Tommaso Ragno, «Sul set ho compreso la fatica di mio padre»
20 venerdì Set 2024
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03 martedì Set 2024
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01 venerdì Mar 2024
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Barcelona, CAlcio, Corriere della Sera, European Awards, interviste illuminanti, LA terra promessa, Mads Mikkelsen, Nikolaj Arcel, Sette, Thomas Vinterberg, Un altro giro
LA STELLA DANESE, UN PASSATO DA BOMBER PROFESSIONISTA, IN UN FILM OTTOCENTESCO: «VANITOSI I RICCHI DI ALLORA, SI, MA PURE OGGI SI CERCA LA FAMA SENZA SAPER FARE NULLA».
di Cristiana Allievi

Osservando una landa di terra desolata, in molti finirebbero per cadere in depressione. Specialmente se il luogo è di quelli in cui si fatica a marcare il confine fra le pietre e le persone. Ma per il soldato che torna dopo venticinque anni da capitano dell’esercito, le cose sono diverse. Su quella terra inospitale e terribile, lui si sdraia e protegge dal gelo un segreto. Qualcosa destinato a diventare il suo tesoro. A raccontare questa storia saranno il corpo e il viso dell’attore danese Mads Mikkelsen, entrato in alcune delle più grandi franchise degli ultimi 50 anni, da James Bond a Star Wars, passando per Harry Potter (in cui ha sostituito Johnny Depp), e questo solo se si pensa a Hollywood. Se ci si sposta a casa sua, in Danimarca, è un orgoglio nazionale, al pari della squadra di calcio.
58 anni, con la moglie Hanne Jacobsen ha avuto un figlio e una figlia. Gemello di Lars (anche lui attore), è cresciuto prima a teatro, poi in tv e infine al cinema. Ex ginnasta convertitosi a danzatore, regala il meglio di sé quando si immerge nelle scene fisiche. Vestito completamente di blu, e in una forma fisica invidiabile, lo incontriamo per farci raccontare quel suo scavare la terra a mani nude che vedremo dal 14 marzo al cinema. La terra promessa, in Concorso all’ultima Mostra di Venezia, lo vede ex capitano caduto in disgrazia, Ludvig Kahlen, che nel 1755 decide di provare a coltivare la brughiera che tutti pensano impossibile da trasformare. Contro di lui c’è il ricco e spietato Frederik de Schinkel, che crede che quella terra gli appartenga, e il conflitto fra loro crescerà sempre più. Nonostante non ci sia stata una nomination all’Oscar per il film (un vero peccato), qualche mese fa Mikkelsen ha vinto per la terza volta il premio al miglior attore europeo dell’anno.
Come si è preparato a diventare Kahlen? È un uomo molto complesso che ha problemi nel relazionarsi con gli altri. La sceneggiatura si basava su un libro pubblicato recentemente su Kahlen, è stata quella la mia fonte di studio. Kahlen sarebbe capace di rovinare il mondo, pur di andare per la sua strada e ottenere ciò che vuole. Diciamo che è un egoista molto focalizzato sui suoi obiettivi».
La cocciutaggine è una caratteristica che le appartiene? «La riconosco, sì. Può essere una qualità come uno svantaggio, lo ammetto».
In che modo l’ha aiutata fino a qui? «Quando penso che ci sia qualcosa di sbagliato non mollo, sono capace ad andare contro tutto».
Il suo personaggio desidera disperatamente un titolo nobiliare, lei ha mai desiderato qualcosa così fortemente? «Ho avuto molte fantasie in mia vita, non le ho mai indagate razionalmente perché perdono di interesse. A parte questo, se oggi mi telefonassero e mi chiedessero se voglio giocare per il Barcellona, non esiterei un istante».
Su Google si trovano ancora foto di lei che corre dietro al pallone in calzoncini bianchi e maglia azzurra. «Il calcio è il mio primo amore, la mia passione di quando ero un bambino. Ho firmato il mio primo contratto a 16 anni, con Aarthus, poi sono diventato un professionista. Ero un attaccante».
Anche in La terra promessa, in un certo senso, è un attaccante. «C’è qualcosa di umanamente riconoscibile, magari di non così estremo, nell’essere attratti da qualcosa che non è facilmente ottenibile. Ti strangoli per raggiungerlo, nonostante non succederà mai…».
Questo uomo, come il re del film, sono spesso ubriachi, un dettaglio che ci dice qualcosa della Danimarca? «I personaggi che vede erano degli dei nel loro mondo, è normale che bevano. È anche vero che fa parte della storia della Scandinavia, siamo noti per vendere il petrolio del mare del Nord a un prezzo ridicolo, i nostri politici non possono che essere ubriachi!».
