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Cristiana Allievi

~ Interviste illuminanti

Cristiana Allievi

Archivi tag: Oliver Stone

Oliver Stone: «Soltanto la verità».

10 domenica Lug 2016

Posted by cristianaallievi in cinema, Cultura, Festival di Taormina

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Cia, Cristiana Allievi, Donald Trump, Hilary Clinton, Igor Lopatonok, JFK, Kennedy, Kiev, Louis Stone, Nato, Oliver Stone, ONG, Platoon, Salvador, Snowden, The Untold History of United States, Ucraina, Ukraine on fire, Vladimir Putin, Wall Street

Dal nuovo documentario Ukraine on fire, prodotto e appena presentato in anteprima mondiale in Italia, al prossimo film Snowden, sullo scandalo del Datagate, il regista e produttore tre volte premio Oscar prosegue la sua missione: indagare i fatti. E mostrare, ancora una volta, il volto più controverso dell’America

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Oliver Stone, regista attore e produttore Usa (courtesy youwoncannes.com)

«Non ha idea di quanto sia stato doloroso essere coinvolto in questo film. In passato ho girato documentari sul Sudamerica e conosco bene gli attacchi che ci si trova a subire, in questo caso sono stati violenti. Trovo inconcepibile dover essere accusati per difendere fatti che è importante che vengano conosciuti. Le opinioni possono essere discusse, ma i fatti devono essere presentati, e finora nessuno lo ha fatto come noi». Non a caso si è meritato il titolo di “coscienza dell’America”. Salvador, Platoon, Wall Street, JFK: nessun regista come Oliver Stone ha messo in dubbio il mito degli Usa come ha fatto lui. E pensare che quelli citati sono film mentre quando è davvero arrabbiato- parole sue- lavora a un documentario. L’ultima volta che si è cimentato sul tema è stato con il monumentale Untold History of United States, 12 ore di immagini che smontano 70 anni di storia ufficiale americana alle voci Seconda Guerra mondiale e Guerra fredda. 69 anni, tre Oscar, tre figli e tre matrimoni all’attivo, questo regista, sceneggiatore, produttore e attore non pare abbassare la guardia. È appena stato in Italia come produttore esecutivo di Ukraine on fire, presentato in anteprima mondiale al 62° TaorminaFilmFest, in cui appare nientemeno che come intervistatore del presidente russo Vladimir Putin e dell’ex presidente ucraino Viktor Yanukovich. Stone ha vigilato sul regista Igor Lopatonok, ucraino trasferitosi negli Usa dal 2008, che ha voluto raccontare le complicate vicende di una terra di confine da sempre contesa tra Occidente ed Oriente. La ricostuzione è dal 1941 al 2014 e mostra quanto abbiano pesato i movimenti nazionalisti e la politica estera americana sulla rivoluzione in Ucraina, con particolare attenzione ai fatti di febbraio 2014 conosciuti come Euromaidan. Il regista di Platoon dà un altro colpo all’immagine del sistema-Usa prima di uscire nel suo paese (e in varie nazioni europee) con l’attesissimo Snowden. Il film racconta le vicende dell’informatico dipendente dell’Agenzia per la sicurezza nazionale che ha passato migliaia di documenti classificati alla stampa. Storia con cui, come rivela Stone stesso, è pronto a scommettere che sorprenderà i suoi spettatori.

Cosa l’ha spinta a produrre Ukraine on fire? «Il desiderio di esprimere una visione della crisi ucraina diversa da quella che propongono i corporate media, sembra che in Occidente la voce dell’Ucraia orientale non sia ascoltata. Ho incontrato molte difficoltà, lo ammetto, anche a causa dell’inglese di Igor e di molti ucraini con cui ho collaborato, persino riconoscere i vari nomi è stato complicato, a un orecchio occidentale sembrano tutti simili. Forse anche per questo in Occidente tendiamo ad accettare la visione che ci viene presentata».

