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Archivi tag: David Cronenberg

Vincent Cassel: «Ma prima vengono le mie figlie»

19 venerdì Gen 2024

Posted by Cristiana Allievi in Attulità, cinema, Cultura, giornalismo, Miti, Personaggi

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Athos, Brasile, David Cronenberg, Deva, Eva Green, interviste illuminanti, Milady, Monica Bellucci, Moschettieri, Narah Baptista, Parigi, Vincent Cassel

Attore, Sex symbol, Vincent Cassel da sempre ha accanto partner bellissime (a cominciare da Monica Bellucci). Al cinema sarà il moschettiere Athos, però il ruolo a cui tiene di più è quello di padre. E qui ci racconta perché

di Cristiana Allievi

Capelli cortissimi, è vestito di nero. Fuma una sigaretta elettronica e risponde in modo calmo.  Nella conversazione c’è una parola che ricorre spesso, è responsabilità. Fino a qualche anno fa il mantra di Vincent Cassel era “libertà”. 57 anni, l’attore e produttore francese è padre di tre figlie, e questo non è un dettaglio. Deva e Léonie, 19 e 13 anni, sono nate dal matrimonio con Monica Bellucci, durato 15 anni. La terza figlia, Amazonie, 4 anni, l’ha avuta con la seconda moglie Tina Kunakey, modella nota in Francia da cui si è separato la scorsa primavera, dopo un’unione consacrata da copertine di giornali e campagne pubblicitarie. Qualche mese dopo, con un post sul profilo Instagram è stata ufficializzata la nuova compagna, la modella Narah Baptista: due i segni distintivi, la spiccata somiglianza con Tina e gli stessi 30 anni di meno rispetto a Vincent. Ma si sbaglia, chi vede Cassel semplicemente come un uomo di mezza età che cede all’amore giovane. L’attore francese è appassionato di sport, è un padre molto presente e un artista con quarant’anni di esperienza ancora molto ricercato.  I suoi hanno divorziato quando aveva 14 anni, la madre è la giornalista Sabine Litique, il padre Jean Pierre, attore, è mancato qualche anno fa. «Oggi mi fa sorridere vedere che gli assomiglio ancora più di anni fa. Se ho temuto il confronto? Sì e no. La famiglia è una cosa complicata, non la scegli tu ed è qualcosa da cui non puoi scappare».

Dal 14 febbraio sarà al cinema con I tre moschettieri – Milady, colossale adattamento cinematografico del classico della letteratura francese di Alexandre Dumas. In questo sequel di Martin Bourboulon i moschettieri sono sfidati dall’amore in modi diversi. Al centro, la figura di Milady  de Winter (Eva Green) e i suoi intrighi di corte. Cassel interpreta Athos, un ex giovane romantico che si è sentito tradito ed è diventato il fantasma di se stesso.

Athos è un personaggio  scuro, cosa ci ha messo di sè? «Qualcosa di me c’è di sicuro, ma a dire  la verità la prima cosa che ho pensato è di essere troppo vecchio per interpretarlo. Invece di cercare di sembrare più giovane, però, ho cavalcato la mia natura. Ho lavorato con l’immagine di un vecchio lupo grigio, sia per i costumi sia per le acconciature».

Cosa intende dire? «Sono l’unico dei tre moschettieri ad avere i capelli lunghi, segno della nobiltà dell’epoca. E invece che metterla sul combattimento fisico, ho prediletto l’uso della strategia, questo ha cambiato anche la dinamica fra me e D’Artagnan, che proteggo come un padre perché in lui vedo l’uomo che sono stato e che non sarò più».

Lei non da l’idea di essere altrettanto tormentato, nella vita. «Lo sono eccome, ma tendo a non indulgere in quella direzione. Sono un tipo più solare, mi piace pensare di essere sempre in grado di tirarmi fuori dalle situazioni difficili, nonostante i limiti da essere umano».

Quando la vita la mette in ginocchio come si rialza? «Mi prendo cura di me, cerco di pensare positivamente. Ho la tendenza a tornare al corpo, con lo yoga, la meditazione e il surf. E poi con la maturità ho imparato un altro trucco».

(continua…)

Intervista di copertina per il settimanale Oggi del 25.1.2024

@Riproduzione riservata

Viggo il Vagabondo

08 sabato Ott 2016

Posted by Cristiana Allievi in cinema, Festival di Cannes

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Ben Cash, Captain Fantastic, cristianaallievi, David Cronenberg, Dlarepubblica, Exena Cervenka, Guns N’ Roses, History of violence, Indian Runner, Jauja, The Road, Viggo Mortensen

NEL SUO ULTIMO FILM NON DEVE NEMMENO RECITARE. GLI BASTA ESSERE SE STESSO. MR. MORTENSEN È PROPRIO COME CAPTAIN FANTASTIC: IDEALISTA, ERRANTE, UN PO’ SELVAGGIO (E, PER LA GIOIA DELLE FANS, STAVOLTA È ANCHE NUDO)

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Viggo Mortensen, 56 anni, in Captain Fantastic, nelle sale dal prossimo dicembre.

