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L’attrice israeliana Hadas Yaron, 28 anni (foto di Gabriel Baharlia per D La Repubblica)

«Il mio nome tradotto nella sua lingua è quello di un fiore bianco, credo sia il mirto… Ha un profumo meraviglioso». Resta molto sorpresa quando le diciamo che, fra le altre cose, da quel fiore si distilla un liquore molto apprezzato. Un destino che Hadas Yaron, attrice israeliana di 28 anni, condivide con la bevanda, se si pensa a quanto l’Italia l’abbia premiata e adottata. Per La sposa promessa, di Rama Burshtein ha vinto la Coppa Volpi come miglior attrice a Venezia sei anni fa, e quando è tornata a casa le hanno dato l’Academy Award d’Israele.  Era solo il suo secondo film, poi è stata la volta di La felicità è un sistema complesso, di Gianni Zanasi, con cui ha girato di nuovo Troppa grazia, a distanza di tre anni, presentato in anteprima mondiale nella sezione Quinzaine dell’ultima edizione del  festival di Cannes.

Il suo personaggio è nientemeno che la Madonna, che appare a Lucia, una geometra (Alba Rohrwacher) che ha una figlia e si arrabatta fra mille difficoltà pratiche e sentimentali. La Madonna le ordina di far costruire una chiesa nel mezzo di quello che sembra (sembra) il nulla.  «La proposta del regista mi ha resa molto felice anche se non sono religiosa e non ho un’idea forte come l’avete voi sulla Madonna. Non sono cresciuta con questa figura, sapevo chi è in senso generale, ma leggendo la sceneggiatura ho capito che si trattava di qualcuno di più umano. Nel film c’è umorismo, si parla di avere fede ma non in senso religioso: è più un credere ancora, un fidarsi, un saper immaginare nonostante si sia adulti». Nel caso del film di Zanasi la figura interpretata da Hadas è una specie di sguardo netto e senza compromessi sulle cose, con un forte senso etico ed esistenziale. La Madonna è una parte di lei, la fa tornare ad avere fiducia in se stessa, e lo fa mettendola di fronte allo sconosciuto, che è sempre spaventoso. «Come Lucia, a volte anche preferiamo stare dove siamo, nonostante non ci faccia bene, invece di muoverci verso qualcosa di nuovo».

Troppa Grazia mescola temi importanti a momenti di grande ironia, come quando al primo incontro Lucia scambia la Madonna per un’extracomunitaria che vuole denaro, iniziando lei una conversazione con parole ebraiche.  Una metafora, questa, del non capirsi e non sentirsi capiti, quando si incontra qualcuno che parla un linguaggio diverso.  «Credo che ogni persona conosca quella sensazione, viaggiando accade spesso. Io ho imparato l’italiano, ma se vado in Francia mi sembra strano non poter parlare l’idioma locale. Vorrei il super potere di parlare tutte le lingue del mondo. L’ebraico per me è una specie di codice segreto: so che se scrivo qualcosa, in genere nessuno può leggerla».

(continua…)

Intervista integrale pubblicata su D La Repubblica del 24 Novembre 2018

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