Siete partiti da prima della rivoluzione arancione mostrando quanto corrotti siano sempre stati i governi ucraini e soprattutto cosa c’è dietro le manifestazioni a Kiev: i movimenti nazionalisti che nella seconda Guerra mondiale hanno affiancato i nazisti nelle stragi di ebrei e polacchi, supportati dalla Cia. Secondo voi dietro la crisi dell’Ucraina c’è una seconda guerra fredda per cui si rischia un conflitto mondiale. «L’anno scorso Winter on fire: Ukraine’s Fight for Freedom di Evgeny Afineevsky, è stato a un passo da vincere l’Oscar. L’ho visto perché sono membro dell’Academy e sono rimasto molto colpito in senso negativo. Raccontava solo la protesta in piazza Maidan e sembrava che tante persone pacifiche avessero voluto di loro spontanea volontà dar vita a una manifestazione che è sconfinata in violenza senza controllo. Afineevsky non contestualizzava i fatti, non diceva che alla polizia era stato ordinato di non sparare, non menzionava l’escalation di violenza, con i manifestanti che hanno attaccato gli edifici governativi. Nel massacro metà erano poliziotti e metà manifestanti e l’esame balistico ha dimostrato che i proiettili che li hanno colpiti erano gli stessi: vuol dire che a uccidere le persone sono stati i cecchini della destra nazionalista, nascosti tra i manifestanti. Fosse stato un mio film avrei insistito di più su questa parte».

Perché i fatti di Kiev sono al centro delle sue attenzioni? «Hanno portato a sanzioni, all’embargo, a conseguenze dure per l’economia. Molti paesi europei dopo l’abbattimento del jet della Malesya Airways hanno cambiato posizione verso la Russia, le conseguenze geopolitiche di questo fatto saranno molto pesanti. E ovunque andrà nel mondo, persino a Okinawa, ci sarà il governo americano coinvolto negli incidenti: ma negli Usa si parla solo dell’aggressione russa».

Che impressione la ha fatto Vladimir Putin, intervistandolo? «Mi ha colpito per la calma, non è un emotivo. Sembra un uomo che prende il suo lavoro molto seriamente, è preparato, non era lì per giocare con la macchina da presa o diventare tuo amico. Non ha avuto bisogno di un testo scritto per rispondere alle domande, la conversazione con lui è stata articolata e complessa».

Cosa pensa delle associazioni non governative Usa che operano in Europa, nord Africa e Oriente? «A volte fanno un ottimo lavoro, altre non sono mosse da fini nobili. Si parla di soft power degli Stati Uniti, è un po’ ovunque. Lei si immagina se una ONG messicana cominciasse a sostenere delle associazioni non governative nei movimenti di rivolta negli Usa, finanziandole, perché non condivide i trattati commerciali, o la politica estera degli Usa? Nel mio paese non durerebbe molto».

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Stone al Teatro Antico di Taormina, tra il regista di Ukraine on fire, Igor Lopatonok, e Tiziana Rocca.

Molti uomini, alla sua età, si rilassano o si chiudono in se stessi. Lei è più combattivo che mai. «Capisco che il tempo acquista sempre più valore, e se mi butto in un progetto devo metterci passione. Devo crederci, devo sentire che mi aiuterà a crescere».

Nel suo sito si legge un motto, “O nasci matto o nasci noioso…”. Oggi cosa considera noioso, se si guarda intorno? «Mettiamola così, i miei film non sembrano noiosi di solito, giusto? Ecco, la maggior parte di quello che vedo mi annoia a morte».

Dal suo punto di vista, se guarda indietro, qual è stata la spinta che l’ha portata a fare esperienze estreme e a buttarsi in progetti controversi? «La spinta è sempre stata conoscere me stesso, e cercare la verità, che continua a cambiare mentre cresciamo. Ho un profondo desiderio di comprendere il tempo e il luogo in cui mi trovo. Quando avevo 20 anni c’era un sacco di tensione e di insicurezza in me, mi ha spinto a fare molte cose, ha ispirato tutta la mia vita. Credo anche che il mio desiderio di migliorare non mi abbia ancora lasciato. E forse ogni regista sente un’insicurezza di base, nei confronti della vita».