Gli hanno affittato una stanza d’albergo, ma lui non ci ha nemmeno messo piede. Sapevano tutti che era nella foresta, da qualche parte. Matt Ross gli aveva mandato una grossa scatola con alcune letture raccomandate, testi del rinomato naturalista Tom Brown e volumi del linguista e filosofo Noam Chomsky. Insieme a questi c’erano anche saggi del Premio Pulitzer Jared Diamond, tutti testi che avrebbe dovuto assorbire, secondo il regista, per diventare Ben. Ma non serviva: li aveva già letti tutti. Nessuno, meglio di Viggo Mortensen, potrebbe incarnare il personaggio che sta al centro di Captain Fantastic, meravigliosa storia molto applaudita all’ultimo festival di Cannes e al cinema dal 15 dicembre (passando a metà ottobre dalla Festa del cinema di Roma in coproduzione con la sezione autonoma e parallela Alice nella città). Il film scritto e diretto da Matt Ross sovrappone due tratti distintivi della personalità dell’attore, poeta, musicista e fotografo nato a Manhattan 58 anni fa: quella di padre e quella di viaggiatore-filosofo. Viggo è Ben Cash, un idealista che vive per dieci anni con i suoi figli in una foresta del Pacifico. Ha tirato su i sei ragazzi con la moglie, in una specie di paradiso fuori dal mondo, facendo da mentore e impartendo rigorosi insegnamenti fisici e intellettuali. Ma una tragedia costringerà il clan a uscire dalla zona di comfort per entrare nel mondo, dove ad attenderli c’è un confronto col prezzo da pagare per vivere una specie di sogno.

Viggo in simbiosi con la foresta, in camicia da boscaiolo e con tanto di nudo integrale frontale -per la gioia delle fans- è una specie di quadratura del cerchio, se si torna al lontano 1991, quando lo aveva scelto Sean Penn per il suo primo lavoro da regista, Lupo solitario, con sigaretta in bocca, petto nudo e aria da Richard Gere prima maniera. La giacca grigia che indossa oggi con camicia bianca non smorza il fascino ruvido dato dall’incrocio tra una madre americana e un padre danese, ma soprattutto da una vita famigliare vagabonda tra l’Argentina, gli Stati Uniti e la Danimarca. «Non ho dovuto fare molte ricerche su come vivere nella foresta ed essere a mio agio nella natura», racconta Montersen. «Ho vissuto nel nord dell’Idaho in un posto che non è molto diverso da dove incontriamo la famiglia Cash. Mio padre è cresciuto in campagna, suo padre gli aveva detto di pescare e di cacciare, cosa che lui ha insegnato a me. Io e i miei due fratelli minori siamo cresciuti come i ragazzi di questo film, ma le somiglianze non finiscono qui. Mio padre e tutta la sua famiglia appartengono al genere “non mollare mai, finchè non hai portato a termine qualcosa…”. Il mio personaggio, Ben, è identico: puoi ferirlo ma lui va avanti, è un guerriero dell’amore. Non è matto, non sempre è corretto, ma ha una devozione assoluta verso il benessere dei suoi figli. E quando dai tutto, come lui, e scopri che forse eri sulla strada sbagliata, è dura». Racconta con molta attenzione, e mentre lo fa ti passano davanti agli occhi le immagni di Indian Runner, The road, History of violence, con tutte le facce che Viggo ha regalato al grande schermo.

