Viola Davis, «Io presidente Usa? Voglio il bene di tutti»
21 lunedì Apr 2025
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09 lunedì Set 2024
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06 martedì Ago 2024
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7 Corriere della sera, anteprima mondiale, conquista, donne, Horizon, Horizon 2, interviste illuminanti, Kevin Costner, Mostra di Venezia, Usa, west, western
di Cristiana Allievi

L’attore, regista e produttore Kevin Costner sulla copertina di 7 Corriere della Sera del 2 Agosto 2024


Articolo integrale pubblicato su 7 Corriere
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26 venerdì Lug 2024
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20 sabato Apr 2024
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CAttiverie a domicilio, cinema, Jessie Buckley, La favorita, La figlia oscura, La guerra dei Roses, Olivia Colman
di Cristiana Allievi

Riesce a farsi abitare, in simultanea, da due sentimenti opposti come le risate e l’angoscia. È questo il vero super potere di Sarah Caroline Colman, grazie al quale la notizia di questi giorni, in cui con Benedicth Cumberbatch girerà un remake di La guerra dei Roses, ha già suscitato molto interesse. Nata nel Norfolk 50 anni fa, ha studiato a Cambridge per diventare insegnante di scuola elementare. Ma la passione per la recitazione è sempre stata il suo motore, e per mantenersi durante la scuola d’arte ha fatto di tutto, dalla segretaria alla donna delle pulizie, avendo sempre chiaro il suo obiettivo, tanto da arrivare a vincere un Oscar. Punto di svolta sono state le nove stagioni di Peep Show, la sit com che le ha cambiato la vita: da lì in poi l’abbiamo vista in ruoli iconici come quelli della regina Elisabetta (The Crown) e anche dell’immensa regina Anna in cui l’ha trasformata Yogor Lanthimos (La favorita), come in quelli di madre ferita (La figlia Oscura) e di figlia scioccata (The father). Tutte donne, queste, con cui ci ha inchiodati alle sedie senza possibilità di noia, come accade di nuovo in Cattiverie a domicilio (Lucky Red), nuovo film diretto dalla regista inglese Thea Sharrock. È una storia vera quanto assurda accaduta cento anni fa a Littlehampton, cittadina costiera dell’Inghilterra, in cui Colman è Edith Swan, la figlia di un padre autoritario (Timothy Spall) che le imponeun’educazione rigidissima. Come vicina di casa ha Rose (Jessie Buckley, già con lei in La figlia Oscura), giovane immigrata irlandese che sembra rivendicare una libertà sconosciuta agli altri. Quando in paese iniziano ad arrivare lettere scabrose e piene di parole oscene, i sospetti ricadono subito su Rose. Ma una poliziotta che si fa strada a fatica in un mondo maschile (Anjana Vasan) è a capo delle indagini, e con l’aiuto dalle altre donne del paese scoprirà qual è l’incredibile verità.
Cattiverie a domicilio è una commedia irriverente zeppa di parolacce: a lei e alla coprotagonista Jessie Buckley è capitato di pronunciarne alcune sul set che non esistevano all’epoca? «Ci tengo a dire che tutte quelle che diciamo sono vere, come lo sono le lettere. Abbiamo fatto giochi e studiato dizionari di slang urbano, soprattutto quelli per i giovani. Sul set ne avevamo a bizzeffe, di imprecazioni, ma ne ho preparate alcune sconosciute per fare le interviste!».
Ad esempio? «Non mi chieda quali, non si possono mettere nero su bianco su un giornale, mi creda sulla parola. Le dico solo che qualche giorno fa in un’intervista tv ho ripetuto tre volte le parole “burro d’anatra”…».
Il significato? «Deve cercarlo, non le dirò nulla…».
Me ne pentirò, quando lo scoprirò? «Potrebbe, sì, potrebbe… (ride, ndr)».
Prima mi ha detto di cercare “wispernest”… «Quella però non è una parolaccia, è un’espressione più dolce, più intima. Indica l’esperienza di due persone che sono abituate l’una all’altra».
Invece la parolaccia che le capita più spesso di dire?
«”Fica”, la amo, è la mia parolaccia preferita in assoluto. Le donne dovrebbero possedere quel sostantivo, che per me è anche una cartina di tornasole: se lo pronuncio e sento che gli sfinteri delle persone che ho davanti si tendono, so che non andremo d’accordo».
(continua…)
Intervista rilasciata a Sette Corriere della Sera del 19.4.2024
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03 domenica Set 2023
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Bastarden, Bradley Cooper, Comandante, DAvid Fincher, Dogman, donne, Ferrari, interviste illuminanti, Maestro, The Killer, Venezia 80
Superato il giro di boa è il momento di raccontare il meglio visto fino a qui sui film in Concorso, mentre mancano ancora film importanti
di Cristiana Allievi

