Oscar. «I cattivi mi vengono bene per il mio aspetto e la mia fisionomia, a cui può aggiungere anche l’età e l’aura che emano», dice Christoph Waltz dopo aver chiesto l’autorizzazione a togliersi la giacca per restare in camicia azzurra, più consona al clima della laguna. La figura è sottile, quasi delicata. Tutta la sua forza emerge dagli occhi grigio chiaro, da cui non si sfugge tanto facilmente.

Nato a Vienna 65 anni fa da due scenografi tedeschi, ha avuto come nonno materno il noto psicologo Rudolf von Urban, che sembra avergli lasciato in eredità una visione chiara dell’ego e delle sue dinamiche: in un’epoca che spinge tutti a parlare di sé, lui non lo ha fatto nemmeno ai discorsi di ringraziamento per gli Oscar, preferendo citare solo le persone più importanti a cui deve il successo.

Ora Christoph Waltz ha una sfilza di film in uscita degna di un trentenne all’apice della carriera, e all’ultima Mostra di Venezia, dove l’abbiamo incontrato, è stato il magnifico protagonista di Dead for a Dollar, il nuovo western di Walter Hill prossimamente nelle sale.

È una storia di confini geografici e morali ambientata nel 1897 in cui interpreta Max Borlund, un cacciatore di taglie pagato da un ricco uomo d’affari per ritrovargli la moglie (Rachel Brosnahan), secondo lui rapita e portata in Messico da un disertore (Brandon Scott). Ma le cose non stanno così, e quando Max lo capisce, comincia a seguire la sua etica.

In tutti i film sul vecchio West, quando qualcuno non piace, finisce male, con una pallottola in corpo.
«C’era la legge, ma non veniva seguita in modo diligente perché mancavano le forze dell’ordine. La domanda che mi faccio ogni volta però è un’altra».

Quale?
«Come mai se passi un confine, che è una demarcazione arbitraria, le cose sono così diverse? Prendiamo il caso della sparatoria di massa accaduta lo scorso maggio a Buffalo. Il confine canadese è molto vicino, puoi quasi arrivarci a piedi. Perché, una volta che lo hai attraversato, non hai più questi fenomeni di violenza di massa, problemi con le armi e con il controllo delle armi? Intendo dire, hai solo i problemi normali, perché i pazzi sono ovunque».

Che risposta si è dato?
«Credo che la differenza stia nelle forze dell’ordine. L’America è un interessante fallimento di liberazione, si sono rivoltati contro il re, ma poi in un certo senso non hanno avuto un piano su cosa fare della situazione».

In Canada, in compenso, hanno sempre avuto la regina Elisabetta II, mancata pochi giorni fa.
«C’erano anche le montagne e la “polizia” locale ha anticipato l’espansione verso Ovest, elementi che hanno fatto una grande differenza. Tornando alla domanda, è un mito dei film farci credere che se non ti piaceva qualcuno potevi tranquillamente sparargli. Eri comunque un criminale, un assassino, e se eri fortunato venivi processato, altrimenti ti linciavano».

(continua…)

Intervista integrale pubblicata su Vanity Fair del 28 settembre 2022

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Samantha Morton, «Ho vinto io»

13 martedì Set 2022

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Caterina de Medici, Cristiana Allievi, Harvey Weinstein, interviste illuminanti, Minority Report, samantha Morton, She said, The New York Times, The serpent Queen, The Whale, Vanity Fair

UN’INFANZIA DRAMMATICA DI TRAUMI E ABBANDONO. LA CARRIERA CONQUISTATA LOTTANDO PER OGNI SPAZIO. HOLLYWOOD CHE LA CHIUDEVA FUORI. SAMANTHA MORTON HA LAVORATO DURO, E CE L’HA FATTA. OGGI SI È MESSA NEI PANNI DI UNA REGINA CHE LE SOMIGLIA MOLTO