È un tipo d’uomo che fa scelte coraggiose, Viggo, come rifiutare  il ruolo propostogli in The Hateful Eight da Tarantino preferendogli un film indipendente come Jauja, dell’amico Lisandro Alonso (ancora inedito in Italia), in cui cammina per giorni e giorni tra le rocce della Patagonia, praticamente da solo con il suono dei suoi stivali. Questo la dice lunga su quanto poco gli interessi alimentare la fama che lo accompagna come un’ombra da Il signore degli anelli in poi. Sembra un maschio d’altri tempi, e se glielo fai notare ti dice che il suo danese assomiglia a quello di suo nonno, un contadino, ed è il motivo per cui sotto sotto lui è un uomo vintage. «Prima di accettare un progetto mi faccio solo una domanda: ho voglia di dedicare tutto me stesso a questo film, di girarlo e di passare l’anno successivo a promuoverlo? Accetto solo se la risposta è sì su tutti i fronti». Ad attrarre Viggo, che da bambino leggeva racconti di Vichinghi ed esploratori e da adulto parla sette lingue, è una certa area dell’animo umano”. «Adoro i film che suscitano domande nello spettatore. Quando pensi di aver sbagliato ti deprimi, arrivi in un punto doloroso e credi che non ci sia più niente da fare. Ma non è mai così, nella vita. A volte si tratta di fare piccoli cambiamenti, di trovare un nuovo equilibrio». Come succede, secondo lui? «Devi mollare un po’ il colpo, essere meno dogmatico, aspettare che le cose si assestino dentro di te. E soprattutto essere generoso, ammettere che è ok se non sai tutto…». Tra un ragionamento acuto e l’altro, quando meno te lo aspetti, l’attore feticcio di Cronenberg ti spiazza con la sua ironia nordica. Come quando mi racconta come ha dovuto parlare con la CocaCola per poter girare, come secondo lui meritava di essere girata, una scena iconica di The road, tratto da La Strada di Cormac McCarthy. «È la fine del mondo, l’uomo trova un distributore automatico, lo prende a pugni finché non scende una lattina di CocaCola, ed esclama, “mio Dio è fantastico!”. Il bambino che viaggia con lui non ha mai visto uan CocaCola, perché è nato dopo la fine del mondo, quello in cui gliela fa assaggiare è un momento molto bello nel libro. Il produttore del film mi ha detto che dovevamo cambiare bibita perchè l’azienda non aveva mai accettato di apparire in una produzione indipendente, io non ho mollato, “dev’essere la CocaCola, fammi parlare con l’azienda”. Ho telefonato lasciando un messaggio sulla segreteria, mi hanno richiamato. “Sono solo un attore, non il produttore del film, lei ha mai letto La strada? E ha dei figli piccoli?”. Dall’altra parte della cornetta arrivano come risposta, in ordine, un no e un sì. “Mi permetta di raccontarle brevemente la trama”, proseguo io, e quando arrivo al punto in questione la persona mi dice: «Wow, ma perché è importante la CocaCola?”. E io “non hanno altro da mangiare o da bere, è come dire che una lattina di Coca Cola può salvarti la vita…” (ride, ndr)». Progetto dopo progetto, l’approccio di Viggo non cambia, anzi. Sul set di Captain Fantastic è arrivato settimane prima delle riprese, ha aiutato a disegnare i giardini e a piantare le piante necessarie. E nelle inquadrature lo spettatore vedrà anche la sua canoa, alcune delle sue biciclette, oggetti che appartengono alla sua cucina così come le camicie a scacchi da boscaiolo. E come in altri precedenti film, anche in questo ha aggiunto la sua musica alla colonna sonora, lui che in passato ha scritto brani sperimentali con Buckethead, ex chitarrista dei Guns N’ Roses. «Ci sono molti modi di vedersi come attore, io mi percepisco come parte di un team che racconta storie. Mi piace ancora recitare, ma a un certo punto mi metterò dietro la macchina da presa. So che è molto impegnativo, specie se vuoi che le cose siano fatte bene. So che per essere un bravo regista a volte devi fare anche lavori noiosissimi, e a un certo punto devi rilassarti e mollare il colpo (ride, ndr). Tutto questo processo mi interessa, sono stato anche produttore, e David Cronenberg sul set mi ha chiesto spesso il mio parere. È un’evoluzione, sento di essere diverso da come ero dieci anni fa, l’uomo che ho interpretato è qualcosa di diverso dai maschi a cui ho dato vita in passato». Suo figlio Henry Blake, 28 anni, nato dalla relazione con la ex moglie, la cantante Exena Cervenka, sta seguendo le sue orme e spesso lo raggiunge sul set. «Henry è la persona che stimo di più al mondo, è venuto a trovarmi quando giravamo in New Mexico. Ha lavorato come assistenza alla regia, ma in questo caso ha preferito stare alla larga e girare un documentario tutto suo. È bene ispirarsi al proprio padre, stando sulle proprie gambe…».

Articolo pubblicato su D La Repubblica dell’8 ottobre 2016

© Riproduzione riservata 

 

 

 

 

 

Sarah Gadon, «Un trono tutto per me»

20 domenica Mar 2016

Posted by Cristiana Allievi in cinema

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22/11/63, Brandon Cronenberg, Cristiana Allievi, D Repubblica, David Cronenberg, Elisabetta II, Erdem, Fox, Indignation, Isabel Marant, James Franco, Sarah Gadon, Sonia Rykiel, Stephen King, Una notte con la regina

«Mi sono sentita molto vicina alla regina Elisabetta. Anche lei è stata una giovane ragazza che cercava se stessa e il suo posto nel mondo». Anche Sarah Gadon ha trovato il suo posto, sul set: la vedremo al cinema nella parte di Elisabetta ancora principessa di York in Una notte con la regina (in sala dal 7 aprile). E poi in tv con James Franco nella mini serie basata sull’omonimo romanzo di Stephen King 22/11/63 (andata in onda su Hulu, debutterà su Fox ad aprile). Infine in Indigantion, dal romanzo di Philip Roth, acclamato al Sundance e appena passato dalla Berlinale. 