COMANDANTE di Edoardo De Angelis racconta l’impresa del Comandante della Marina militare Salvatore Todero (Favino), un uomo dall’intelligenza umana, prima ancora che strategica. È un racconto poetico che non rinuncia a intuizioni “zen” e a sottigliezze psicologiche. Nonostante siamo in guerra, nel 1943, e si spari alle persone, queste non smettono mai di essere viste e trattate come tali. Todero ha un modo estremamente creativo di tenere alto l’umore e la fiducia dei suoi soldati, e lo fa con personalissimi stratagemmi come le patatine fritte (con lo strutto) e la recita dei nomi dei piatti di tutta Italia come fossero un mantra, quando il cibo finisce e nelle ciotole della truppa viene versata solo acqua. Raccontare un uomo che ha salvato in modo geniale un intero equipaggio belga mettendo comunque a rischio la propria vita e quella dei suoi uomini porta una gran bella luce sul nostro paese (va anche detto che il comandante, di quello che pensavano i fascisti delle sue decisioni, se ne infischiava). Certo, potevano risparmiarci il mandolino, clichè che molti italiani vorrebbero scrollarsi di dosso quando viaggiano nel mondo, e questa è una scelta di sceneggiatura che resta un mistero. Però come altri film italiani di questa edizione veneziana, Comandante è caratterizzato da uno sforzo produttivo notevole e visibile, per cui si esce dalla sala con la sensazione di aver visto un film più competitivo a livello internazionale (Le Monde gli ha dato tre stelle e mezzo, per dire).

DOGMAN di Luc Besson racconta una storia familiare molto dolorosa con toni a metà tra la favola nera e l’horror. Il film apre con il motto “Ovunque ci sia un infelice, Dio invia un cane”, e qui ce ne sono ben 100, dettaglio da cui si evince che la storia del personaggio principale è piuttosto dolorosa. A interpretarla un Caleb Laundry Jones in stato di grazia, e forse anche di Coppa Volpi. Però per quanto Besson sia chiaramente tornato ad alti livelli e gestisca la regia in modo perfetto, questo film dal cuore tenero a mio parere è carico di un eccesso emotivo dall’effetto boomerang.

FERRARI di Michael Mann è un ritratto senza sconti del commendatore Enzo Ferrari (Adam Driver) e intreccia le vicende personali del manager a quelle delle corse della rossa fiammante. Siamo negli anni Cinquanta, a Modena, e la sceneggiatura si ispira al romanzo Enzo Ferrari: The Man and The Machine di Brock Yates, raccontando un uomo diviso fra la moglie Laura (l’ottima Penelope Cruz) e l’amante Lina Lardi (Shailene Woodley), con cui il commendatore ha un figlio non riconosciuto. Non è sereno nelle scelte aziendali, ma tira comunque dritto per la sua strada, nonostante dentro di lui lavori anche il dolore per il figlio morto, Dino. Riesce ad attirare l’attenzione della Fiat e a far rifluire denaro nelle casse vuote di Maranello, mette in riga i suoi piloti, batte la Maserati ed esce (vivo) dalle accuse per la morte di dodici persone a bordo strada durante la corsa Mille Miglia. Tutto accade nell’estate del 1957, un breve lasso di tempo che basta a farci innamorare dell’Emilia Romagna e dell’Italia intera.

