Pamela Anderson: «Nella mia pelle»
27 giovedì Mar 2025
Posted in Attulità, cinema, Zurigo Film Festival
27 giovedì Mar 2025
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24 lunedì Feb 2025
Tag
attori, capitalismo, Coulin, Cristiana Allievi, estrema destra, famiglia, Fratelli, genitori, interviste illuminanti, IWonderPictures, nazismo, Noi e loro, red carpet, Titane, Vincent Lindon
L’attore francese, protagonista del film delle sorelle Coulin da giovedì 27 febbraio nei nostri cinema: «La responsabilità in queste situazioni è sempre per metà loro e per metà dei genitori»
di Cristiana Allievi

Noi e loro è ispirato alpluripremiato romanzo Quello che serve di notte di Laurent Petitmangin e vede Lindonaffiancato da due giovani talenti del cinema francese, Benjamin Voisin (Estate ’85, Illusioni Perdute) e Stefan Crepon (Peter von Kant, Lupin). È uno di quei film che sembrano un vestito comodo da indossare per il Vincent di Francia, che ultimamente è stato padre convincente anche in Titane (Palma d’Oro a Cannes). In questo caso, poi, la forza recitativa si alimenta anche di circostanze di attualità. «Nel film sono un uomo vedovo che ha due figli maschi. Uno è molto bravo a scuola, andiamo a Parigi a iscriverlo al Politecnico. L’altro figlio invece se la spassa con un gruppo di uomini di estrema destra. Arriverà a uccidere qualcuno, finirà in carcere e io mi ritroverò a cercare di aiutarlo».
«Con il cinema cerco di risvegliare le coscienze»
Lei è padre di due figli, immagino si interroghi da anni su come non finire in una situazione come quella descritta da Noi e loro.
«Nel film uno dei miei due ragazzi si radicalizza per seguire un percorso di estrema destra con un gruppo, un fatto che oggi vediamo accadere spesso nel mondo. In questo caso parliamo di politica, ma è un fatto che potrebbe succedere con la religione, con una setta, con la dipendenza da droghe o alcol. La domanda è come si arriva a questo punto? Perché io, da genitore, ho il 50 per cento di responsabilità, l’altro 50 è di mio figlio. E qui la storia si allarga».
E include tutta una famiglia.
«Sempre nel film, la madre dei miei figli è morta, e per un figlio rimanere senza madre è la sofferenza più grande al mondo. Ma non è solo la loro madre, è anche mia moglie. Quindi anche io ho perso l’amore, e il mio modo di sopravvivere è stare il più possibile in fabbrica, poi andare a farmi una birra per non tornare a casa e ricordare come era la mia vita prima, con tutta la famiglia. L’altro figlio, invece, reagisce alla perdita della madre studiando e cercando di spostarsi dalla provincia a Parigi, per avere successo. E qui entra nella storia un altro aspetto, il capitalismo».
(continua…)
Intervista integrale su 7 Corriere della Sera
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10 venerdì Mag 2024
Posted in Attulità, Cannes, cinema, Letteratura
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Attrici, Benoit Magimel, cibo, Il gusto delle cose, interviste illuminanti, Juliette Binoche, preghiera, red carpet, tradizione, Tran Anh Hung

di Cristiana Allievi

Si muove agilmente tra i fornelli. Il vapore la affatica, andare in giardino a raccogliere le verdure migliori per il suo pot-au-feu la fa sudare. Ma non perde mai la grazia, e quando si cambia entra in salotto da regina: siede a tavola e si fa servire da un uomo che pende dalle sue labbra, in fatto di osservazioni culinarie e non solo. La Juliette Binoche di Il gusto delle cose è una luminosa e schiva cuoca dell’Ottocento che lavora da vent’anni per il famoso chef Dodin. Insieme i due creano piatti dai sapori sublimi, riuscendo a stupire nobili e altri illustri gourmant. Binoche ha appena compiuto 60 anni, e se si pensa che è stata anche Coco Chanel in una serie tv, possiamo dire che il 2024 abbia trasformato il premio Oscar in un’icona di cibo e moda, i simboli della cultura francese nel mondo. Nel film di Tran Anh Hung, in Concorso all’ultimo Festival di Cannes, recita accanto all’ex Benoit Magimel, padre di sua figlia, fatto che non succedeva da vent’anni. La loro intimità naturale è senza dubbio il cuore della storia che vedremo al cinema dal 9 maggio.
