Sawyer Spielberg: «Non mi manda papà»
19 mercoledì Giu 2024
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01 venerdì Apr 2022
Posted in arte, Attulità, cinema, Cultura, Festival di Cannes, Miti, Personaggi
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actors, cinema, DEad man walking, directors, Dylan Penn, festival, figli, Flag Day, genitori, Milk, padri, red carpet, Robin Wright, Sean Penn, Usa
di Cristiana Allievi

ARRIVA NELLE SALE UNA VITA IN FUGA, E RACCONTA LA VITA DEL PIU’ GRANDE FALSARIO DELLA STORIA USA. È IL DEBUTTO DI DYLAN PENN, PRIMOGENITA DI SEAN, CHE PER QUESTA VOLTA LA SEGUE MOLTO DA VICINO.
Ci sono almeno due volti di Sean Penn. Il primo è quello del (due volte) premio Oscar che si presenta all’intervista con le guardie del corpo. E quando entra dalla porta crea un misto di imbarazzo e meraviglia che fermano l’aria. Poi c’è l’altro Penn, quello della foto che ha fatto il giro del mondo nelle ultime settimane: cammina da solo con il suo trolley, sulla strada che dall’Ucraina lo porta in salvo in Polonia. A guidare entrambi i Penn è l’istinto, non fa differenza che si trovi a raccontare l’invasione russa in Ucraina, come sta facendo in questo momento, o i fili emotivi e misteriosi che legano un padre a una figlia, come vedremo nel suo Una vita in fuga (Flag Day) dal 30 marzo, dopo essere stato in Concorso a Cannes. È la storia del più noto falsario conosciuto in Usa, John Vogel, raccontata dalla figlia Jennifer nell’autobiografia Flim-Flam Man. Vogel (Penn) è un padre che insegna a vivere una vita avventurosa a Jennifer, ma man mano che lei cresce, le sue storie si scoprono sempre meno credibili e più dolorose, fino al tragico finale. A interpretare Jennifer è Dylan, la figlia che il divo americano ha avuto con la ex moglie Robin Wright. Quando parla di lei papà Penn si illumina.
Cos’ha di personale la storia di Una vita in fuga? «Ho sempre fallito nel rispondere a questa domanda, me ne sono accorto dopo svariati giorni da sobrio. È come spiegare perché mi piace quella donna, non ci riesco. Ho pensato raccontasse qualcosa che volevo approfondire, e quando mi è venuto in mente il volto di Dylan ho visto una grandiosa storia di verità e inganno, tutti aspetti dello stesso flag day (la festa che celebra la bandiera americana a stelle e strisce adottata il 14 giugno 1777, ndr).
È il primo film in cui recita e dirige insieme, oltre a guidare l’esordio di Dylan. Cercava una nuova sfida per i suoi sessant’anni? «Il multitasking mi ha sempre attratto e messo in ginocchio allo stesso tempo, non dirigermi era stata una specie di scelta religiosa. Sapevo che mi avrebbe fatto impazzire, e infatti è stata la cosa più dura che abbia mai fatto in vita mia».
L’ha anche costretta ad analizzare i suoi fallimenti come padre? «Da genitore devi riesaminare tutti i giorni il rapporto con i tuoi figli, è la cosa più vera che posso dirle. Ma sapevo dal primo giorno di riprese che sarei stato orgoglioso di Dylan, e che non sarebbe stato un fallimento».
Cosa, invece, non sapeva? «Quanto fosse sofisticata, quanta profondità avrebbe portato al racconto».
John Vogel amava molto la figlia, ma non riusciva ad essere sincero con lei… «La parte che ci siamo goduti io e Dylan riguarda certi aspetti della relazione, le cose che da padre vorresti credere che tua figlia conosca di te, e altrettante cose che una figlia vorrebbe che un padre capisse e sapesse di lei, nel bene e nel male».

(…continua)
Intervista pubblicata su Vanity Fair del 6 aprile 2022
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09 venerdì Ott 2020
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bambini, Donna Moderna, famiglia, fantasia, figli, interviste illuminanti, Padrenostro, padri, Pierfrancesco Favino, terrorismo, Vision Distribution
di Cristiana Allievi
Suo papà gli ha insegnato a credere nel lavoro, nell’onestà, nella generosità. E ora l’attore, protagonista dell’emozionante Padrenostro che gli ha regalato la Coppa Volpi a Venezia, cerca di fare lo stesso con le 2 figlie: «Ogni energia è per loro»

L’attore e produttore Pierfrancesco Favino, 51 anni (courtesy The walk of fame).
Un padre negli anni di piombo. Un premio vinto per quel padre all’ultima Mostra del cinema di Venezia. E le parole pronunciate durante la cerimonia. « Un grande maestro diceva che i film sono come le stelle. Io dedico il premio a tutte le stelle che ancora nasceranno, e al brillare degli occhi nel buio». Adesso sono gli occhi di noi spettatori a brillare vedendo Pierfrancesco Favino al cinema in Padrenostro. Però se gli si fa notare che – dopo questa Coppa Volpi che va a sommarsi a tre Nastri d’argento e 4 David di Donatello (solo per citare qualche premio), a 51 anni non è più solo un bravo interprete ma rientra nella categoria degli attori cult, lui sdrammatizza: «Penso che nella vita arrivi un momento in cui quello che si fa è veramente quello che si è». Padrenostro, che lo vede anche nelle vesti di produttore, è ispirata a una vicenda accaduta alla famiglia del regista Claudio Noce. Siamo nel 1976 e Valerio (Mattia Garaci) è un bambino di 10 anni la cui vita viene sconvolta da un attentato terroristico ai danni del padre (Favino). Da lì in avanti la paura domina la sua vita, rafforzando la sua già sviluppata immaginazione. Finché non arriva Christian (Francesco Gheghi), poco più grande di lui, a fargli compagnia.
Cosa significa questo film per te? «Riguarda la mia infanzia, qualcosa che non solo mi ricordavo ma che mi coinvolgeva in prima persona. Parla di uomini che conosco. Mio padre e quello del regista appartengono alla stessa generazione, hanno atteggiamenti simili nel modo di essere maschi. A loro era complicato parlare direttamente».
Chi eri tu a 10 anni? «Un bambino che andava a letto dopo il Carosello, e che dal suo lettino sentiva parlare i propri genitori e quelli degli amici, senza che loro lo sapessero. Quel tipo di famiglia, come la mia, decideva che non dovevi avere le preoccupazioni dei grandi, ma tu sentivi che quella preoccupazione era presente. E provavi una sottile angoscia».
(continua…)
Intervista pubblicata su Donna Moderna dell’8 ottobre 2020
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