Aveva già affrontato il tema dell’alcolismo, addirittura in forma di tributo, nel magnifico Un altro giro. «Era anche un avvertimento sulle trappole dell’alcol, però. Devo dire che mi sembra quasi un film italiano, è stata la prima volta che ho rintracciato in Thomas Vintenberg il desiderio di rendere un tributo alla vita».
(continua….)
Intervista integrale pubblicata su Sette Corriere della Sera dell’1/3/2024
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18 sabato Nov 2023
Posted in arte, Fotografia, giornalismo, Miti, Musica, Personaggi
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amore, Beatles, Bruce Springsteem, Corriere della Sera, E Street Band, interviste illuminanti, Lynn Goldsmith, Lynn Goldsmith. Bruce Springsteen & The E Street Band, Musica, rock and roll, Sette, Taschen, Will Powers
L’artista americana conobbe il cantautore nel 1972 e lo aiutò a “costruire” la sua immagine. «Assomigliava a tutti i ragazzi he avevo avuto dal liceo in poi, ma io volevo essere sicura di aumentare i suoi fans, cercavo le donne fra il pubblico e gliele mettevo al fianco».


Il primo scatto è stato ai piedi dei Beatles. Era il 1964, lei aveva solo 16 ani e non glielo hanno mai pagato. «Non mi piacevano, per questo li ho fotografati solo a metà. Allora si doveva scegliere, o eri dalla parte dei Rolling Stone o dei Beatles». All’epoca, però, era inimmaginabile che sarre potuta diventare ciò che è diventata, a fotografa che avrebbe immortalato divinità come Michael Jackson, Madonna, Prince, Sting, i B 52s, Blondie, i Rolling Stones- in pratica tutte le leggende degli ultimi 30 anni. Prima, infatti, era una manager musicale, una regista di corti e documentari e una pubblicitaria. Negli anni Ottanta ha avuto anche successo come cantante, con il nome di Will Powers. «Non sono come Anne Leibovitz, che voleva diventare una fotografa ed è andata a scuola ad imparare», racconta dalla casa di Nashville, suo quartier generale. «Oggi pensano tutti che la mia carriera principale sia quella di fotografa, la verità è che sono una pittrice». Lynn Goldsmith è immersa nella luce e buca lo schermo del computer con i suoi occhi color cristallo e i capelli d’argento. 75 anni, di cui 50 di carriera, ha l’energia di un’adolescente, come si addice a un’icona della fotografia rock’n’roll. Goldsmith ha anche vinto una causa alla Corte suprema degli Stati uniti contro la fondazione Andy Warhol, salvando il futuro del concetto stesso di diritto d’autore. Con quella forza interiore, c’è da scommettere sul fatto che abbia anche avuto un peso determinante nell’azzeccare l’immagine di Bruce Springsteen agli inizi della carriera, quando ne è diventata anche la fidanzata. Ricordi che riemergono guardando gli scatti di Lynn Goldsmith. Bruce Springsteen & The E Street Band, edizione limitata a 1778 copie da lei firmate e numerate, pubblicato da pochi giorni per Taschen (364 pagine, 600 euro, ordinabile nel sito taschen.com). È il 1977, dopo un singolo Springsteen e la E street band entrano in studio per registrare l’album che, con il successivo tour, avrebbe trasformato un “ragazzo del New Jersey” in una leggenda.
La prima volta che ha incontrato Bruce, se la ricorda? «Ne 1972 la rivista Rolling Stone mi aveva incaricata di illustrare un articolo intitolato Iscriviti a un mese geniale. Bruce si esibiva al The Bitter end di New York, un club minuscolo. Io ero sola con un flash di cui non avevo ancora fatto esperienza, mi sentivo nervosa, anche perché chiamavano questo tipo “un genio”».
Insomma, era spaventata. «Mi sono detta “si accorgerà che non so cosa sto facendo…”. Cinque anni dopo mi ha confessato che era nella stessa situazione, perché io ero “una fotografa di Rolling Stone che andava a fotografarlo…”».
C’è un docu, The promise: the Making of Darkness and the Edge of town, che mostra come lavorava Springsteen: registrava molti più brani più di quelli che entravano nel disco, sfiniva i musicisti facendoli lavorare all’infinito. È arrivato addirittura a mettere la batteria in un ascensore, perché suonasse come voleva lui. Era così cocciuto anche con lei? «Direi di sì, i grandi sono così, sentono ciò che vogliono nella loro testa poi cercano un modo per riprodurlo».
Sul set fotografico riusciva a dirigerlo lei? «Sono io quella dietro la macchina fotografica, chi lavora con me mi ha sempre chiamata the boss! Di solito intervengo solo quando qualcosa proprio non funziona, altrimenti se un artista ha una chiara idea visiva di se stesso, come Patti Smith o Frank Zappa, sono più libera».