BASTARDEN di Nikolaj Arcel è una storia tratta dal romanzo Kaptajnen og Ann Barbara di Ida Jessen che ruota intorno alla Danimarca e a un cocciuto capitano ostinato a coltivare la terra a patate nonostante il terreno sia sterile e da bonificare e i nobili della zona lo vogliano lontano dalle loro proprietà, o morto, in alternativa. Il re danese Nicola V, ubriaco e distratto, ha lo stesso desiderio spinto dal voler incassare tasse. Il film di Nikolaj Arcel ci trasporta nel Settecento con una fotografia e costumi magnifici. Ottima l’interpretazione di Mads Mikkelsen, ostinato nel voler ottenere anche un titolo nobiliare, idea che sarà messa a dura prova dalla presenza dalla ex cameriera di un perfido proprietario terriero.

MAESTRO di Bradley Cooper è il film che ci racconta il genio di Leonard Bernstein con un taglio molto preciso, ovvero la relazione fra il compositore, musicista e direttore d’orchestra con la moglie Montealegre, interpretata da Carey Mulligan. Uno sforzo immenso, quello di Cooper nel doppio ruolo davanti e dietro la macchina da presa, con tanto di scrittura della sceneggiatura a quattro mani con Josh Singer. Stupenda è la ricostruzione degli ambienti dell’epoca, che contribuisce alla realizzazione dell’intento principale: rendere omaggio al grande cuore di questo artista di origini ebraiche, di cui contattiamo la complessa personalità. Cooper è uno a cui stare attenti perché ama schiacciare il piede sull’acceleratore delle emozioni e lasciare lo spettatore stordito (vedi alla voce A star is born), ma in questo film alza talmente l’asticella da riuscire a portarci con lui nel suo entusiasmo. E si capisce ancora di più questo lavoro mastodontico quando alla fine del film, insieme ai nomi dei produttori Spielberg e Scorsese, scorrono straordinarie immagini di repertorio del vero Bernstein: nel confronto diretto con il suo protagonista in carne ed ossa si comprende ancora di più la bravura dell’attore e regista. Bernstein è presente soprattutto grazie alla sua musica, ma il film vuole raccontarci altro, di lui, e riesce a dilaniare chi lo guarda, così diviso fra i sentimenti per una famiglia con tre figli, da una parte, e gli uomini che ama dall’altra. Cooper e Mulligan ci regalano due interpretazioni febbrili e da applausi, altro che protesi eccessive al naso (di lui).

THE KILLER di David Fincher, segna il grande ritorno di Michael Fassbender in una forma strepitosa. Si vede che ha fatto molto yoga e questo lo aiuta ad essere distaccato e glaciale come il sicario in cui sparisce. Un monologo fuori campo ci spiega tutto su cosa fa un professionista in attesa che arrivi la sua vittima, come tiene la mente allerta, come deve anticipare le mosse e non fidarsi di nessuno, come non debba nè esitare né improvvisare, e soprattutto mai empatizzare con la sua vittima. Ma la prima volta che un incidente lo fa fallire gli costa cara, la fidanzata a Santo Domingo finisce in terapia intensiva e lui inizia un cammino di silenziosa risalita che lo porterà fino al suo collega traditore. Affascinante l’archivio di passaporti imbustati, targhe false impilate, cartelli stradali per inscenare ogni professione che può essere necessaria (anche lo spazzino) per avvicinare la preda: sono tutti arnesi del perfetto killer contemporaneo. Affascinante anche l’occhio vitreo di Michael, che si ispira al fumetto originario. Sembra dare segni di cedimento solo alla fine, davanti a un’indimenticabile scambio con Tilda Swinton. Ma è solo una manovra diversiva.