di Cristiana Allievi

Quanti dolori può contenere una persona dentro di sé? E dove trova la misteriosa forza che la fa continuare a vivere, addirittura a diventare genitore? «Io ho molta fede, e la fede guarisce anche le ferite più profonde». In un rovente pomeriggio di agosto la risposta mi arriva forte e chiara da Samantha Morton,  mentre il giardiniere alle sue spalle inizia a tagliare l’erba. Per un verso una delle attrici e registe più significative del panorama indie contemporaneo, per un altro una sopravvissuta. Il perché è evidente. I suoi genitori si dividono fra abusi d’alcol e violenze varie quando lei ha solo tre anni.  Poco dopo, a causa dell’incuranza di entrambe, inizia il suo peregrinare tra affidi e orfanotrofi. E proprio nelle case in cui avrebbe dovuto trovare protezione, a 13 anni subisce abusi sessuali da parte di due responsabili. La disperazione, però, è una forza potente, e Samantha la usa per passare il test di ammissione alla Central Junior Television Workshop, organizzazione che forma i giovani per entrare nel mondo del teatro, della radio e del cinema.  Da lì cammina tanto da arrivare a lavorare con i migliori registi su piazza, come Steven Spielberg e Jim Sheridan, Woody Allen e David Cronenberg. Madre di tre figli avuti da due compagni diversi, è la donna perfetta per raccontare storie forti, come quelle in cui la vedremo nei prossimi giorni in anteprima mondiale alla Mostra del cinema di Venezia. The whale, il nuovo lavoro di Darren Aronofski, e She Said, di Maria Schrader, in cui veste i panni di Zelda Perkins, l’ex assistente di Harvey Weinstein. Prodotto da Brad Pitt, il film ha lo stesso titolo del libro delle due giornaliste del New York Times che hanno ricostruito e pubblicato la storia degli abusi sessuali del produttore cinematografico. Poi, dall’11 settembre, sarà nientemeno che la regina di Francia Caterina de Medici nella serie drammatica The serpent Queen (su STARZPLAY). «È riuscita ad avere un’enorme influenza politica per ben cinquant’anni», racconta a proposito della consorte di Enrico II, «e stiamo parlando del Seicento, un’epoca in cui le donne venivano bruciate come streghe, quando erano solo delle ostetriche».

Fino all’Ottocento l’italianissima Caterina è stata descritta come fredda, gelosa, vendicativa e avida di potere: lei che idea se n’è fatta? «Per me è una donna spirituale, una salvatrice che previene grandi disastri del tempo. Caterina vedeva molto lontano, è riuscita a quietare i conflitti fra cattolici e protestanti perchè aveva un modernissimo modo di permettere alle persone di seguire la propria fede. Chissà come sarebbe andata la storia se al potere non ci fosse stata lei».

Nella prima stagione scopriamo eventi della giovinezza e il percorso per arrivare a corte, poi cosa vedremo? «Da lì in avanti la storia si muoverà nella sua dimensione machiavellica. Si scoprirà come ha imparato a stare al gioco e a sopravvivere in famiglia, nel convento e infine a corte».

“Sopravvivenza” è una parola che le risuona? «Le racconto una storia. Molti anni fa ho chiesto al mio agente se potevo fare audizioni per i drammi in costume, ricordo che una regista donna in particolare mi rispose “non hai il sangue giusto, non sei l’animale giusto…”. Sono una persona comune,  vengo dalla classe operaria dal nord dell’Inghilterra e non da una buona famiglia».

(continua…)

Intervista integrale pubblicata su Vanity Fair del 14 settembre 2022

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Josh O’Connor: «E adesso mi metto a nudo»

28 giovedì Lug 2022

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Colin Firth, Cristiana Allievi, Donna Moderna, Eva Husson, guerra, interviste illuminanti, Josh O'Connor, Mothering Sunday, nudo, Olivia Colman, Secret Love, The Crown, uomini

Il protagonista di Secret Love colleziona ceramiche, adora il giardinaggio, si spoglia senza problemi. E qui fa un invito a se stesso e agli altri uomini: “Dobbiamo capire perché abbiamo avuto così a lungo tanti privilegi. Ed essere più gentili».

di Cristiana Allievi

L’attore inglese Josh O’Connor, 31 anni (courtesy TMDB)

