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Mel Gibson Story: ascesa, caduta e rinascita tra due Oscar

26 domenica Feb 2017

Posted by cristianaallievi in cinema, Cultura, Mostra d'arte cinematografica di Venezia, Personaggi

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Tag

Andrew Garfield, Braveheart, Cristiana Allievi, Desmond Doss, Hacksaw RIdge, La resurrezione, Mad Max, Mel Gibson, Oscar2017, Suicide Squad

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A 21 anni dal doppio premio a Braveheart, l’attore e regista australiano torna sotto le luci e nel teatro degli Oscar dopo 10 anni bui e con un nuovo film di guerra ed eroismo

 

«Il mio prossimo film? Sarà un processo investigativo, voglio mostrare luci e ombre di un evento misterioso. Ho idee poco ortodosse e molto interessanti in merito…». Il film in questione, guarda il caso, si chiamerà La resurrezione, e sarà la continuazione di La passione. I conti tornano. Se infatti Mel Gibson oggi corre per l’Oscar, è di rinascita che è il caso di parlare, di ritorno dopo 10 anni di assoluto silenzio. I critici hanno applaudito il suo film di guerra, Hacksaw Ridge, nominandolo in ben sei categorie, inclusa quella di miglior regista per Gibson stesso. E dopo anni di esilio nel deserto – l’ultima nomination era stata perBraveheart – è questa la dichiarazione che l’autore australiano è stato accolto di nuovo, e a braccia aperte, nella famiglia del cinema. Non vincerà, questo è praticamente certo. E non solo perché i titoli in corsa includono Moonlight di Barry Jenkins e La La Land di Damien Chazelle. Il fatto è che gli organizzatori della cerimonia non lascerebbero mai Mel vicino a un microfono aperto.

Se per sempre, o per ora, si scoprirà col tempo.

Del resto il suo ritorno ufficiale ha già del miracoloso, se si pensa che l’attore e regista premio Oscar, arrestato per guida in stato di ebrezza, ha dichiarato al poliziotto che lo aveva in custodia che gli ebrei sono responsabili di tutte le guerre del mondo (epic fail con cui seppellire una carriera per sempre). È difficile trovare qualcuno dell’industry che non lo ami, a livello personale. Non è più il burlone delle feste glamour che era vent’anni fa, ma tutti lo considerano intelligente, generoso e parecchio alla mano. Ma il disgelo a livello ufficiale, quello dell’Academy per intenderci, è un’altra cosa, ed è una specie di miracolo. È avvenuto grazie a un film che mette insieme temi fortemente gibsonini come fede, violenza e guerra. Ironia vuole che il film uscisse in un’America che si preparava all’arrivo di Trump, raccontando la vita di Desmond Doss, un giovane pacifista che quando scoppia la seconda guerra mondiale si arruola volontario come medico, ma per le sue convinzioni religiose non toccherà armi. Guidato solo dalla propria incrollabile fede, a Okinawa salva la vita a 75 commilitoni. Questo eroe interpretato dal bravissimo Andrew Garfield è il primo obiettore di coscienza insignito della medaglia d’onore dal presidente Truman. E in molti hanno pensato che, consciamente o meno, in qualche modo rappresenti Gibson stesso, che ha anche scelto (simbolicamente?) di tornare a casa, in Australia, a girare il suo quinto film da regista.

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Il regista e attore australiano, 61 anni, con Andrew Garfield, protagonista di Hacksaw Ridge, in corsa per gli Oscar con 6 nominations.

Con la barba folta sale e pepe con cui lo si vede girare da diversi mesi sembra più un profeta dell’antico testamento che una star di Hollywood. Per rintracciare nella mente l’immagine della giovinezza di attore-sex symbol che ha alimentato successi come Mad Max e la serie di Arma letale bisogna attingere a ricordi da vite passate. Così come adesso sembra voler solo dirigere, e il ricordo dell’ultimo ruolo da attore degno di nota è lontano: era stato nel thriller di M. Night Shyamalan sui cerchi di grano, Signs, del 2002, seguito a Quello che vogliono le donne, del 2000.