Come descriverebbe il suo personaggio, Eugenie? «È una donna che vive dando tutta se stessa.I suoi genitori sono morti molto giovani, e questa è la parte oscura della sua vita, il motivo per cui si da tanto agli altri. È il suo modo di resistere, di allontanare la tragedia potenziale della morte».
L’idea del film è quella di trasmettere sapori e ricette da una generazione a un’altra: sua madre le ha insegnato a cucinare? «Mi ha dato molte indicazioni. Per esempio quando ero una giovane attrice e vivevo di pasta, ero molto fiera di saper cucinare la besciamella, per me era già alta cucina! In generale mia madre mi ha insegnato la cura per i prodotti, andava a sceglierli già biologici, e parliamo degli anni Settanta».
Cosa le piace cucinare? «Da ragazza preparavo solo dolci, perché mia madre non li cucinava mai. Crescendo mi sono spostata verso il salato, ho rubato ricette anche dalle nonne e dagli amici».
È tornata sul set con il suo ex, Benoit Magimel, dopo vent’anni, com’ è successo? «Ero impegnata con questo film già da un anno e mezzo, ma c’era un altro attore che ha lasciato il film, poi ne è arrivato un altro ancora, era un incubo… Finché Gaumont non ha pensato a Benoit, e lui ha accettato subito».
Come è stata l’esperienza? Sembrate molto affiatati… «All’inizio è stato molto complicato, alle prove mi sono detta “sarà dura…”. All’inizio del film Eugenie è la cuoca, ma Benoit voleva cucinare più di me. Quando ho fatto questa osservazione al regista, l’ha ripetuta a Benoit che si è arrabbiato. Poi ha capito, e le cose sono cambiate».
Come definirebbe questa esperienza con lui? «Liberatoria. Abbiamo avuto modo di stare uno alla presenza dell’altro, di fluire senza i blocchi emotivi di una volta. È stato bellissimo».
(continua…)
Intervista pubblicata su Donna Moderna del 9 maggio
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01 venerdì Apr 2022
Posted in arte, Attulità, cinema, Cultura, Festival di Cannes, Miti, Personaggi
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actors, cinema, DEad man walking, directors, Dylan Penn, festival, figli, Flag Day, genitori, Milk, padri, red carpet, Robin Wright, Sean Penn, Usa
di Cristiana Allievi

ARRIVA NELLE SALE UNA VITA IN FUGA, E RACCONTA LA VITA DEL PIU’ GRANDE FALSARIO DELLA STORIA USA. È IL DEBUTTO DI DYLAN PENN, PRIMOGENITA DI SEAN, CHE PER QUESTA VOLTA LA SEGUE MOLTO DA VICINO.
Ci sono almeno due volti di Sean Penn. Il primo è quello del (due volte) premio Oscar che si presenta all’intervista con le guardie del corpo. E quando entra dalla porta crea un misto di imbarazzo e meraviglia che fermano l’aria. Poi c’è l’altro Penn, quello della foto che ha fatto il giro del mondo nelle ultime settimane: cammina da solo con il suo trolley, sulla strada che dall’Ucraina lo porta in salvo in Polonia. A guidare entrambi i Penn è l’istinto, non fa differenza che si trovi a raccontare l’invasione russa in Ucraina, come sta facendo in questo momento, o i fili emotivi e misteriosi che legano un padre a una figlia, come vedremo nel suo Una vita in fuga (Flag Day) dal 30 marzo, dopo essere stato in Concorso a Cannes. È la storia del più noto falsario conosciuto in Usa, John Vogel, raccontata dalla figlia Jennifer nell’autobiografia Flim-Flam Man. Vogel (Penn) è un padre che insegna a vivere una vita avventurosa a Jennifer, ma man mano che lei cresce, le sue storie si scoprono sempre meno credibili e più dolorose, fino al tragico finale. A interpretare Jennifer è Dylan, la figlia che il divo americano ha avuto con la ex moglie Robin Wright. Quando parla di lei papà Penn si illumina.