Pantaloni a sigaretta e ballerine, pelle di porcellana e capelli biondo miele, l’attrice canadese 28enne non ha problemi ad entrare nel ruolo perché emana una luce quasi regale. Figlia di un’insegnante e di uno psichiatra, a 10 anni era già nella serie tv Nikita. E mentre macinava un bel po’ di serie e film per la tv, si allenava come performer alla National Ballet School of Canada e studiava alla Claude Watson School for Performing Arts. Laureata all’Università di Toronto, non ha abbandonato la sua città nemmeno oggi che è una star di fama internazionale.

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Sarah Gadon, 28 anni, canadese, è stata lanciata da David Cronenberg.

Il salto per lei è arrivato con David Cronenberg, che l’ha voluta nei suoi ultimi tre film: A dangerous method, Cosmopolis e Map to the Stars. Ma è stato suo figlio Brandon, in realtà, a trasformarla nell’idealizzazione della bellezza che il resto della società vorrebbe incarnare, come accade nel suo Antiviral. E adesso con le sue interpretazioni attraverserà tre decadi. Una notte con la regina di Julian Jarrold narra invece un evento poco conosciuto della vita di Elisabetta e ambientato nel 1945:  lei ha 19 anni e non è ancora sul trono (ci sarebbe salita nel ’52), esce per la prima volta da Buckingam Palace con la sorella Margareth, per festeggiare tra la gente comune la fine della guerra, a Trafalgar Square.

È vero che i suoi nonni si sono incontrati nella stessa notte e nello stesso luogo in cui si svolge Una notte con la regina? «La storia di una delle donne più famose del suo tempo ha intimidito molti. Io ho accettato per due motivi: primo perché mi ricorda il film con cui sono cresciuta, Vacanze romane, e secondo perché i miei nonni da parte di padre quella notte erano a Trafalgar Square a celebrare. Mi è parso un tributo alla loro vita. Ho sentito una connessione profonda col film anche per questo motivo».

Che effetto le ha fatto vestire i panni di una futura regina? «Mi sono sentita molto vicina a Elisabetta, sin da bambina ho sempre avuto un forte senso di me stessa, proprio come lei. Merito dei miei genitori, che mi hanno incoraggiata ad avere una certa educazione, a danzare e ad essere immersa nelle arti sia da piccola. Ma mi hanno passato anche l’importanza dell’altra faccia della medaglia, che è lo studio. Così sono andata all’Università e ho preso una laurea in Cinema. Quello dell’attrice è un lavoro molto precario, credo che i miei genitori volessero che sviluppassi un forte senso di chi sono, anche se avessi scelto un altro mestiere».

Sembra molto determinata: non ci sono cose che la scoraggiano, spaventano? «L’aspetto più difficile del mio lavoro è l’esposizione, andare alle audizioni, in cui puoi essere rifiutata. Poi ci sono i red carpet, le interviste con la stampa, tutte esperienze che non sono naturali, o almeno non lo sono per me. Vestire con un abito pazzesco, camminare davanti a mille fotografi non sono cose normali, ma le posso fare».

Detto da lei che è brand ambassador di Armani cosmetics e della casa di orologi di lusso Jaeger-LeCoultre, sembra impossibile. La vanità è diventata una parte impegnativa del suo lavoro? «Scegliere cosa indossare, ogni volta, occupa molto tempo. Mi piacerebbe poter mettere una giacca e via, come fanno i maschi. Studiare e prepararsi ai ruoli richiede così tanto impegno, che trovare energie anche per i vestiti mi sembra eccessivo».

 Se deve presentarsi in pubblico a chi si affida? «Quando entro nella rappresentazione dell’attrice devo sottolineare uno stile. Allora indosso abiti di Roland Mouret, mi piace molto come taglia gli abiti per la donna, ne evidenzia la femminilità. Così come mi piacciono Erdem, Sonia Rykiel e Isabel Marant».

Ha detto che secondo lei James Franco è uno dei più importanti artisti americani viventi. Tra poco sarete insieme nella serie della Fox diretta da J.J. Abrams, lui viaggerà nel tempo per impedire l’assassinio del presidente Kennedy, lei sarà una bibliotecaria e sua amante, prima di diventarne la fidanzata. «James ha anche diretto uno degli otto episodi, sapevo che lavorare insieme sarebbe stato fantastico, e così è stato. Nella serie si vedrà che c’è chimica tra noi, ed è importante: si tratta di una storia d’amore, era il minimo che potessimo fare per onorare i fans del libro, che credo ameranno quello che abbiamo fatto».

Articolo pubblicato su D La Repubblica del 19 marzo 2016

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

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