«Mi crede se le dico che non avevamo da mangiare? So che per voi è una frase fatta, ma dove sono cresciuta io il senso è proprio letterale…». È talmente bella Olga Kurylenko, l’ucraina che da Berdyansk, un paese dell’ex Urss, è arrivata a sfilare per Cavalli e Kenzo, e poi addirittura a incarnare la Bond girl di Daniel Craig in Quantum of solace, che si rischia di prestare poca attenzione alle parole che pronuncia. Recitare la interessava da quando era bambina, nel 2005 corona il sogno grazie a L’annulaire di Diane Betrand, poi a Paris Je t’aime accanto a Elijah Wood quindi al thriller francese Le Serpent. La fama mondiale le arriva accanto all’agente segreto più sfuggente del pianeta: da lì in avanti una serie di “no” a ruoli sexy e spirito di sacrificio hanno fatto il resto. Oggi Olga passa da un regista top all’altro, lo stesso dicasi per i colleghi di set. Da Tom Cruise (Oblivion) a un altro Bond, Pierce Brosnan (November Man) fino alla doppietta Ben Affleck-Xavier Bardem (To the wonder). Sembrava avesse raggiunto il top, quando le arriva una mail di Russel Crowe che le invia il copione di Water Diviner, il suo esordio alla regia attualmente nelle nostre sale. È un’avventura epica ambientata quattro anni dopo la devastante battaglia di Gallipoli in Turchia, durante la prima Guerra Mondiale. Un contadino australiano (Crowe stesso) va a Istanbul per scoprire la verità sui suoi figli, dati per scomparsi in battaglia, e lì inizia una relazione con la proprietaria turca del suo albergo. Neanche a dirlo, quella donna è Olga. Labbra carnose rosso fiammante, capelli neri lucenti, in un abito di seta scuro ha grandissimi occhi verdi che sorridono.

L’ex modella e attrice ucraina Olga Kurylenko (courtesy wall.alphacoders.com).
Come l’ha coinvolta nel film l’ex Gladiatore? «Mi ha scritto una mail “Ciao Olga, ti allego la sceneggiatura del mio film, leggila e dimmi se ti piace”. L’ho letta e gli ho risposto “il mio personaggio mi piace molto”. E Russel “Quanto ci metti a imparare il turco?”, gli ho risposto che mi bastava un giorno (ride, ndr)».
Vi conoscevate, lei e Crowe? «Non l’ho mai incontrato prima, è arrivato dal nulla! Mi sono chiesta perché mi ha scelta, forse il mio essere nata dall’altra parte del Mar Nero, non molto lontano dalla Turchia, ha aiutato. Nel film sono Ayshe, una donna che manda avanti un hotel da sola con coraggio, dopo aver perso il marito, di cui col passare del tempo si capisce che era follemente innamorata. Tutto quello che le è rimasto è un albergo e suo figlio. Sono queste perdite reciproche ad avvicinare me a Connor».
Come avete lavorato insieme? «La prima volta che ci siamo incontrati di persona è stato a Parigi, di rientro dalle riprese di November Men con Pierce Brosnan. Confesso che credevo sarebbe stato faticoso essere diretta da un regista esordiente, ma non avrei potuto sbagliarmi di più: è stato il lavoro più fluido che mi sia mai capitato, la sicurezza di Russel faceva si che un paio di riprese gli bastassero, non siamo mai andati ai tempi supplementari (ride, nr)».
Ha citato Parigi, una città chiave nella sua vita. «Sono cresciuta con mia nonna e mia madre in Ucraina, nella povertà più estrema, mio padre se ne è andato presto. Avevamo veramente poco, anche se mamma faceva l’insegnante. Eravamo in tanti, tutti in un appartamento: avevamo la nostra stanza e quando mancava il cibo, ce lo dividevamo tra zii e cugini. A 15 anni sono andata a Mosca a fare la modella, l’ho accettato per soldi, di lì mi hanno spedita a Parigi».
Com’è stato quel lavoro? «Non l’ho scelto perché mi divertiva, non ho mai parlato con nessuno, non andavo alle feste, non avevo idea di quello che stavo facendo. Voglio dire che non ero modella nella mia testa, andavo in giro in sneakers… Era solo per i soldi, e se oggi mia madre vive bene lo devo a quel lavoro, mi ha fatto campare. Pensi che non parlavo una parola della lingua del posto, so cosa significa sentirsi soli, credo che sia il motivo per cui Malick mi ha scelta, mi ha sentita vagamente alienata…».
Da non sapere una parola di francese a diventare una Bond girl, come ha fatto? «Grazie alla disciplina. Mia madre mi ha tirata su con idee molto chiare in merito. Ricordo la tabella di marcia delle mie vacanze da bambina: sveglia alle sette, colazione, lettura del tal libro, matematica, ero molto organizzata. Quando mi sono trasferita a Parigi non sono andata a scuola, ho studiato da sola: tutte le sere alle sette facevo le lezioni di francese, con tanto di compiti. Diciamo che l’amore per la disciplina è stato un punto a mio favore».
Da modella a mito, Quantum of Solace le ha cambiato la vita? «La stampa è impazzita, tutti hanno scoperto chi ero, credevano che fosse il mio primo film e se penso a quanto avevo lavorato prima… È stato un po’ come quando ho iniziato a danzare, da bambina, e tutti mi scoraggiavano, ma sono sempre stata caparbia, non ho mai mollato. Finchè un incidente si è messo di mezzo, mi sono rotta una gamba e ho smesso di ballare. Ma l’ho deciso io».
Due matrimoni alle spalle, da tre anni è fidanzata con Danny Huston (figlio del grande John Huston). Le sue idee sull’amore sono cambiate?
«Molto. A vent’anni stavo nel mio piccolo appartamento a Parigi, il mio agente mi ha detto “sono due anni che sei qui, com’è che non hai un fidanzato?”. Non ci ho mai pensato di doverlo avere, questo per capire com’ero giovane di testa. Poi mi sono sposata due volte, credevo a tutto quello che mi dicevano, e soprattutto non davo grande valore al legame. Oggi sono più consapevole, il film di Malik mi ha cambiata ulteriormente. Ho cominciato a farmi domande, cos’è l’amore? perché comincia? perché finisce? Ho capito che è la cosa più importante della vita, e che significa anche accettare di perdere delle cose che sembravano irrinunciabili, perché conta di più l’uomo e quello che stai costruendo con lui…».
L’articolo è su Donna Moderna del 27 gennaio 2015.
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