LA BETE di Bertrand Bonello ci racconta un mondo del futuro dominato dall’Intelligenza Artificiale in cui, se le emozioni non sono in perfetto equilibrio, non è consentito trovare un impiego interessante. C’è una via per liberarsi da questo pericolo emotivo, si chiama purificazione, e consiste nell’indossare una tuta e immergersi in un liquido che ripulisce il dna dai traumi accumulati in diverse vite. Così vediamo una splendida Lea Seydoux attraversate tre epoche, spesso immortalata da primi piani, e mentre cambiano costumi e situazioni accanto a lei resta l’uomo che ama e che rappresenta l’amore, l’altrettanto bravo George MacKay (avrebbe dovuto esserci Gaspard Ulliel al suo posto, morto lo scorso anno).
Un’altra sfaccettatura della ricerca al femminile, così come accade nel film che descrivo sotto.

POVERE CREATURE di Yogor Lanthimos, film candidato alla vittoria del Leone d’Oro, ha una trama tratta dal libro omonimo secondo cui Bella Baxter (Emma Stone) è una donna che vive segregata in casa con un pezzo di corpo che le è stato “installato”. Si scoprirà presto che è il cervello del neonato di cui era incinta quando è morta, e che a trapiantarlo nel suo corpo è stato un dottore che ricorda Frankenstein (Willem Dafoe). Bella scappa di casa, si ribella, scopre il sesso e i suoi piaceri (con Mark Ruffalo), e in questa nuova versione di se stessa rende chi incontra dipendente da lei. Una sofisticata e nuova apertura sul mondo femminile, una sorprendente e accelerata evoluzione di Barbie, per citare il film che ha fatto resuscitare i botteghini di questa strana estate di grandi incassi e clamorose mancanze al Lido, giustificate dallo sciopero a Hollywood.
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04 sabato Feb 2023
Dal Vietnam ad Hollywood, la protagonista di The Whale punta all’Oscar con un film molto drammatico. Poi sarà la volta di Wes Anderson e Ralph Fiennes
di Cristiana Allievi

Ha un volto che resta impresso nella mente. Ma soprattutto, Hong Chau ha una vita degna di un romanzo picaresco. I suoi sono scappati dalla guerra in Vietnam nel 1979, la madre era incinta di lei e il fratello aveva cinque anni. La notte della fuga suo padre è stato ferito e ha sanguinato per tre giorni, non bastasse, durante il viaggio in mare sono stati derubati due volte dai pirati, prima di essere portati in salvo in Tailandia da una barca di pescatori giapponesi. Poco dopo, è nata lei in un campo profughi. Non stupisce che qualsiasi cosa faccia lasci il segno. È successo in Downsizing, Vivere alla grande di Alexander Payne (ma aveva già lavorato con Paul Thomas Anderson in Vizio di forma e nella serie tv Big Little Lies), e si ripeterà dal 23 febbraio con The whale di Darren Aronofski (I Wonder Pictures), con un ruolo per cui è stata nominata ai Bafta. Nella storia tratta dall’opera teatrale di Samuel D. Hunter, è Liz, la storica amica di Charlie, “la balena” a cui si riferisce il titolo. Brendan Fraser interpreta l’uomo in grande sovrappeso, un solitario insegnante di inglese la cui vita è andata completamente fuori rotta. Lo assiste in tutto, incluso il tentativo di riavvicinarsi alla figlia adolescente, diventata quasi un’estranea.
Una manciata di film significativi, ed è già da Aronofsky: ha un segreto? «Il mio agente mi ha detto che era interessato a me per il film. Ho pensato che non ce l’avrei mai fatta, e il personaggio non era nemmeno scritto per un’asiatica».
È scappata? «Avevo partorito da otto settimane e mia figlia non dormiva mai. Ero stanca, ho chiesto il favore di non farmi nemmeno provare (ride, ndr)».
E invece… «“Sei sicura che non te ne pentirai? È Aronofsky” è stata la frase con cui mio marito mi ha spinta a leggere la sceneggiatura. Ho girato alcune scene e le ho spedite a Darren».
(continua…)
Intervista integrale pubblicata su D la Repubblica del 4 Febbraio 2023
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03 venerdì Feb 2023
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actors, attori, Brendan Gleeson, Colin Farrell, F magazine, GLi spiriti dell'Isola, Hollywood, interviste illuminanti, Martin McDonagh, men, red carpets, style, uomini
È A UN PASSO DALLA SUA PRIMA STATUETTA, MA A 46 ANNI INSEGUE ANCORA L’OBIETTIVO PIU’ IMPORTANTE PER LUI: «ESPRIMERE CON ONESTA’ E AMORE I MIEI BISOGNI, NELLE RELAZIONI SENTIMENTALI, CON GLI AMICI, CON I MIEI FIGLI». PER FARE PRATICA INTERPRETA UN EREMITA A CUI È RIMASTO SOLO UN ASINO
di Cristiana Allievi