Nato a New York da un ferroviere di discendenze irlandesi e da una madre irlandese, quando aveva quattro anni la sua famiglia si è trasferita con 11 figli in Australia, nel New South Wales, dove la nonna paterna era stata un noto contralto dell’opera. Dopo il liceo Mel è andato all’Università di Sidney esibendosi poi al National Institute of Dramatic Arts con future star del cinema come Geoffrey Rush e Judy Davis. Ha esordito al cinema con Interceptor, mentre con Tim – Un uomo da odiare, ha vinto il premio di miglior attore secondo l’Australian film institute (che equivale a ricevere un Oscar), cosa che si è ripetuta pochi anni dopo, con Gli anni spezzati. Risale invece al 1984 il suo debutto americano, in Il bounty, interpretato accanto a Anthony Hopkins. È stata poi la volta di Mad Max e, nel 1987, del personaggio di Martin Riggs con cui ha firmato la serie di Arma letale. Gli anni Novanta lo hanno visto vincere due Oscar con Braveheart- Cuore impavido (Miglior fotografia e Miglior Regia), a cui sono seguiti altri innumerevoli successi al box office, fino ai guai con l’alcol e tutto il resto che ne è seguito.
Questo grande ritorno con Hacksaw Ridge è la scintilla di un fuoco che sembra destinato a tornare a scaldare, e parecchio. Mel è un tipo ingestibile, e adesso che ha 61 anni ed è appena diventato padre del nono figlio sembra aver annunciato che le sorprese sono appena iniziate.

Chi crede che si sia ormai votato a dirigere solo film su figure bibliche ed eroi morali, potrebbe ricredersi. Per dirne solo una, circolano voci sul fatto che la Warner lo abbia parecchio corteggiato e che lui stia studiando il materiale di una nuova sceneggiatura. Si tratterebbe del sequel di Suicide Squad di David Ayer, e basterebbe a dire che chi ha pensato di aver capito chi è Mel Gibson si è sbagliato. E di grosso.

Articolo pubblicato su GQ Italia 

© Riproduzione riservata 

Cara Delevingne: «Ragazze, imparate a dire no».

24 mercoledì Ago 2016

Posted by cristianaallievi in Moda & cinema

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Anna Karenina, Annie Clark, Cara Delevingne, Cristiana Allievi, David Ayer, Faudel-Phillips, Karl Lagerfeld, Luc Besson, St. VIncent, Suicide Squad, Tom Ford, Tulip fever

 

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L’attrice e modella Cara Delevingne, 24 anni (courtesy of Grazia Italia).