Fa molto caldo nella stanza in cui ci troviamo. Josh O’Connor indossa una camicia bianca di seta con disegni neri ed è seduto su una poltrona. Con un accento molto british mi racconta la sua visione del maschio contemporaneo, mentre scivola in avanti con le gambe, per poi ritirarsi su. Da giovane voleva fare l’attore, ma pensando di non avere la stoffa si è dato al rugby. Gli torna in mente mentre parliamo di Secret Love di Eva Husson, finalmente al cinema dal 20 luglio. Quella che è forse la sua miglior interpretazione di sempre: ambientata nel 1924,  lo vede nei panni di Paul, il figlio di una famiglia di nobili che porta sulle spalle vari pesi: i fratelli morti in guerra, un matrimonio imminente che non vorrebbe e soprattutto  l’amore segreto per Jane (Odessa Young), domestica dei vicini di casa (Colin Firth e Olivia Colman). Lui è nudo per i tre quarti del film,  in quello che è un incontro sublime fra sesso, cinema e scrittura (la storia è tratta dal romanzo Mothering Sunday di Graham Swift). 31 anni, figlio di un insegnante e di un’ostetrica, come principe Carlo d’Inghilterra in The crown ha vinto Emmy e Golden Globe, e molti altri riconoscimenti sono arrivati per La Terra di Dio. A New York, dove vive, fa teatro e film indipendenti e ha un’altra passione insospettabile a cui dedicarsi.

Vado dritta al punto: prima Carlo d’Inghilterra, ora Paul,  un altro uomo costretto dall’etichetta.  Perché sceglie questi maschi che non conoscono la libertà? «Non è mai stata una decisione cosciente, piuttosto una sorta di gioco. Ho incontrato molti  uomini che si misurano con la loro mascolinità e le lotte di potere che questa comporta. Qualcuno mi ha detto di vedere una connessione  fra il principe Carlo e il Johnny Saxby che ho interpretato in La terra di Dio. La mia prima reazione è stata “stai scherzando?”, ma riflettendoci l’idea è convincente:  il principe Carlo era incapace di esprimere le proprie emozioni a causa del suo status sociale, esattamente come Johnny, che appartiene a una classe sociale molto inferiore. Chi come me viene dalla classe di mezzo, riesce molto bene a parlare di chi sta più in alto e di chi sta più in basso».

Il comune denominatore è l’essere “trattenuti”. «È un aspetto che mi affascina molto, ma mi interessa più quel senso di colpa che ha chi sopravvive. Paul è un uomo che eredita uno status in una certa società, e si deve portare sulle spalle il peso e la pressione dei suoi due fratelli morti in guerra, incluso il matrimonio con una donna che non ama ma che tutti intorno a lui amano, è la ricetta per un disastro perfetto!».

Cos’ha a che fare con lei, questo disastro? «Sto esplorando qualcosa che mi sembra interessante, ma non so perché continui a tornare. Sembra che non le stia rispondendo, la verità è che non conosco la risposta».

Come vede questa fase di confronto fra i sessi? «Credo che non sia un caso se vediamo spesso ruoli come quello che interpreto in Secret love. Gli uomini devono comprendere il loro posto nel mondo, e capire perché hanno avuto così tanti privilegi per così tanto tempo. In altre parole, dobbiamo capire come essere più gentili».

Il fatto che la regista sia una donna è un caso? «Neanche un po’. Finalmente abbiamo registe e sceneggiatrici che scrivono personaggi maschili per un pubblico di uomini e di donne.  Diciamo che stiamo rivalutando le cose, ci stiamo lavorando su».

(continua…)

Intervista integrale pubblicata su Donna Moderna del 21 luglio 2022

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Andie MacDowell, «Grigia e sexy, perché no?»

12 domenica Giu 2022

Posted by cristianaallievi in arte, Attulità, Cannes, cinema, Cultura, Miti, Netflix

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Andie Mac Dowell, Cairo Editore, Cristiana Allievi, donne, F magazine, Hugh Grant, interviste illuminanti, liberazione, Maid, MArgaret Qualley, Netflix, Quattro matrimoni e un funerale, Sesso bugie e videotape

«GLI UOMONI SONO LIBERI DI INVECCHIARE. VOGLIO ANCH’IO IL LORO POTERE, SENTIRMI DESIDERABILE COME LORO, NEL MIO CORO E ALLA MIA ETA’». PER QUESTO L’ICONA ANNI 90 HA DECISO DI NON TINGERSI PIU’. E DI INSEGNARE ALLE FIGLIE, CON L’ESEMPIO, CHE IL GIUDIZIO DEGLI ALTRI NON CONTA

di Cristiana Allievi

L’attrice americana Andie MacDowell, 64 ani. Fra i suoi film più famosi Sesso bugie e videotape e Quattro matrimoni e un funerale. Ha ricevuto 4 candidature ai Golden Globe per la serie tv Maid (Netflix).