Da una parte concede pochissime interviste. Lo fa per non rileggere ogni volta un passato che si è impegnato molto a lasciarsi alle spalle. D’altro canto però, l’uomo che ha flirtato per vent’anni con i guai (alcol e droghe, paparazzi e video hard finiti in rete), quando parla è un torrente impetuoso, pieno di mulinelli, gorghi e vortici. Colin Farrell è un uomo ricco di vita e di cose belle da condividere, e il giorno della nostra intervista è vestito con colori chiari, ha i capelli corti ed è di ottimo umore.
L’uomo che è stato così paparazzato da decidere di indossare una maglietta con la scritta “Leave Colin Alone” – un successo tale da diventare una linea di abbigliamento – oggi è arrivato a una verità importante, che lo rende anche più maturo: «la solitudine è sempre più essenziale per me, e l’ho scoperto grazie alla pandemia». Proprio nella solitudine di Inishmore Island, la più grande isola dell’arcipelago irlandese delle Aran, ha girato il film che gli è già valso la Coppa Volpi a Venezia e un Golden Globe, e con molta probabilità a marzo lo porterà a vincere il suo primo Oscar. Gli spiriti dell’Isola racconta la vita in un luogo in cui non c’è molto, a parte tanta erba verdissima, un pub e una comunità chiusa e bigotta. In questo scenario Padraic (Farrell) è un uomo che si prende cura da anni del suo asino, e Colm (Brendan Gleeson) è l’amico di una vita che all’improvviso non vuole più né vederlo né parlare con lui.
«Non ti voglio più bene», «Non sono più tuo amico» sono frasi che feriscono profondamente. Cosa pensa di una comunicazione così diretta?
Credo che le persone usino un linguaggio “brutalmente onesto” per giustificare il loro essere crudeli e meschini. D’altro canto trovo ci sia anche una bassezza nel non comunicare la verità di quello che sentiamo.
In questo cammino verso la comunicazione dei propri sentimenti, lei a che punto è?
Anche se ho 46 anni, sto ancora imparando a esprimere i miei pensieri e i miei bisogni, e vale per le amicizie, le relazioni sentimentali e quelle con i miei due figli. Voglio essere onesto ed esprimermi con amore, ma questo non rende le cose più facili, al contrario.
La cosa più importante che ha capito delle relazioni umane?
Troppo spesso ci dimentichiamo che la responsabilità di un rapporto ricade al 50 per cento su di noi: se manchiamo questo concetto, perdiamo il punto.
Tagliare fuori una persona, o una situazione, o cercare di trasformarla dall’interno: quale via sceglierebbe?
Non sono un grande fan degli opposti, del “giusto” e “sbagliato”. Siamo tutti d’accordo sul fatto che non sia indicato fare coscientemente del male a qualcuno e godere del dolore causato. Ma credo anche che a volte, se faccio davvero la scelta migliore per me non è detto che questa sia in sintonia con quello che le persone della mia vita vorrebbero. ¶
Un equilibrio delicato.
(continua…)
Intervista integrale pubblicata su F Magazine del 7/2/2023
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