“Chi sono io? Chi sto cercando di essere? Non me stessa, chiunque ma non me stessa…”. Parole che colpiscono, quelle di Cara Delevingne, specie se affiancate a dichiarazioni altrettanto forti, come l’ammissione di aver sofferto di depressione e di aver voluto diventare modella per cercare una scappatoia a questa gabbia. Ma facciamo un passo indietro. A 17 anni questa londinese cresciuta nel quartiere di Belgravia abbandona la scuola e firma un contratto con la Storm Management, e di colpo è catapultata nel mondo delle campagne pubblicitarie. Tutti la vogliono, da Burberry a Victoria’s Secret, da Mango a Fendi a sua maestà Karl Lagerfeld, che le fa aprire la sfilata di Chanel a Parigi. Non bastasse, Tom Ford la mette nuda tra le orchidee per il suo profumo, Black Orchid. Riceve due volte il titolo di modella dell’anno ai British fashion Awards, Forbes la indica come la seconda modella più pagata al mondo (a pari merito con la Lima), con nove milioni di dollari l’anno. Ma questo non cambia il suo stato interiore, finchè l’anno scorso annuncia al Time di volersi ritirare dalle passerelle, a soli 23 anni, per dedicarsi alla recitazione. Motivazione ufficiale, un tale stress che le ha probabilmente provocato la psoriasi. Quelle di cui sopra sono le parole che ha usato per descrivere il proprio stato d’animo dal microfono di Women in the World Summit, davanti a un Rupert Everett maestro di cerimonie. Non un caso, forse, che abbia condiviso proprio con lui una confessione a cuore aperto. Se Everett è un discendente della famiglia degli Stuart, infatti, Cara proviene da parte di madre dai baroni Faudel-Phillips; e come Rupert, Cara ha fatto outing l’anno scorso, raccontando a tutto il mondo di essere innamorata della musicista Usa Anna Clark, nota come St. Vincent. Alta, magra, con quelle sopracciglia importanti che sono un marchio di fabbrica, è cresciuta in una famiglia privilegiata ma tutt’altro che perfetta. La madre, Pandora, sta scrivendo un libro di memorie sulla sua dipendenza dall’eroina, e per madrina ha Joan Collins, mentre il padre è un uomo di successo nel campo immobiliare. Cara suona la batteria e canta, e il cinema è sempre stato il suo vero amore, ma per essere credibile in una nuova veste ha dovuto lottare, e parecchio. L’abbiamo vista in Anna Karenina di Joe Wright accanto a Keira Kniegtly, in London Fields con Johnny Depp e Amber Heard. E in Tulip fever condivideva il set nientemeno che con Judi Dench e Christoph Waltz. E considerato che in Suicide Squad sarà insieme a Jared Leto e Will Smith, nelle sale dal 18 agosto, possiamo affermare con cognizione di causa che Cara è una di quelle modelle a cui la transizione ad attrice è riuscita per davvero, come a Charlize Theron. O come ha detto un celebre critico di Variety, a giudicare dal suo lavoro, Cara è una arrivata sulla scena per restarci, considerato anche che il suo prossimo ruolo è nella science-fiction di Luc Besson, Valerian. Intanto possiamo godercela in Suicide Squad, il cui racconto si basa sui personaggi della DC Comics. Nel film lei è l’Incantatrice e fa parte di una banda di super cattivi a cui viene fornito il più nutrito arsenale immaginabile dal governo, il tutto per sconfiggere un’entità sconosciuta. Quando scopriranno il vero motivo per cui sono stati scelti si troveranno a dover decidere se combattere ancora insieme o se fare ognuno per sé.

L’Incantatrice è un antico essere malvagio che si risveglia nell’esploratrice June Moone dopo un lungo periodo di prigionia. Come si è preparata a questo ruolo? «Sono una donna cattiva e contorta che fa saltare in aria i corpi, e li fa a pezzi… Mi ci sono preparata immaginando silenziosamente modi per uccidere i miei amici (ride, ndr), a quanto pare funziona!».

Lei sarà una strega. «Il mio personaggio è fuori dal mondo, o almeno da questo mondo. Ma la genialità di David Ayer (che ha scritto e diretto il film, ndr) è stata rendere tutto molto radicato e reale, ha voluto che incarnassi una persona potente, quasi prepotente, di cui sfugge sempre un pezzo. Si scoprirà che si tratta di una donna ferita e molto vulnerabile, ed è questo aspetto che la rende umana e con cui tutti potranno relazionarsi».

 Non è facile avere bei ruoli al cinema, specie agli inizi, come ha reagito quando David Ayer l’ha scelta? «L’ho incontrato due anni fa e mi ha solo dato la sua visione generale del personaggio, attraverso immagini che aveva trovato in rete. Tutto il progetto era segretissimo, ha scatenato la mia immaginazione, dal momento in cui mi ha parlato dell’Incantatrice e del mondo etereo di cui fa parte ho detto subito di sì. Più avanti ci siamo parlati ancora al telefono, mi ha chiesto pareri sulla salute mentale, un argomento che mi interessa molto».

Lei ha sorpreso molte persone, l’anno scorso, annunciando di abbandonare le passerelle… «Eppure quello di fare la modella non è mai stato il mio sogno, a quattro anni volevo già recitare, ho sempre preferito essere un’altra, sin da bambina. C’è stato un momento della mia vita in cui ho letteralmente vissuto attraverso la macchina fotografica, e il problema è che quello è un mondo in cui vieni usata: ti spremono come un limone, poi ti buttano via per la prossima che arriva. Quel lavoro stava uccidendo la mia anima, ho iniziato a farlo per sfuggire alla depressione di cui ho sofferto sin da ragazzina».