È vero che dietro tutti i suoi film c’è suo padre Louis? «Sono nato a New York, nel centro del mondo, quindi in una posizione molto privilegiata, e mio padre era un repubblicano conservatore, supportava Eisenhower e odiava Roosvelt, a quei tempi lo odiavano in molti perché ha imposto molte regole alla borsa e ha fatto pagare tasse su tasse».

Cosa le hanno insegnato dell’America? «Ho imparato la storia ortodossa, quella secondo cui siamo eccezionali e facciamo cose buone nel mondo. Secondo questa regola la vittoria della Seconda guerra Mondiale con la bomba atomica era una necessità, così come il Vietnam, infatti dopo il college mi sono arruolato. Al mio ritorno dalla Guerra non sono cambiato subito. Innanzitutto durante il Vietnam sono successe molte cose nel mio paese, e dopo la guerra e i bombardamenti hanno iniziato a venire alla luce fatti nuovi, sul Watergate, sulla Cia e anche su molti comportamenti di politica estera che negli anni Settanta non erano di dominio pubblico. Fatti che Kennedy sapeva, ma non gli americani. Queste rivelazioni sono state molto importanti per la nostra storia, non a caso dal 1980 in avanti l’America è stata sempre più conservatrice e ha nascosto sempre più fatti al mondo: hanno mentito così tanto che conoscere la verità per gli americani era difficilissimo».

Ha votato Obama due volte, cosa ne pensa oggi? «Non ha riformato le ingiustizie, aveva promesso di cambiare la politica estera di Bush, parlava di trasparenza, voleva smettere con le intercettazioni illegali. Non ha fatto niente di tutto questo».

Come vede i due candidati, Trump e la Clinton? Cosa cambierebbe di politica estera, se vincesse uno piuttosto dell’altro? «Chiunque vinca le elezioni non cambierà niente in politica estera, nei panni di Presidente. Gli Stati uniti sono un sistema ben consolidato, purtroppo i candidati possono cambiare ben poco di questo grande sistema. Però conoscete la posizione di Obama su questo punto, e Hilary è ancora più radicale in fatto di politica estera. Sicuramente Obama si comporta così perché ha informazioni più approfondite di noi, ma non credo ci saranno grandi cambiamenti».

Il 16 settembre negli Usa uscirà Snowden, sullo scandalo del Datagate. «Mi piace ancora fare film, questo l’ho scritto e diretto, ci ho messo tre anni a realizzarlo e ne sono orgoglioso. Per molti Edward Snowden è un’astrazione, quasi una figura mitologica, di cui si conoscono solo stupidaggini. Ho voluto mostrare il vero uomo, spiegare chi era per far capire cosa è successo. E sono sicuro che sarete sorpresi da alcune delle cose che scoprirete su di lui».

Articolo pubblicato da D La repubblica il 9 luglio 2016

© Riproduzione riservata

 

Oliver Stone, «Conosco la forza della rabbia»

15 lunedì Dic 2014

Posted by cristianaallievi in Miti

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angelina jolie, cinema, Cristiana Allievi, Icon, Oliver Stone, Oliver Stone; Panorama; politica; The untold history of United States; Michelangelo di Battista;, Panorama

C’è chi dice sia una prima donna. Ma è più probabile che le tre medaglie al valore conquistate in Vietnam lo abbiano reso un tipo determinato. Il regista simbolo del cinema politico ha accettato di farsi fotografare e di raccontarsi a Cristiana Allievi per Icon, magazine di stile di Panorama, come mai prima d’ora: l’infanzia, i rapporti con i genitori, le radici del suo cinema, la rabbia e l’orgoglio di una generazione di americani.

Oliver Stone

Il regista premio Oscar Oliver Stone

Con gli anni non do più in escandescenze come un tempo, ma m’infurio ancora. D’altronde, non ho certo intenzione di invecchiare scrivendo la mia autobiografia. Continuo a chiedermi il significato delle epoche che ho vissuto. E, soprattutto, se le ho davvero capite. Resta questa, oggi più che mai, la mia priorità».