Cos’ha di personale la storia di Una vita in fuga? «Ho sempre fallito nel rispondere a questa domanda, me ne sono accorto dopo svariati giorni da sobrio. È come spiegare perché mi piace quella donna, non ci riesco. Ho pensato raccontasse qualcosa che volevo approfondire, e quando mi è venuto in mente il volto di Dylan ho visto una grandiosa storia di verità e inganno, tutti aspetti dello stesso flag day (la festa che celebra la bandiera americana a stelle e strisce adottata il 14 giugno 1777, ndr).
È il primo film in cui recita e dirige insieme, oltre a guidare l’esordio di Dylan. Cercava una nuova sfida per i suoi sessant’anni? «Il multitasking mi ha sempre attratto e messo in ginocchio allo stesso tempo, non dirigermi era stata una specie di scelta religiosa. Sapevo che mi avrebbe fatto impazzire, e infatti è stata la cosa più dura che abbia mai fatto in vita mia».
L’ha anche costretta ad analizzare i suoi fallimenti come padre? «Da genitore devi riesaminare tutti i giorni il rapporto con i tuoi figli, è la cosa più vera che posso dirle. Ma sapevo dal primo giorno di riprese che sarei stato orgoglioso di Dylan, e che non sarebbe stato un fallimento».
Cosa, invece, non sapeva? «Quanto fosse sofisticata, quanta profondità avrebbe portato al racconto».
John Vogel amava molto la figlia, ma non riusciva ad essere sincero con lei… «La parte che ci siamo goduti io e Dylan riguarda certi aspetti della relazione, le cose che da padre vorresti credere che tua figlia conosca di te, e altrettante cose che una figlia vorrebbe che un padre capisse e sapesse di lei, nel bene e nel male».

(…continua)
Intervista pubblicata su Vanity Fair del 6 aprile 2022
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15 lunedì Feb 2021
Posted in Attulità, cinema, giornalismo, Personaggi
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Attrici, Cleopatra, Diana, Fast and Furious, Gal Gadot, Grazia Italia, icona, interviste illuminanti, red carpet, Star, women power, Wonder Woman
di Cristiana Allievi
SI E’ ADDESTRATA NELL’ESERCITO. HA FATTO LA MODELLA. E’ DIVENTATA LA PRIMA SUPEREROINA A SBANCARE IL BOTTEGHINO. ORA GAL GADOT TORNA A INTERPRETARE WONDER WOMAN. «CON IL MIO PERSONAGGIO VOGLIO ISPIRARE LE RAGAZZE A TROVAE LA VERA FORZA», RACCONTA
Quando l’hanno vista al cinema, le donne di tutto il mondo hanno pianto nell’ammirarne le doti. I social sono impazziti e tutti volevano salvare il mondo, come faceva lei. A tre anni di distanza, eccola nel seguito del film che allora aveva sbancato il botteghino incassando 822 milioni di dollari, Wonder Woman 1984. Nel doppio ruolo di attrice e produttrice, cavalca fulmini, indossa ali dorate, insegue il suo sogno e ci restituisce una versione di eroina e donna poco patinata e molto concreta, un po’ come sembra essere lei (il film è disponibile in digitale per l’acquisto e e il noleggio premium su Amazon Prima Apple tv, Sky, Primafila e Infinity). La storia vede l’archeologa eroina Diana Prince alle prese con un uomo d’affari (Pedro Pascal) che acquisisce il potere di dare alla gente tutto ciò che desidera, prendendo in cambio i talenti di ognuno. Se la trama del film non ha convinto del tutto i critici, a Hollywood hanno capito al volo che funziona: presto sarà l’affascinante femme fatale Linnet Ridgeway Doyle di Assassinio sul Nilo, poi Hedy Lamarr, l’attrice hollywoodiana che nella vita ha fatto anche la scienziata con tanto di brevetti. Poi sarà la volta di Cleopatra, la più celebre regina d’Egitto, e a dirigerla sarà la stessa Patty Jenkin che ce l’ha mostrata nelle vesti della prima eroina femminile della DC comics. Le polemiche si sono già rincorse in rete, essendo Cleopatra greca e berbera, mentre Gal è israeliana, di origini europee. Trentacinque anni, ebrea cresciuta in una cittadina nel centro d’Israele simile alla California, con un padre ingegnere e una madre insegnante di educazione fisica, Gal avrebbe voluto frequentare l’Università e diventare avvocato. Un po’ come da ragazza preferì lavorare in un fast food piuttosto che fare la modella, come le era stato chiesto. Ma nel 2004 è diventata Miss Israele, e poco dopo Hollywood l’ha scelta come sensuale esperta di armi in Fast and Furious, così la rotta della sua vita è cambiata. Oggi vive fra Telaviv e Los Angeles con il marito, il businessman Yaron Varsano, e le loro due figlie, Alma e Maya, 8 e 3 anni. Nel nostro collegamento Zoom è di una bellezza che toglie il fiato. «Le riprese di Wonder Woman sono durate otto mesi, è stato così stancante che fare squadra fra di noi sul set ha fatto la differenza. Non sa quante volte qualcuno riusciva a tornare a farmi ridere, dopo che ero scoppiata a piangere».