Lo stress le ha causato una forte psoriasi, ha dichiarato anche di essere arrivata a odiare il suo corpo, e a sperare che qualcuno arrivasse da fuori a fermarla, perché lei non ci riusciva… «È stata Kate Moss a farlo. Sapendo a che pressione siamo sottoposte, vivendo sempre per soddisfare le aspettative altrui, mi ha consigliato di rallentare. Così mi sono dedicata allo yoga e al rilassamento, mi sono ricaricata per il passo successivo: fare quello che volevo davvero della mia vita».

Ci sono attrici che arrivano dal mondo della moda che si lamentano dei ruoli che vengono offerti loro come attrici, poco credibili. «Anche a me hanno chiesto di interpretare la modella svedese o inglese, che muore sempre, o la ragazza scema, come in American Pie 27, con scene di sesso gratuite. Non sa quante volte sono andata in crisi declinando ruoli, perché tutto quello che volevo fare era recitare… Ma ho capito che la mia dignità era più importante anche di questo».

Qual è la cosa che oggi trova più sfidante di questo lavoro? «Imparare a tenere fuori dal set le distrazioni della mia vita. Ed essere innamorata aiuta, quando lo sei stai con quella persona come se nella stanza non ci fosse nessun altro. Recitare è un po’ lo stesso, quando guardi in faccia un altro attore non deve esistere nient’altro».

Il suo primo ruolo è stato in Anna Karenina, quattro anni fa: come lo ricorda? «Ho passato ore tra trucco e capelli, per girare una grande scena, ero così nervosa… Poi è arrivato il regista e mi ha detto “Smettila di fare la modella, e smettila di cercare di sembrare bella!”. È successo qualcosa dentro di me».

Ha superato la paura di essere incasellata e poco credibile? «La gente può incasellarmi in qualsiasi modo, come modella e com quello che vuole. Ma se semplicemente vado avanti e faccio le cose al meglio, cosa che spero succeda, so di poter dimostrare di valere molto».

Suicide Squad è uno di quei film che si girano in gruppo, com’è andata con i colleghi? «Abbiamo avuto un mese di prove, prima di girare. È stato molto divertente perché fuori dal set ci scatenavamo come bambini. È ovvio che noi non siamo i personaggi che interpretiamo, ma in qualche modo incontrandoci ci trasformavamo in ragazzacci pestiferi. Ha presente quando a scuola ci si sedeva in fondo al pullman, a cantare a squarciagola? Eravamo così. Ma una volta sul set la situazione cambiava al volo, volevamo tutti rendere al meglio quando arrivava David».

 

Ha una scena preferita? «Direi quando ho incontrato me stessa la prima volta, nell’essenza, ovvero quando June incontra per la prima volta l’Incantatrice.  Ho recitato le due parti in due giorni diversi, proprio per costruire il momento in cui i due personaggi arrivano a incontrarsi vis a vis».

Nel film ha un look straordinario, ha collaborato con la costume designer Kate Hawley nel costruirlo? «Il dipartimento che si è occupato di trucco e costumi era così straordinario che sarei stata ridicola a pensare di dare un contributo! Da parte mia ho sentito che creare il personaggio, e giocare sulla sua fisicità e l’accento, era abbastanza».

Prima parlava di essere innamorata, è stata coraggiosa quando ha dichiarato di essere legata alla musicista Annie Clark, nota ai fans come St. Vincent… «A un certo punto è meglio rivelarsi per chi si è davvero, e la mia sessualità non una fase passeggera, come qualcuno pensa».

Il prossimo anno ha vari film in uscita, ma davvero non la vedremo più in passerella? «Farò ancora la modella, ma in modo molto selettivo. Adoro dire di no, e finora non lo avevo fatto. Questo mi ha rubato molta salute e felicità, e non riaccadrà mai più».

Ha quattro milioni di follower su Twitter e 20 su Instagram: cosa consiglia alle ragazze che vogliono fare le modelle? «Perché non sognare alla grande, per esempio di diventare delle politiche di successo? Scherzi a parte, il mio consiglio è: qualsiasi cosa vogliate fare, state bene con voi stesse, perché con voi stesse ci dovrete stare un bel po’ di tempo».

Articolo uscito sul n. 33 di Grazia

© Riproduzione riservata

 

 

 

 

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