Nella sua stanza d’albergo sulla Riviera francese, in tailleur dal taglio maschile color rosa acceso, è semplicemente magnifica. Mi chiede se sono italiana, e capisco che la cosa le fa piacere. Ha un’energia palpabile che non esplode verso l’esterno: è forte e quieta allo stesso tempo.

Musa dalla bellezza eterea che ha ispirato classici degli anni Novanta come Quattro matrimoni e un funerale, con Hugh Grant, e Sesso, bugie e videotape, il film rivoluzionario di Steven Soderberg che vinse la Palma d’oro a Cannes, Andie MacDowell è una ex modella che è sempre stata radicata rispetto al mondo in cui ha vissuto. Quando era ai vertici del successo si è trasferita in Montana a crescere i tre figli avuti con l’ex modello e marito Paul Qualley. Di questi le due femmine, cresciute facendo danza e teatro sin da bambine, hanno seguito le orme della mamma che, dopo il divorzio dal marito, ha sempre cercato di bilanciare le aspirazioni professionali con la vita in famiglia. Ed è stata premiata, perché finalmente le due cose si sono incontrate in Maid, la serie tv Netflix di grande successo ispirata alle memorie di Stephanie Land. Per interpretare Paula (madre di finzione della sua figlia vera, Margaret), una donna bipolare  “non diagnosticata”, si è ispirata alla sua di madre,  mentalmente instabile e malata di alcolismo. E poco prima del debutto della serie ci aveva già stupiti presentandosi a Cannes con quei meravigliosi riccioli grigi naturali che hanno fatto scalpore e la dicono lunga sulla donna che oggi, a 64 anni, è felicemente single a Los Angeles (dopo un secondo breve matrimonio, finito nel 2004), mentre Margaret sta per sposarsi con il produttore musicale  Jack Antonoff un anno dopo il fidanzamento.

Come si fa ad essere testimonial di un brand leader mondiale nel colore per capelli, smettendo di tingersi? «Le donne possono scegliere. Le mie sorelle si tingeranno finché non lasceranno questo pianeta, lo so per certo, e questa è un’opzione. Ma c’è anche quella di cambiare, e molte donne vogliono essere viste come gli uomini, a cui è concesso di invecchiare come sono».

Sta parlando di fare scelte chiare? «Non tingersi è come dichiarare che sì, sono più anziana, e mi va bene così.  Recentemente ho visto la foto di un magnifico attore, non dirò il nome.  È molto bello, accanto  a lui aveva una moglie bellissima, di 21 anni più giovane. Ecco,

voglio sentire lo stesso potere che sente quell’uomo, voglio essere a mio agio come lui, sentirmi sexy come lo è lui, nel mio corpo e alla mia età».

Occorre energia, per questo. «Ne ho tantissima, di solito quando sono pronta per uscire gli uomini sono distrutti sul divano!».  

Come fa? «Dormo molto, per me è importantissimo».

Sua figlia Margaret è un’attrice di grande talento, cosa le ha passato del suo mestiere? «Credo che Margaret sia un individuo, non voglio paragonarla a me. Se c’è qualcosa che ho fatto per lei è stata essere una madre, e questo non ha niente a che fare con la recitazione».

Considera il suo lavoro principale quello di madre, quindi? «Esatto. Le ho insegnato ad amarsi, ad essere libera e a non avere restrizioni. È stata una ballerina e sono stata attenta a che avesse i migliori insegnanti e a circondarla di persone che potessero darle di più di quello che ho avuto io alla sua età».

