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Valeria Bilello: «Quando la passione ti travolge».

09 mercoledì Giu 2021

Posted by cristianaallievi in arte, cinema, Personaggi, Sky

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Fabrizio Bentivoglio, Forte dei marmi, Giorgio Armani, Grazia, interviste illuminanti, Liam Neeson, Maya Sansa, Peter Chelsom, Security, Silvio Muccino, Valeria Bilello

GLI ESORDI NELLA MODA E GLI ANNI A NEW YORK. MA ANCHE L’INCONTRO CON L’UOMO CHE AMA E PER CUI ORA NON LASCEREBBE PIU’ L’ITALIA. VALERIA BILELLO TORNA SULLO SCHERMO IN UN THRILLER E SPIEGA PERCHE’, SE È A UN BIVIO, PRENDE SEMPRE LA STRADA CHE SEMBRA PIU’ DIFFICILE

di Cristiana Allievi

L’attrice Valeria Bilello, 39 anni, al momento

Che Valeria Bilello avesse la faccia giusta per non fermarsi al cinema italiano, ma puntare a successi internazionali, è stato chiaro a uno stilista. È stato Giorgio Armani ad averla vista  in uno spot e ad aver detto “non la conosco, non sembra nemmeno italiana, voglio incontrarla”. Da qual momento le cose sono cambiate per questa siciliana che ha vissuto l’adolescenza al Nord, si è trasferita a New York per sette anni per poi stabilirsi a Roma. Grazie alle conduzioni di programmi musicali sulle reti musicali Mtv e All Music Valeria Bilello è diventata spigliata. Poi registi importanti come Pupi Avati e Gabriele Salvatores l’hanno voluta al cinema. Ma il salto lo ha fatto come testimonial del profumo Armani. Da lì in avanti ha iniziato a frequentare set americani, come quelli della  serie tv  Sense 8 e di  film come Made in Italy, accanto a Liam Meeson e a suo figlio  Michael (film ancora inedito in Italia).   Fidanzata da quattro anni con il giornalista tv Tommaso Labate, dal 7 giugno la vedremo su Sky Cinema e Now in Security diretta da Peter Chelsom (regista, fra gli altri, di Shall we dance?). Un film corale girato a Forte dei Marmi che racconta una faccia diversa della rinomata località di vacanza estiva. Fuori stagione le giornate sono corte e Marco d’Amore fa il custode di grandi ville disabitate, gestendo sofisticati circuiti di telecamere. Un evento sconvolgerà la sua vita e quella della moglie (Maya Sansa), ambiziosa politica, spingendolo fra le braccia del vecchio amore (la Bilello).

Siamo in Italia, gli attori sono italiani, ma il respiro di Security è molto internazionale. «Peter Chelsom ha bellissimi film all’attivo e con Stephen Amidon, lo scrittore di Il capitale umano, hanno cercato di restituire quell’atmosfera. La storia potrebbe essere ambientata ovunque, parla di una piccola comunità e di come si comporta di fronte al pericolo e ai problemi degli altri».

Anche lei ha un profilo internazionale di tutto rispetto. «È la quarta volta che lavoro con un regista straniero e questo film andrà su Netflix in tutto in mondo, come era già successo con Sense 8 e Made in Italy. Diciamo che accadeva alle grandi attrici del passato, e nel presente ci sta provando una giovanissima come Matilda de Angelis».

Chi è la Elena che interpreta in questa storia a tratti un po’ cupa?  «Una donna incasinata di 40 anni che ha già un figlio grande che va in giro a ubriacarsi. Ha rinunciato a molte cose, come fare la cantante. Lei e Marco d’Amore sono innamorati da molti anni, hanno avuto una storia che ora riemerge».

Il triangolo che finisce a vostro vantaggio. «Perché fra noi c’è una moglie corrotta che cerca di corrompere anche il proprio marito solo per salvare la faccia».

Come ha vissuto il lungo lockdown? «Arrivavo da un anno in cui ho girato cinque film, di cui Security era l’ultimo, avrei voluto fermarmi ma non per restare chiusa in casa. Confesso anche che all’inizio sono stata molto spaventata, non ho voluto nemmeno lavorare. Poi ho preso coraggio e mi sono detta che era il momento di ripartire. Ho girato una commedia romantica con Neri Marcorè nelle Marche che uscirà il prossimo autunno, il titolo provvisorio è Digitare codice segreto. E sto per iniziare le riprese di un altro film, al momento top secret».

Che ricordo ha di re Giorgio? «Penso spesso a lui. Mi ha vista in un cortometraggio girato in Francia per Armani attraverso la rivista francese Purple. Quando lo ha visto ha detto  “ma è italiana? Non la conosco, voglio incontrarla”. Sono tornata a Milano per questo motivo, ed ero terrorizzata. Mi sono sentita molto lusingata quando ha deciso di fare la campagna profumo con me. Mi ha molto stupita, per me le testimonial erano solo donne alte due metri e molto, molto belle».

Il background musicale, un tratto che la distingue da altre colleghe? «Credo molto nelle strade che arrivano al punto prendendo la strada larga. Non credo nelle direttissime, mi incuriosisce chi prima di diventare cineasta ha fatto il cameriere,  arriva a raccontare storie molto importanti».

(…continua…)

Intervista integrale pubblicata su Grazia del 3/6/2021

©Riproduzione riservata

Luca Guadagnino, seduzione e bellezza

03 sabato Mar 2018

Posted by cristianaallievi in cinema, Cultura, Moda & cinema, Oscar 2018

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Call me by your name, Chiamami col tuo nome, cinema, Cristiana Allievi, Giorgio Armani, Icon, interior design, Luca Guadagnino, Suspiria, talenti italiani, talento

FA CINEMA PER SODDISFARE IL SUO ANIMO DA VOYEUR. PERCHE’ OSSERVARE IL MONDO E’ DA SEMPRE LA SUA PASSIONE. CHE SI TRATTI DI SCRUTARE IL SUO PUBBLICO O GLI INVITATI AL SUO DESCO. TRA PIACERE E CRUDELTA’

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Il regista e produttore Luca Guadagnino fotografato da Alessandro Furchino Capria per Icon.

