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Cristiana Allievi

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Cristiana Allievi

Archivi tag: Dolor Y Gloria

Antonio Banderas, «Se solo fossi un poeta»

25 sabato Mag 2019

Posted by cristianaallievi in Cannes, cinema, Festival di Cannes, Miti, Personaggi

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Antonio Banderas, Cannes 2019, CAnnes 72, Dolor Y Gloria, interviste illuminanti

GLI AMORI DEL PASSATO E LA DONNA CON LA QUALE OGGI HA CONQUISTATO LA SERENITA’. L’ESPERIENZA DI INTERPRETARE IL REGISTA PEDRO ALMODOVAR NEL FILM CHE PORTA A CANNES. LA SCELTA DI GUIDARE UN TEATRO NELLA SUA SPAGNA. ANTONIO BANDERAS PARLA CON GRAZIA DELLE SUE EMOZIONI, COSI’ FORTI CHE ANCORA NON TROVA LE PAROLE GIUSTE PER ESPRIMERLE

di Cristiana Allievi

«È andata così, a un certo punto nella mia vita l’amore si è preso tutto lo spazio che prima aveva la carriera». Quando incontriamo Antonio Banderas ha voglia di parlare di setimenti, quelli veri, che prova per sua figlia Stella, avuta con la ex moglie, l’attrice Melanie Griffith. «Quello che vedo riflesso in lei è il tipo di donna che amo, e le confesso che mi rende molto orgoglioso». I conti tornano: Stella oggi ha 22 anni, è nata alla fine degli anni Novanta, l’epoca in cui sbarcato in America, il “latin lover” costruiva la sua carriera di star mondiale con Philadelphia, accanto a Tom Hanks, La maschera di Zorro, con la Zeta Jones, e Intervista col vampiro insieme ad altri sex symbol come Brad Pitt e Tom Cruise. «Sono stati anni bellissimi, e in America mi sono anche innamorato e ho messo su famiglia. Per i successivi 20 anni la mia vita ha conosciuto una fase molto diversa da quella precedente», dice. Poi nel 2015 Banderas ha divorziato dalla Griffith, sua seconda moglie, e oggi è legato a Nicole Kimpel, la consulente finanziaria conosciuta cinque anni fa proprio a Cannes e con cui vive nel Surrey, a sud di Londra. Atteso a Cannes il 17 maggio,  sarà la star più fotografata del Festival di Cannes il giorno in cui verrà proiettato Dolor Y Gloria, lo stesso giorno  in cui uscirà al cinema e in cui interpreta Salvador Mallo, un regista sul viale del tramonto alle prese con ricordi, depressione e potenza dirompente della creazione artistica. In pratica Banderas racconta la vita del regista del film, Pedro Almodovar, l’uomo che 37 anni fa lo volle in Labirinto di passioni, il primo di otto film insieme. La somiglianza fra i due è impressionante. «Mi sono immerso in un contesto in cui tutto era suo, dalla casa ai mobili della cucina al resto dell’arredamento, incluse le scarpe e molti dei vestiti che indosso. Poi ci sono i capelli, mi hanno pettinato proprio come Pedro».

Cosa le ha detto per trasformarla in se stesso? «“Se pensi che in qualche sequenza ti possa aiutare imitarmi, puoi farlo”. Gli ho detto che non era necessario, preferivo che il personaggio emergesse da dentro di me».

Anche la depressione che mostra sembra reale. «Perché la conosco, è vera, l’ho vissuta anch’io. Qualche tempo fa sono finito in ospedale, è bastato non potermi muovere come prima per iniziare a pensare a tutto quello che è accaduto nella mia vita. Ho capito molte cose, sono cresciuto». 

Almodovar l’ha fatta tornare a un personaggio intenso e profondo, come quelli che recitava prima di lasciare l’Europa. Cosa prova oggi quando guarda l’America? «Dipende, gli Usa sono tante cose insieme, anche in Italia non si mangia solo pizza… C’è il lato oscuro, soprattutto in politica, fatto di populismo, nazionalismo, estremismo, ma c’è anche l’innocenza, quel modo adorabile di creare cose dal nulla. In Europa ci portiamo un gran peso sulle spalle, siamo lenti quando ci muoviamo, lì sono pratici e molto più veloci. E Melanie per ha rappresentato qualcosa che mi faceva perdonare i peccati commessi dall’America».