(continua…)

Intervista esclusiva pubblicata su F del 14 giugno 2022

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Austin Butler, Love me tender

06 lunedì Giu 2022

Posted by cristianaallievi in arte, Attulità, Cannes, cinema, Cultura

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Austin Butler, Baz Luhrmann, Cannes 75, Disney, Elvis, Festival di Cannes, interviste illuminanti, Jim Jarmush, Leggenda del rock, Quentin Tarantino, Vanity Fair, Warner Bros

Interpretando Elvis Presley, AUSTIN BUTLER ha scoperto di avere molto in comune con lui: un dolore importante e l’ansia di piacere che divorava l’icona del rock

Intervista esclusiva di Cristiana Allievi

L’attore americano Austin Butler in una scena del film Elvis di Baz Luhrmann in cui interpreta varie sfaccettature dello showman più famoso del ventesimo secolo:  il ribelle delle origini, l’attore, l’uomo pop e quello family-friendly, fino  alla versione epica  degli anni Settanta (Courtesy © 2021 Warner Bros. Entertainment Inc.)

La voce è profonda e lievemente roca. Potrebbe sedurre, con quella voce,  invece la usa per consegnarmi un’importante chiave di lettura della sua vita. «Anch’io ho perso mia madre quando avevo solo 23 anni», mi racconta, e non a caso. Californiano, classe 1991, magnifici occhi azzurri, Austin Butler il suo viso non si è ancora fissato nella mente di tutti. Però dal 22 giugno in poi sarà impossibile dimenticarsi di lui, perché Baz Luhrmann lo ha scelto per interpretare il più grande showman del ventesimo secolo, Elvis Presley. Un salto vertiginoso per Austin, diventato famoso grazie alla serie tv della Disney Hannah Montana, a cui è seguito l’esordio al cinema con The faithful nei panni di un cane che si trasforma in uomo. Certo, lo hanno già voluto anche Tarantino e Jarmush (in C’era una volta… a Hollywood e I morti non muoiono), ma per ruoli minori. In Elvis, presentato Fuori Concorso alla 75esima edizione del Festival di Cannes,  lo vedremo protagonista assoluto, mentre ancheggia, canta e si dispera per due ore e 39 minuti, ripercorrendo la complicata relazione che il re del rock aveva con il manager, il “Colonello” Tom Parker interpretato da Tom Hanks. Nel biopic si celebra anche l’Italia, visto che nella colonna sonora ci sono anche  i Maneskin con la hit If I Can Dream.

Qual è stata la sua reazione quando le hanno proposto di diventare l’uomo di spettacolo più famoso del ventunesimo secolo? «Per due anni mi sono svegliato alle tre di notte con il cuore che andava a cento all’ora: mi sono chiesto come interpretare questa reazione, finché ho capito che si trattava di terrore puro».

Terrore di cosa? «Di non saper rendere giustizia a Elvis, davanti a tutti quelli che lo amano, partendo dalla  sua famiglia che volevo fosse orgogliosa di lui. Mi è capitato di avere grosse crisi di autostima,  ho dovuto attraversarle e superarle».

Come si supera, il “terrore puro”? «Pensando che se mi hanno dato un lavoro,  dovevo prendermene la responsabilità e confrontarmi con il mio disagio.  Indagando questo terrore ho scoperto che conteneva  anche energia! Così ho  iniziato a lavorare, quando mi svegliavo in piena notte, guardavo video e sentivo che il terrore svaniva. Sono riuscito a indirizzare la mia paura, scoprendo che anche Elvis ne aveva, e molta».

Che paura aveva Elvis?  «Quella di salire sul palco e di non piacere, è diventato chiaro girando la parte del grande Come back special del  1968,  dopo sette anni di assenza dal palco, un momento in cui tutto era un rischio: sapeva di voler dare meglio di sè».

Un po’ come lei in questo momento? «Se fallisci con il primo film da protagonista  è difficile rialzarti. Ho sentito un’enorme pressione, ma dovevo continuamente tornare sulle emozioni di Elvis, capire cosa faceva strillare il suo pubblico, cosa lo faceva impazzire».