Cosa rappresenta per lei questa eroina che è nata dalla penna dello psicologo William Moulton Marston, che 75 anni fa ha voluto dare un modello alle donne, fra tanti super eroi maschili? «È una persona ottimista, positiva, coraggiosa, rappresenta il lato migliore di noi stessi. È il perfetto esempio di come dovremo comportarci, ricordandoci che così facendo creiamo un mondo migliore. Non credo esista qualcuno che desideri davvero la guerra o che propri figli si arruolino in un esercito, tutto ciò che gli esseri umani vogliono è vivere bene su questo pianeta. Cerco di potenziare questi messaggi, con il mio lavoro».
Che viaggio compie Diana, da dove l’avevamo lasciata nel primo episodio? «Lì aveva imparato a conoscere i propri poteri e la propria forza, ed era diventata Wonder Woman. Ma lì avevamo visto solo la nascita di un’eroina, mancava la parte che spiegasse chi era. Riflettendo su quello che stava accadendo nel mondo, la regista si è chiesta cosa avrebbe fatto dopo. Quindi adesso la vediamo molto più matura e immersa nella complessità del genere umano. È anche molto sola, ha perso tutti gli elementi del suo team e non vuole farsi nuovi amici perché scoprirebbero che lei non invecchia mai, oltre al fatto che loro morirebbero e lei dovrebbe ogni volta lasciarli andare. Per questo si isola dal mondo e conduce un’esistenza molto solitaria, con l’unico scopo di aiutare il genere umano».
La scena d’apertura del film è grandiosa: una specie di gara fra atlete Amazzoni in cui si capisce chi è la bambina che da grande sarà la guerriera Diana Prince. «Mi ha molto emozionata. Per la prima volta non ho sentito che era Gal l’attrice, quella che stavo guardando sullo schermo: mi sembrava di avere nove anni e di guardare un’altra bambina della mia età. Una reazione che mi ha toccata».
Com’è stato tuffarsi nei scintillanti anni Ottanta? «È stato interessante essere una donna adulta che si confronta con gli eccessi di un mondo maschilista che puntava tutto sul possedere e sul successo. Vediamo un genere umano all’apice del suo successo o, per meglio dire, dei suoi eccessi. Visivamente quel decennio è pieno di stimoli, sia visivi sia musicali».
Come ci si trasforma in una semi dea, che in quanto a poteri non è seconda a nessuno? «Ho dovuto convincere me stessa di avere tutti questi poteri incredibili, ma soprattutto ricordare di avere un cuore e di essere umana. Empatia, compassione e vulnerabilità sono le tre parole che mi hanno davvero aiutata a incarnare una donna accessibile, in cui altre donne possono riconoscersi».
Il messaggio che manda alle giovanissime potente: è come se dicesse “la forza per guidare la propria vita è dentro di voi”. Chi le ha dato questo messaggio, da ragazza? «Non ho avuto la fortuna di vedere tutti questi personaggi femminili forti, al cinema. Ma osservando l’effetto che fanno alle mie figlie, oltre che ai maschi di età diverse, mi sento grata di aver avuto l’opportunità di essere Diana. Credo che quando guardi icone come lei, in un film, credi di poter essere anche tu un po’ così, e questa è un’esperienza che può trasformarti. I film sui supereroi hanno molto potere, in questo senso».
(continua…)
L’intervista integrale è pubblicata su Grazia dell’11/2/2021
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