Addirittura? «Certo, infatti l’ho sposata. Ha qualità come bellezza, generosità e allo stesso tempo vulnerabilità, le stesse che ho visto anche negli occhi di Marilyn Monroe e di Ava Gardner. È un femminile molto speciale, che in un certo senso rappresenta una nuova nazione, una nuova speranza, un progetto fatto di molte persone di diverse razze e religioni che convivono insieme. È un esempio di come potrebbe essere il mondo, con tutti i problemi che comporta. C’è qualcosa che ho amato in quegli occhi e che è difficile da spiegare: parlare d’amore e di come ti innamori non è facile, devi essere un poeta».

(continua…)

Intervista integrale pubblicata su Grazia del 16 maggio 2019

© Riproduzione riservata

Antonio Banderas, «Adesso divento Pedro»

16 giovedì Mag 2019

Posted by cristianaallievi in arte, Cannes, Festival di Cannes, Miti, Personaggi

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Antonio Banderas, Cannes 2019, CAnnes 72, Dolor Y Gloria, GQ Italia, interviste illuminanti, Pedro Almodovar

Nella lunga conversazione avuta con Antonio Banderas a Madrid, l’attore e produttore mi ha parlato della sua esperienza con la morte, per prima cosa. Ovvero di quando, due anni e mezzo fa, ha subito tre interventi al cuore e ha toccato la morte da vicino. Fatto, questo, che lo ha riavvicinato alla vita e che ha lasciato tracce visibili in lui. E mentre l’icona latina di Hollywood faceva i conti con quello squarcio apertosi su qualcosa di vertiginoso, sulla scena della sua vita si ripalesava un mentore. Anzi, il mentore, Pedro Almodovar, a sua volta pronto per un film epocale. È così dopo essere stato Dalì, Pancho Villa, Picasso e Mussolini -solo per citare i personaggi realmente esistiti che ha incarnato- Antonio Banderas si è trovato a interpretare l’uomo che 37 anni prima lo aveva notato, fuori da un caffè di Madrid.  Hanno fatto sei film insieme, Banderas è diventato una star europea. Ma lui voleva di più, voleva Hollywood. Così è volato Oltreoceano, costringendo Almodovar a incassare un duro colpo. E dopo anni di successi clamorosi al botteghino, deve aver sentito il richiamo della profondità dei personaggi di Pedro, così i due si sono ritrovati in Dolor Y Gloria, nelle nostre sale dal 17 maggio, in contemporanea con la proiezione al Festival di Cannes, in Concorso. Una prova di recitazione minimalista ma della massima efficacia, la materializzazione di una connessione fra anime per cui Banderas interpreta Pedro stesso. E per cui, ne siamo certi, entrambi avranno riconoscimenti importanti. La nostra conversazione è avvenuta il giorno dopo la visione di Dolore e Gloria a Madrid.

L’intervista è pubblicata sul GQ Italia, numero Maggio/giugno 2019

© Riproduzione riservata

Pedro Almodovar, «A cuore aperto»

08 venerdì Mar 2019

Posted by cristianaallievi in arte, cinema, Cultura, Miti, Moda & cinema

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cinema, Dolor Y Gloria, Dolore e Gloria, GQ Italia, intervista esclusiva, interviste illuminanti, Mina, Pedro Almodovar, stile, uomini

LA FAMIGLIA È AL CENTRO DEL SUO CINEMA. VENT’ANNI FA HA VINTO A CANNES CON TUTTO SU MIA MADRE. ORA PEDRO ALMODÓVAR ESPLORA LA SUA VITA CON DOLORE E GLORIA

Il regista Pedro Almodovar, 70 anni (foto di Nico Bustos per GQ Italia).

Colpo di teatro di Pedro Almodóvar. Che stesse girando il suo ventunesimo film, Dolor y gloria, si sapeva. Un po’ meno invece sulla storia e la data di uscita nelle sale. Ma all’improvviso annuncia che è tutto pron- to, che il 22 marzo gli spagnoli potranno ammirare il suo lavoro, che a maggio sarà in Italia. Storiona di famiglia, molto auto- biografica. Proprio 20 anni dopo (gli stessi che compie quest’anno GQ), quel Tutto su mia madre che gli fece vincere il premio per la miglior regia sulla Croisette.


Perché questo film adesso? In Italia ci fa pensare a 8 1⁄2 di Fellini. Spero che non mi paragoniate a 81⁄2, perché perderei il confronto. Tutti i miei film mi rappresentano, ma di sicuro Dolore e gloria mi rappresenta più profondamente. Non so perché l’ho scelto proprio ora, ho l’impressione di non aver scelto io il tema del film, ma che sia stato il tema del film a scegliere me. Generalmente non sono consapevole del perché giro un certo film o un altro; sono consapevole della necessità di affrontare determinati argomenti in determinati momenti, ma non dei motivi.