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(continua…)

Intervista pubblicata su Vanity Fair dell’8 giugno 2022

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Tom Cruise – L’avventura, le sale e il seguito di Top Gun

19 giovedì Mag 2022

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Cannes 75, Cristiana Allievi, Eyes wide Shut, interviste illuminanti, l'ultimo samurai, Maverick, Tom Cruise, Top Gun, Vanity Fair

«Da bambino ho sempre fatto cose pericolose, scrivevo storie, mi arrampicavo sugli alberi». Incontro con la star al Festival di Cannes, dove ha presentato il sequel del film cult

di CRISTIANA ALLIEVI

19 MAGGIO 2022

(L’attore e produttore statunitense Tom Cruise, courtesy Reuters)

«A quattro anni e mezzo ho preso le lenzuola del mio letto, sono salito in cima al tetto e mi sono buttato usandole come paracadute. Ho preso una botta pazzesca in faccia e le lenzuola erano tutte sporche, immaginarsi la gioia di mia madre, con quattro figli… Ho sempre voluto fare le cose, era impossibile fermarmi». Un destino delineato, quello che emerge dalle parole della più grande star del cinema del mondo: Tom Cruise.

(continua…)

Articolo pubblicato su Vanity Fair Italia

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Adele Exarchopoulos, «Sto cercando il mio posto nel mondo».

27 mercoledì Apr 2022

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Adele Exarchopoulos, cinema red carpret, donne, Generazione Low cost, giovani, interviste illuminanti, lavoro, madri, precariato, Star

Quando La vita di Adele l’ha rivelata al mondo, ADÈLE EXARCHOPOULOS era una ragazzina dal talento istintivo. Oggi, nove anni dopo, è un’attrice consapevole e contesa, una mamma organizzata, un’amica vera. Eppure, le manca ancora qualcosa

di Cristiana Allievi

L’attrice francese Adele Exarchopoulos, 28 anni, diventata una star internazionale con La vita di Adele.

«Sto cercando il mio posto nel mondo». Forse, non ti aspetti queste parole da un’attrice che pare avere le idee chiare da tempo: a 13 anni esordisce al cinema diretta da Jane Birkin, a 20 vince la Palma d’oro come protagonista – insieme a Léa Seydoux – de La vita di Adele di Abdellatif Kechiche e oggi, 28enne, ha una lista di film in uscita degna di una diva navigata. Di sicuro, Adèle Exarchopoulos, grandi occhi neri alla Maria Callas che tradiscono le origini greche da parte del nonno e capelli raccolti in uno chignon alto, è cresciuta in fretta. Come il personaggio che interpreta in Generazione Low Cost di Julie Lecoustre ed Emmanuel Marre. Cassandra è assistente di volo in una compagnia low budget; disperatamente sola, ha una vita sregolata, ama divertirsi e si nasconde dietro il profilo Tinder Carpe Diem; il suo vago sogno è passare a Emirates. Una mattina arriva tardi al la- voro e resta bloccata per la prima volta nella stessa città per qualche giorno, il che la costringe a fare i conti con il vuoto della sua esistenza e un lutto importante.

Che cosa accomuna i ruoli che sceglie?

«Si tratta in genere di donne indipendenti che commettono errori. L’umanità è imperfetta, e io non amo i luoghi comuni».

Lei ha conquistato rapidamente traguardi e premi notevoli. «Continuo a vivere situazioni che nemmeno immaginavo possibili».

Quanto ha dovuto lottare?

«Il lavoro è arrivato all’improvviso e per caso, in un mo- mento in cui avevo paura di lasciare la scuola, che non era esattamente il mio forte. Ho conosciuto la delusione di es- sere rifiutata ai casting e di essere considerata una seconda scelta. Tutti hanno le loro battaglie da combattere, crescere significa scegliere per quali spendere le proprie energie».

Crescere significa anche trovare il proprio posto nel mondo. Diceva che lo sta ancora inseguendo…

«Ho iniziato a recitare molto presto, a 17 anni vivevo già da sola e a 23 ho avuto Ismaël (dal rapper Morgan Frémont, in arte Doums, ndr) mentre gli amici andavano alle feste a ubria- carsi fino all’alba. A prescindere dai traguardi, ho spesso do- vuto cercare il mio spazio e il senso di ciò che facevo, perché non era adeguato né alla mia età né alla mia generazione».

Si è sentita più grande, più adulta?

«Nelle scelte, ma non nella testa, tanto che non ho mai vis- suto un momento in cui le percepissi coerenti all’ambiente in cui stavo».

(continua….)

