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PER LE DONNE IL TEMPO DEGLI SFORZI E DELLE GIUSTIFICAZIONI È FINITO: DEVONI PRENDERSI IL LORO SPAZIO PROPRIO COME FANNO GLI UOMINI, DICE VICKY KRIEPS. LEI LO HA FATTO, E ODPO UN PERIODO DI CRISI TORNA AL CINEMA, PASSANDO DALL?ISOLA DI UN GRANDE MAESTRO SVEDESE
di Crisitiana Allievi

Tiene le braccia incrociate, mani all’insù e gomiti appoggiati sul ventre, per un lungo lasso di tempo. È una presenza calma e rassicurante, apaprentemente in contrasto con quel lato punk che, quando aveva 20 anni, l’ha portata in Africa a fare volontariato per evadere da un puntino sulla carta geografica chiamato Lussemburgo. «È il paese più piccolo che ci si possa immaginare, una specie di fiaba, lì nessuna persona è più importante di un’altra…», dice senza inflessioni nella voce, dando lo stesso peso a ogni parola. Madre tedesca e padre a capo di una casa di distribuzione cinematografica, racconta di essere cresciuta in mezzo ai boschi, parlando con gli alberi. E così ti spieghi perché dopo il clamore suscitato da Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson invece di cedere alle lusinghe hollywoodiane sia ritornata in Europa, rinunciando a offerte di lavoro importanti. Le ci sono voluti due anni a riprendersi da quella che definisce un’esperienza traumatizzante: una costante esposizione allo sguardo pubblico e una campagna mediatica per gli Oscar in cui le veniva ripetuto che con la stampa si lasciava andare a troppe opinioni personali. È fuggita, cercando di ritrovare un po’ di pace. Il 2021 è stato l’anno del grande ritorno, soprattutto per il film della regista francese Mia Hanson-Love, Sull’isola di Bergman, uno dei due titoli che l’hanno vista protagonista all’ultimo Festival di Cannes. Nei cinema italiani dal 7 dicembre, con Tim Roth come altro protagonista, racconta la storia di una coppia di registi che cerca ispirazione fra le pieghe della propria relazione, in un gioco di realtà e finzione, ma anche di creatività e competizione, sull’isola di Faro, nel Baltico, dove il cineasta svedese a cui si riferisce il titolo ha girato alcuni dei suoi capolavori e ha vissuto l’ultima parte della vita. «Sono legata a Mia da un ricordo importante», dice a proposito della regista. L’ho vista da spettatrice, prima che lei vedesse me. Recitava in Fin aout, debut septembre. Ricordo che alla fine della proiezione dissi ai miei amici cinefili “è la prima volta che rintraccio una direzione, che vedo la messinscena dietro il film”. Fu un’esperienza molto forte, ero ancora una ragazzina».
Poi è cresciuta, e le è arrivata la proposta per questo film. «È stata molto dura per me accettare quella proposta. Uscivo da un successo frastornante e da un momento affatto facile da attraversare».
Ci spiega perchè? «Ero diventata un’attrice che alcune persone conoscevano, e prima non era così. Mi sembrava di non poter tornare a casa, da dove venivo, perché qualcosa era cambiato dentro di me. Il punto è che non mi vedevo a fare le valigie e andare a vivere in California. Ero davvero persa. Quando mi ha cercata Mia avevo appena programmato una vacanza con i miei due figli, e mi sono trovata nel conflitto, fra vita privata e lavoro».
Guarda il caso, la regista le offre la storia di una donna che si emancipa e si prende la libertà di trarre ispirazione creativa da ciò che le piace e la circonda. In Sull’isola di Bergman il mondo è ancora dominato dagli uomini, e il femminile cerca uno spazio proprio… «Ci augureremmo di non doverne nemmeno parlare in questi termini, ma non possiamo ignorare il tema a cui allude, perché non è superato. Fino a poco tempo fa non c’erano nemmeno registe donne, e anche se la situazione sta cambiando dobbiamo continuare a ricordarcelo».
(continua…)
Intervista integrale pubblicata su Vanity Fair del 15 dicembre 2021
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