Il libro mostra foto di Bruce in giacca e foto in canotta, quale delle due anime è prevalente? «Guardavamo tonnellate di foto del Bob Dylan agli inizi, perché negli anni Sessanta era lui il tipo cool. La giacca con il colletto e quella specie di linguetta che Bruce indossava nel primo tour veniva da lì. Ma è italiano, indossava anche le t-shirts, e io volevo essere sicura che il suo pubblico non fosse solo un gruppo di ragazzi: volevo che fosse sexy».
Cosa ha fatto per tirare fuori il lato sexy? «Proprio agli inizi, quando lo seguivano solo ragazzi, cercavo donne fra il pubblico per circondarlo e fargli le foto. Mandavo avanti gli uomini della sicurezza, non ha sapeva che fossi io a fare certe manovre».
Nel libro si menziona un concerto in cui c’erano solo tre persone in sala: quale fu la reazione del Boss? «Non fece una piega, stava costruendo il suo pubblico, aveva bisogno di esibirsi. Era lo stesso con davanti una persona o centomila, all’epoca salire sul palco era una specie di droga, la sua eroina».
Incontrare Springsteen le ha cambiato la vita? «Ho sempre pensato di essere fantastica e che le persone volessero stare con me perché apprezzavano il mio talento. Non mi passava per la testa che tutti, inclusi i manager, erano miei amici solo avvicinare lui. Mi dicevo, “tu sei molto più interessante, ti sei laureata in tre anni con la lode, cos’ha lui più di te”?».
Cosa, visto che era definito un genio? «È un bravo scrittore che prima di incontrarmi non aveva mai letto Franny and Zooey di J. D. Sallinger, o Fiesta di Hemingway, cose impensabili per un americano. Ma era molto esperto di film, le sue canzone erano scritte come sceneggiature.
Tutti volevano essere Bob Dylan, anche Bruce? «Voleva essere anche di più, e mentre Dylan era inaccessibile, lui era “l’uomo di tutti gli uomini”. Era una persona che combatte per essere onesta nel suo lavoro, un uomo in cui molti si riconoscevano».
Si è innamorata di lui? «Senza dubbio, poi c’è da chiedersi cosa significhi, quando si è giovani. Fisicamente assomiglia a tutti i ragazzi che ho avuto dal liceo in avanti, stessa altezza, magro con capelli scuri.
A livello caratteriale? «Ho sempre avuto un’attrazione per le persone che non condividono molto di sè con il resto del mondo, Bruce non capitava a caso».
Un terzo libro su Springsteen si pubblica per soldi? «Nemmeno per sogno, non so nemmeno quanto costa. L’ho voluto perché credo che i fans meritino qualcosa di valore, e l’editore è di altissimo livello. Per i fans i loro idoli sono veri e propri riferimenti, li ho sempre ammirati per questo motivo: assegnano valori eroici a degli esseri umani, e credono davvero di essere elevati da loro».
A lei non è mai successo? «Le uniche persone che mi hanno fatto questo effetto sono Madre Teresa e Gesù Cristo, o guardare le immagini del deserto di Georgia O’Keeffe. Per intenderci, Brad Pitt o Bob Dylan non mi fanno quell’effetto».
Sta dicendo che dopo 50 anni che le immortala non comprende il fenomeno che ruota intorno alle rockstar? «Lo comprendo molto bene, semplicemente non ho mai provato per loro l’amore incondizionato, perché sono completamente certa che sono esseri umani».
La cosa più romantica che ricorda, con il Boss? «Un paio di foto nel bagno della sua casa in cui sono avvolta nel suo abbraccio, mentre faccio la foto».
Ha scelto lei la vostra foto insieme, all’inizio del libro? «Non era prevista. Ho mandato un pdf a Bruce, chiedendogli di segnalarmi qualsiasi cosa non gli piacesse. Gli ho anche chiesto di scrivere qualcosa sui membri della E Street band. Mi ha risposto chiedendomi di spedirgli tutte le foto di noi due…».
Lei? «Non ero d’accordo, ma ha insistito. Ha scelto lui le nostre foto, e mi ha spedito le bellissime parole dell’introduzione».
L’ha resa felice? «Ha aperto la porta perché le persone mi facessero un mucchio di domande a cui non rispondo (ride, ndr)».
Per esempio perché vi siete lasciati? «Per esempio. Una domanda a cui non risponderò, nemmeno questa volta».
Intervista pubblicata su Sette Corriere della Sera del 17.11.2023
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04 giovedì Mag 2023
Posted in Attulità