Intervista pubblicata su Vanity Fair del 13 aprile 2022

© RIPRODUZIONE RISERVATA


Penelope Cruz: «Io, figlia di due madri»

26 martedì Apr 2022

Posted by cristianaallievi in arte, Attulità, cinema, Mostra d'arte cinematografica di Venezia

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Antonio Banderas, artisti, cinema, competizione, ego, Finale a sorpresa, interviste illuminanti, Lucky Red, Official competition, Oscar Martinez, Penelope Cruz, storie

UNA È QUELLA BIOLOGICA: “ERO PICCOLA QUANDO MI HA DETTO “NON MONTARTI LA TESTA”. L’ALTRA È TERESA DI CALCUTTA: «ERO UNA RAGAZZA QUANDO MI HA DETTO “AIUTA SEMPRE”»: E LEI LO FA, PER ESEMPIO, IMPEGNANDOSI PER LA SALVEZZA DEL PIANETA. «AI MIEI BAMBINI INSEGNO A RISPARMIARE ACQUA E A RICICLARE, FACCIO QUELLO CHE POSSO, NEL MIO PICCOLO». È NON SOLO NEL SUO PICCOLO: CHIEDERE A QUEL FEMMINISTA DEL MARITO, JAVIER BARDEM

di Cristiana Allievi

L’attrice, regista e produttrice Penelope Cruz, intervistata per la storia di copertina del settimanale F.

«Madre Teresa mi ha cambiato la vita il giorno in cui ha appoggiato la sua fronte sulla mia e mi ha detto “Aiuta sempre, in ogni momento, con qualsiasi cosa, anche piccola…”». Aveva poco più di 20 anni non era la diva di oggi, era un’attrice di Madrid agli esordi con una manciata di film nel curriculum e un’energia fuori dal comune. Quella stessa energia che l’avrebbe portata a conquistare Hollywood nonostante non parlasse una parola d’inglese, quando è arrivata con la sua valigia a Los Angeles, a metà degli anni Novanta. In India era andata per aiutare la santa di Calcutta a curare i lebbrosi, e forse per curare la propria anima. È tornata con il cuore gonfio d’amore e con la granitica certezza che ogni essere umano ha il potere di migliorare il mondo.

(continua…)

Oltre a due figli – e al destino di essere gli unici attori spagnoli ad aver vinto un Oscar fin qui – con il marito Javier Bardem condivide la stessa onda. Per lasciare ai loro figli un pianeta migliore, lui ha infranto una regola ferrea aprendo un profilo IG solo per sostenere Greenpeace e il progetto di una riserva che protegga le acque dell’Antartico dalla pesca selvaggia.

Ben diversi da loro sono gli attori che Penelope dirige nei panni di regista nel prossimo film, Finale a sorpresa – Official competition. Il film degli argentini Gaston Duprat e Mariano Cohn, nelle sale dal 21 aprile, è stato in Competizione all’ultima Mostra di Venezia e vede la Cruz nel ruolo di Lola Cuevas, un’affermata regista ingaggiata da un milionario megalomane per girare un film che lasci un segno nella storia. Lola sceglie due vere star, l’hollywoodiano sciupafemmine Felix Rivero (Antonio Banderas) e il maestro del cinema e del teatro impegnato Ivan Torres (Oscar Martinez). Figure diametralmente opposte che sottopone a prove che sfidano il loro ego smisurato.

Da cosa ha preso ispirazione per diventare Lola? «Ho fatto un collage di persone diverse, naturalmente non farò i nomi (ride, ndr). Dico solo che oggi un regista non potrebbe comportarsi come si comporta lei, non potrebbe esercitare un simile potere sui suoi attori».

Da artista, come ha imparato a gestire il suo ego? «Ci hanno sempre pensato le conversazioni con mia madre a sistemarlo.  Mio padre non c’è più, ma ho chiari ricordi di quando a un certo punto della mia vita il mio ego è andato fuori controllo, non ero ancora un’attrice. Mia madre mi ha detto parole molto sagge, mi ha sempre tenuta radicata a cose sane e insegnato a dare valore a ciò che ho. Quando mi sveglio, ogni giorno, e mi impegno nel lavoro che amo, non lo do affatto per scontato. Sono grata a mia madre anche per questo».

(continua….)

Intervista pubblicata su F del 26 Aprile 2022

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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