«Ho sempre pensato che se ti organizzi bene fai tutto. In tredici anni Fassbinder ha girato quaranta film e serie tv lunghe anche venti episodi». Siamo seduti sul divano del soggiorno della splendida dimora del diciassettesimo secolo che possiede a Crema, una proprietà che è stata disabitata per quarant’anni prima che lavorasse personalmente alla ristrutturazione durata sei mesi. Di questo luogo ha curato ogni dettaglio, dai tessuti che ricoprono divani e sedie, alle tende, alle tinte delle pareti. Nel soggiorno, a cui si accede attraversando la lunga loggia tutta vetrate con una collezione di piante tropicali, i soffitti sono affrescati, le sedie e i divani di Piero Castellini virano fra il porpora e il ciliegia, mentre le pareti sono pervinca scuro e aiutano i pavimenti di cotto rosso a spiccare. La bellezza è nell’aria, e perdercisi è un rischio reale. Del resto le dimore per Luca Guadagnino sono un tratto distintivo, e nei suoi film hanno la stessa sensualità degli attori. L’ultima è stata la Seicentesca Villa Albergoni che ospita le vicende di Chiamami col tuo nome, e che irretisce lo spettatore tanto quanto i favolosi Armie Hammer e Timothée Chalamet. Tornando a Fassbinder, me lo cita quando gli faccio notare che l’ultimo è stato un anno vissuto davvero pericolosamente. Tra il Sundance, Berlino, Toronto e altri festival nel mondo si è parlato solo del suo film, con lui e il cast sempre presenti. In quegli stessi mesi ha terminato le riprese di Suspiria -attualmente in fase di montaggio- e si prepara a girare il film in costume con Jennifer Lawrence, Burial rites, tratto da una storia vera, e il thriller Rio con Jake Gyllenhaal e Benedict Cumberbatch. Non bastasse, mentre segue i progetti della sua casa di produzione, la Frenesy, ha iniziato una nuova vita professionale. «Ho avuto la brillante idea di aprire uno studio di interior design, ho un team di architetti che lavorano con me e al momento stiamo seguendo un cliente in Italia e uno in Germania. Sto chiedendo parecchio al mio corpo, ma c’è molta adrenalina in circolo che mi permette di farlo».

A guardare quello che ti sta succedendo, e gli attori coinvolti nei prossimi progetti, non c’è da meravigliarsi: è sotto i riflettori come mai prima d’ora. «Ho sempre lavorato con quel tipo di attori, non è cambiato nulla. In A bigger splash c’erano Ralph Fiennes, una delle leggende viventi del cinema anglosassone, Matthias Schoenaerts e Dakota Johnson, una delle giovani più in ascesa a Hollywood. In Suspiria ci sono Chloe Grace Moretz, Mia Goth e ancora Dakota e Tilda. E sono almeno cinque anni che io e Jake Ghyllenhal cerchiamo di fare un film insieme».

Quindi non si sente cambiato, nonostante il suo nome ormai sia noto a tutti? «Arrogarsi il diritto di percepirsi cambiati come persone, in base a fenomeni esteriori, è una totale stupidaggine. Io sono l’amore è stato candidato ai Golden Globes e ai Bafta, e avrei potuto prendere la nomination agli Oscar per il film ma ce l’hanno data per i costumi. Quello che conta, per me, è che ho ricevuto lettere straordinarie da colleghi importanti, ho stretto amicizie con registi straordinari».

Come si sentirebbe con un Oscar in mano? «È una domanda che non posso nemmeno ascoltare. Un premio può far parte della tua storia professionale, quando fai il mio mestiere e partecipi a un processo professionale che hai deciso di affrontare a un certo livello, se hai un gruppo di collaboratori straordinario e la fortuna di scegliere la storia giusta al momento giusto. Un premio va affrontato per quello che è, come un riconoscimento del lavoro di un gruppo di persone ma anche qualcosa di transeunte, il risultato di una casualità e di una costanza».

Insomma, per lei la statuetta non farebbe la differenza? «Assolutamente no, ci sono cineasti immensi che non hanno mai vinto un Oscar e altri di una mediocrità sconfortante che hanno ricevuto parecchi premi. Mi sono laureato in Storia del cinema con il professor Spagnoletti, a Roma, e prima ho insegnato per lui come ricercatore, poi ho fatto il critico per molti anni. Voglio dire che non posso non essere consapevole del fatto che si sta parlando di variabili».

Il momento più doloroso, fino a qui? «Melissa P., un lavoro che non rispecchia la mia visione. Ma ho imparato la lezione, e non posso lamentarmi. Dal 1995, quando ho iniziato a fare il regista in modo professionale, ho sempre fatto quello che ho voluto. In 25 anni incontri, scoperte ed errori fatti mi stanno bene. Dal allora mi muovo a piccoli passi che mi portano dove voglio essere, che non è necessariamente il luogo del successo».

Che luogo è? «È il luogo in cui ho la possibilità di fare ciò in cui credo. Mi piace lavorare con strumenti che mi fanno sentire tranquillo rispetto alla resa di ciò che voglio fare».

Come definisce il successo? «È qualcosa determinato da variabili che non hanno niente a che vedere con la realtà identitaria del soggetto che ne viene coinvolto».

(…continua)

L’intervista integrale è pubblicata su ICON Panorama di Marzo, anno 2018

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

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