Figlio di un finanziere repubblicano di Wall Street ebreo e di una parigina, Oliver Stone non si stanca di ripetere che quello che conta, al cinema, è prima di tutto intrattenere. Ma resta un cercatore ossessivo e spietato della verità, un maniaco nello scovare e vagliare fonti per le sue storie. E il ritmo vorticoso di Jfk, i tagli alle interviste di Fidel Castro (Comandante) e ai leader palestinesi (Persona non grata), così come le piste ostinatamente battute dal suo giornalista per raccontare la dittatura militare e l’omicidio di Oscar Romero in America Centrale (Salvador), la dicono lunga sulla sua idea di intrattenimento.
Non conta se i film li ha scritti, come Fuga di mezzanotte, Scarface oConan; se li ha scritti e diretti, da Platoon a Le Belve; o si è semplicemente messo dietro la macchina da presa, come in Ogni maledetta domenica. E non conta neppure se vincono una pioggia di Academy Awards, fanno buchi da milioni di dollari (Alexander) o vengono stroncati prima di nascere, com’ è stato per il biopic su Martin Luther King, bloccato dagli eredi del leader nero spaventati dall’idea che, anziché un’icona retorica, il film raccontasse un uomo in carne e ossa, adultero e lacerato dai conflitti con il suo movimento: Stone aspira sempre a una grandezza di genere immenso. Che non ammette compromessi. C’è chi dice sia una prima donna. Ma è più probabile, invece, che le tre medaglie al valore conquistate in Vietnam lo abbiano convinto una volta per tutte della necessità di dividere il mondo tra chi fa sul serio e chi invece no. Abbandonata l’Università di Yale per arruolarsi nell’esercito, dopo aver scritto un romanzo autobiografico andato malissimo, A child’s night dream, e aver festeggiato tre matrimoni, tre divorzi e la nascita di altrettanti figli, Stone non è certo il tipo da nascondere o vergognarsi di essere finito anche in galera per abuso di droghe e alcol. E quando crede in una storia ci mette sempre la faccia e pure i soldi.

Per il suo progetto più ambizioso di sempre, The untold History of United States, dieci ore di documentario che smontano settant’anni di storia ufficiale americana, ha sborsato di tasca propria un milione di dollari sui cinque necessari. Mentre per il final cut di Alexander, insoddisfatto dei ritmi e dei tempi che la produzione gli aveva imposto, ha deciso unilateralmente di rimettere da cima a fondo le mani sul film.
D’altronde, non si può chiedere a chi ha cambiato per sempre il modo di raccontare la guerra al cinema (vedere alla voce Platoon) di avere un carattere facile. La rabbia di Stone è il motore della sua creazione.

Chi è stato il primo destinatario della sua rabbia?
Mio padre Louis, credo. Quando decisi di partire per il fronte mentre tutti cercavano rinvii. Era un repubblicano conservatore e mi aveva cresciuto nell’upper East Side con il terrore della globalizzazione del potere militare russo e l’odio per il comunismo. Ma non voleva assolutamente che partissi. Come ogni padre, era contro la guerra. E soprattutto riteneva non fosse necessario che ci andassi io, cosa su cui non sono mai stato d’accordo.

Il conflitto a volte rende simili. Che cosa si porta dentro Oliver di Louis?
Mio padre era un uomo onesto, lavorava moltissimo e non ha mai fatto il broker per soldi né ha mai giocato con denaro altrui. Come tanti allora, odiava Roosevelt, perché aveva imposto un mucchio di regole alla borsa e un mare di tasse. Ma chi venne dopo, leader politici come Reagan e Thatcher, fece peggio, spingendo verso ogni sorta di privatizzazione senza preoccuparsi di costruire un vero libero mercato. Una politica che ci ha portato alla follia. Alla fine la finanziaria di mio padre fu divorata da Sandy Weil, l’ex amministratore delegato del gigante della finanza Citigroup: il primo mega banchiere globale, l’uomo che voleva tutto. Mio padre ha finito col pagare commissioni su commissioni. Eppure l’ho visto rimanere leale verso i suoi clienti fino all’ultimo giorno. La borsa allora era un altro mondo. I grossi profitti le banche li reinvestivano nel sociale. Altro che mettersi in tasca il 70 per cento dei guadagni come fa Goldman Sachs.