Il suo ottavo film con Banderas dà un’immagine diversa di questo attore?

Secondo me sì. Quando ho lavorato con lui negli anni Ottanta, era molto giovane e quel che mi interessava di Antonio Banderas era la sua passionalità, la follia travolgente che dava ai suoi personaggi. Ora Antonio ha sessant’anni, continua a essere un uomo molto affascinante, ma sul suo viso vedo i due o tre interventi al cuore che ha subito negli ultimi anni, la sua esperienza con il dolore. In Dolore e gloria Antonio offre un’interpretazione per me inedita, gesti mi- nimi, emozioni controllate, una solitudine interpretata con grande economia di risorse. Per me è una sorta di nuova nascita per Antonio Banderas, o quanto meno l’inizio di una splendida tappa di maturità.

E Penélope Cruz sarà sua madre?

Penélope Cruz interpreta la madre di Antonio Banderas negli anni Sessanta, quand’è bambino. Penélope fa nuovamente la casalinga di campagna, in un momento in cui la Spagna non è ancora uscita dal dopoguerra. Per questo il suo look e la sua interpretazione sono molto diversi dalla madre che interpretava in Volver – Tornare.

Nel film c’è una canzone di Mina. Perché ha scelto proprio questa?

La scena si svolge all’inizio degli anni Sessanta e Come sinfonia appartiene a quell’epoca ed evoca la luce e la sensualità dell’estate mediterranea. E inoltre Mina è quasi parte della mia famiglia e io volevo che nel film tutto mi risultasse familiare: gli attori, le opere d’arte che si vedono alle pareti, le canzoni e, naturalmente, le emozioni, le emozioni più profonde.

Non ha studiato cinematografia, ma è diventato uno dei registi più famosi del mondo. Come ha fatto emergere il suo stile?

Quando arrivai a Madrid nel 1969, il generale Franco aveva appena chiuso la Scuola di Cinema. Avevo pensato di studiare lì, ma non essendo possibile, acquistai una videocamera Super 8 e nel corso degli anni Settanta girai molti cortometraggi di diverso minutaggio: 5, 10, 30 minuti; e riuscii anche a girare un film. Questa fu la mia unica scuola e si rivelò molto utile. Il Super 8 non è come il video, il Super 8 è cinema, viene girato in negativo. E io presi molto sul serio sia la parte relativa alla scrittura della sceneggiatura, sia la direzione degli attori e quant’altro. Le mie preoccupazioni principali e le tematiche che avrei affrontato anni dopo erano già presenti in questi film. Lo stile, come ogni processo di presa di coscienza, si scopre con il tempo e ci si arriva – almeno nel mio caso – in modo spontaneo, prendendo decisioni di pancia.

Come il regime di Franco influenzò lo stile degli uomini?

Fino al momento in cui il regime non iniziaa indebolirsi, il modo di vestire, i colori, le acconciature dei capelli degli uomini spagnoli dipendevano da convenzioni sociali molto repressive. Chi non si adeguava, rischiava di finire alla polizia solo per il suo aspetto. C’era pochissimo spazio per coltivare personalità e gusti nel vestire. Nonostante sia stato un Paese intrappolato dalla dittatura, la Spagna cominciò a raccogliere influenze dal resto del mondo dopo il 1965, quando ebbe inizio il processo di sviluppo della nazione. Alla fine degli anni Sessanta irruppe lo stile hippy, soprattutto nelle grandi città, con l’influsso di Carnaby Street. Questo cambiò radicalmente il look dei giovani spagnoli, che divenne più colorato e audace. Chi sognava di lavorare in banca indossava un noioso abito con giacca e cravatta (do- minavano i colori grigio, beige e marrone) e coloro che si sentivano liberi dal consumismo e volevano non solo l’amore libero ma il recupero del rapporto con la natura, si vestivano in un modo ritenuto insolito fino ad allora; inoltre arrivano il pop e la psichedelia. La rottura in termini di look maschile è radicale. Tutti i tipi di stampe possibili e accessori per tutto il corpo. Sono stati gli anni del trionfo della bigiotteria e dei colori e dei tessuti sgargianti e luminosi. Negli anni Settanta, delusi dagli hippies, i giovani spagnoli divennero politicizzati, specialmente nelle università.

(…continua)

L’intervista esclusiva per GQ è sul numero di marzo 2019

© Riproduzione riservata

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