Non dev’essere stato facile accettare un figlio artista.
Sì, per molto tempo ha pensato fossi solamente un fannullone, e a un certo punto ho iniziato a crederlo anch’io… Ma lo diceva quando avevo 20 anni e non mi ero ancora affermato. Non credeva nel business del cinema, semplicemente. Era qualcosa al di fuori del suo orizzonte, della sua visione limpida ma anche  austera della vita. Prima di morire, però, mi ha detto: “Mi sono sbagliato, questa cosa dei film funzionerà, la gente andrà sempre di più al cinema”. E aveva ragione: negli anni Ottanta l’industria cinematografica letteralmente esplose. E io ero pronto per raccogliere i frutti della mia tenacia. Da giovane ero pieno di tensioni e insicurezze, ma sono state queste le forze che hanno ispirato la mia vita. Il desiderio di fare sempre di più non mi ha ancora lasciato. E credo che in fondo ogni regista faccia quello che fa anche perché si sente insicuro nell’affrontare la vita.

Perché il conflitto, la violenza, è spesso al centro della sua arte?
Corruzione, governi distorti, guerra: li racconto perché sono stati il cuore delle mie esperienze in questo mondo, fin da quando sono nato. Da artista ho cercato di mostrare quello che vedevo come potevo, nel modo più realistico possibile. La violenza è qualcosa che conosco bene. Ma non credo che i miei film siano violenti. Piuttosto fanno vedere gli effetti della violenza. Tutti tranne uno, Assassini nati, dove ho voluto di proposito essere grottesco e far ammazzare 55 persone ai due protagonisti….

La rabbia la spinge a fare certi film piuttosto che altri?
Nel mio caso è diverso, è il genere a cambiare. Quando sono arrabbiatissimo giro un documentario, uso la via diretta per dirlo. Se racconto una storia, invece, è segno che sono più tranquillo.

Sembra capace di sopportare bene gli alti e i bassi. Le ho sentito dire: «A me Nixon piace». Eppure è stato un flop.
La vita è dura, devi guardarla nell’insieme. Alcuni miei film hanno avuto successo, altri no. Dipende da dove tira il vento e se in quel momento hai fortuna o meno. La meditazione mi ha molto influenzato nel modo di vedere le cose, mi ha reso più consapevole, peccato non l’abbia praticata quando ero giovane… Ho iniziato nel 1993, e anche se a volte può essere molto frustrante, se sei regolare diventa un modo di vivere. E poi parte di te.

Oltre a suo padre, chi ha contato per la sua ispirazione?
Mia madre. E anche per me questa è una scoperta recente. Se rivedrà Alexander lo capirà. Quando uscì, nel 2004, mi costrinsero a stare sotto le tre ore e a tempi di lavoro strettissimi. Così, già nel 2007, iniziai a rimetterci mano. La nuova versione che uscirà è quello che avevo in mente. Ho rimesso mano a tutto il girato che avevo e ho proposto un viaggio completamente nuovo, di 3 ore e 26 minuti, nell’anima di un uomo, dalla nascita alla morte. Di un uomo che si è dovuto spingere fino alla fine del mondo per risolvere i conflitti con i suoi genitori.

Sua madre come Olimpia interpretata da Angelina Jolie…
Una donna fortissima, proprio così. I miei genitori lo sono stati entrambi, nonostante le loro incomprensioni. Penso che sia stato un bene, però: se uno dei due fosse stato dominante non ci sarebbe stato quel conflitto, quella frizione interna tra padre e madre, dentro di me, capace di scatenare una battaglia che è diventata il mio motore. Ero figlio unico e, come tutti, ho dovuto sopportare molte più emozioni di quante ne debba gestire normalmente un figlio. Tutto è molto più impegnativo quando sei da solo e la tua famiglia va inesorabilmente in pezzi.

La separazione è dolorosa. Come ha protetto i suoi figli dalla fine dei suoi matrimoni?
Sono stato sposato la prima volta per sette anni, la seconda per tredici e ora lo sono da diciotto (con la coreana Sun-Jung Jung, ndr). In pratica, quindi, è come se fossi sposato da sempre. Sono padre di tre figli, ho avuto i miei alti e bassi e di sicuro sto ancora imparando molto sulle relazioni. Ma cerco di fare del mio meglio per tenere tutto insieme. Nonostante sia stato molto vicino a mio figlio Sean, lo abbia ascoltato e aiutato sempre, ha comunque sofferto molto la fine del mio primo matrimonio. Non ho potuto evitarglielo: lo ammetto.

È un giovane regista, esattamente come lei ai tempi.
È vero, non ha ancora 30 anni e sta cercando il suo primo successo, che io ho avuto proprio alla sua età. Io, però, non avevo contatti in questo settore, mentre Sean è cresciuto circondato dalla regia. Ma non sono sicuro sia un vantaggio, molto sinceramente. È molto pericoloso avere un padre come me: è come bere vino e restarne inebriati. Ed è facile perdersi. Gli auguro il meglio. E anche se non potrò fare carriera al suo posto, vorrei che si convincesse che non mi importa quello che fa, né che cosa diventerà. Per me conta solo l’amore. Quindi, anche se dovesse finire in prigione, come d’altronde è capitato anche a me, sarò lì insieme a lui e lo amerò per come è.

“Nella mia vita c’è stata così tanta follia, ma per fortuna è sempre uscita col lavoro”, ha detto.
Fare film mi ha calmato, rassicurato, ha fatto uscire tutta la rabbia che avevo dentro. Martin Scorsese era il mio professore di cinematografia all’università (tornato dal Vietnam, Stone si è iscritto alla New York University, ndr): era pieno di energia, appassionato. È stato molto importante per me. E un giorno mi ha detto: “Sei stato in Vietnam, sei pieno di rabbia? Mettila nelle tue immagini…”. Con gli anni sono maturato e ho imparato a trasformarla in un’emozione positiva, ma la rabbia serve, anche per cercare la verità che continua a cambiare mentre cresciamo. Così, piano piano, sono maturato e ho trasformato la mia rabbia in qualcosa di positivo e di bello. E se da giovane avevo davanti agli occhi soltanto la guerra, i crimini, la corruzione, la menzogna, ora ho antenne più sottili: adesso sono i rapporti con gli altri al centro della mia attenzione.

Un’ispirazione nuova…
Sarà che sono più vicino alla morte… (scoppia a ridere). Ma vorrei girare qualcosa alla Visconti, qualcosa di simile a Bellissima, per intenderci. Ho sempre trovato straordinaria la passione di quella madre, e la relazione tra padre, madre e figlio mi ha affascinato. E poi adoro la Magnani.

bilde

Stalin, Roosevelt e Churchill in una scena di The untold History of United States di Oliver Stone

In occasione della presentazione della versione per ragazzi del suo Untold History, edita da Atheneum Books e adattata da Susan Campbell Bartoletti, Olive Stone ha dichiarato: «Ho sempre pensato che ai giovani non piaccia la storia insegnata a scuola perché è stata eccessivamente “disneyficata” e resa insignificante dalle scuole americane, con gli Stati Uniti sempre rappresentati come fossero Biancaneve… Nel nostro racconto offriamo una versione più Dr. Jekyll e Mr. Hyde, con la Regina Cattiva che compie parecchie delle malefatte nel mondo. Alla fine ai ragazzi piacciono le storie horror».  (8 dicembre 2014)

 

Oliver stone Alexander

Il regista con la Jolie, interprete del suo Alexander

 

Qui la cover story per Panorama Icon con foto in esclusiva di Michelangelo Di Battista

Marzo 2014 © Riproduzione riservata

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