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~ Interviste illuminanti

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Charlie Hunnam: «Solo lontano da Hollywood mi sento libero».

29 venerdì Giu 2018

Posted by cristianaallievi in cinema, Letteratura, Riflessione del momento

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Charlie Hunnam, Civiltà perduta, Cristiana Allievi, Grazia, interviste, Morgana McNelis, Papillon

IL FISICO DA SEX SYMBOL PER CHARLIE HUNNAM È STATO UN LIMITE: GLI VENIVANO PROPOSTI SOLO RUOLI FACILI. PAPILLON, IL REMAKE DEL PIU’ FAMOSO FILM SULL’EVASIONE, È INVECE LA SUA GRANDE OCCASIONE. MA CON GRAZIA L’ATTORE HA PARLATO DI UN’ALTRA FUGA, QUELLA CON LA DONNA ALLA QUALE HA SCRITTO UNA LETTERA D’AMORE AL GIORNO

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L’attore inglese Charlie Hunnam, 38 anni (Courtesy of Marteen de Boer su Grazia).

È il tipo di uomo che ti fissa dritto negli occhi. Per qualche secondo pensi che stia flirtando, ma non è così: capisco in fretta che è concentrato sulla conversazione, che ascolta davvero ogni parola. Ha capelli biondi e il corpo scolpito: Charlie Hunnam trasuda un fascino diverso da quello dei belli e famosi del grande schermo. E più vai avanti a parlare con lui più noti anche che non si dà arie ma è schietto e diretto. Questo attore inglese 38enne ha esordito come il motociclista sporco e cattivo della serie tv Sons of anarchy, e in un ventennio di cinema ha già lavorato con Guillermo del Toro in Pacific Rim e con Anthony Minghella in Ritorno a Cold Mountain, prima di diventare il visionari o esploratore Percy Fawcett in Civiltà perduta. Ma soprattutto quello che colpisce di lui sono il coraggio, e la pazienza, di non cadere nella trappola di usare come scorciatoia per il successo quel fascino angelico che si ritrova, nonostante bruciasse dalla voglia di dimostrare di cosa fosse capace. «Ho dedicato molto della mia vita a lavorare per il cinema e a diventare il miglior attore possibile», racconta a Grazia. «Ho dovuto sopportare parecchia frustrazione, perché molte delle cose che mi venivano offerte non erano al livello in cui mi sentivo, o di cui sapevo di essere capace. In altre parole, mi sono sacrificato parecchio e ho cercato di limitare i danni, ed è stato piuttosto faticoso». Certo, ha dovuto combattere. Guy Ritchie, l’ex marito di Madonna, all’uscita del suo Re Artù aveva detto “c’è più grasso in una patatina che in Charlie”, intendendo che non fosse abbastanza robusto per il ruolo. Quando lo ha saputo è volato da Londra a Los Angeles per farsi vedere dal vivo, e il film è stato suo. Ma, ironia della sorte, quando ha iniziato l’allenamento per il set ha incontrato Gray per Civiltà perduta, e pare il regista gli abbia detto “non c’è niente di più distante da un esploratore del secolo scorso…”. Risultato? Charlie ha perso un sacco di chili e ha fatto di nuovo centro. Oltre ai suoi talenti recitativi, Hunnam scrive e produce numerosi progetti cinematografici e televisivi, e dal 27 giugno lo vedremo in Papillon, diretto da Micahel Noer  in un rifacimento del celebre film del 1973 tratto dal best seller autobiografico di Henri “Papillon” Charrière, uno scassinatore parigino erroneamente incarcerato per omicidio e condannato a vivere nella famigerata colonia penale sull’Isola del Diavolo. Determinato a liberarsi, crea un’improbabile alleanza con un altro condannato, Louis Dega (Rami Malek), che in cambio di protezione accetta di finanziare la fuga di Papillon. Fra i due nascerà una toccante amicizia.

Cos’ha pensato quando le hanno offerto il remake di un cult che ha schierato Steve McQueen e Dustin Hoffman? «L’ho rifiutato, nonostante apprezzassi il regista ero scettico sul riproporre un classico molto amato. Ma quando mi è subentrato un altro attore ho pensato che avevo fatto un errore, e mi sono torturato riguardando tutti i film del regista! Poi però sono tornati da me, perché l’altro attore ha abbandonato il film».

E come l’hanno convinta? «Mi sono seduto col regista e gli ho chiesto: “se fossimo liberi, cosa vorremmo raccontare davvero di questa storia?”. Ho capito che eravamo ossessionati  dal sistema contemporaneo di privatizzazione delle carceri americane. Quello che stiamo permettendo è terrificante, e fare in modo che il pubblico veda i fatti in una prospettiva storica, provandone disgusto, mi sembrava un buon servizio».

Come si è avvicinato a questo tema? «Grazie al mio consulente finanziario, 12 anni fa, quando voleva che investissi in azioni nelle prigioni. Funziona che una compagnia compra una prigione dal governo e ne diventa proprietaria, poi chiede denaro al governo per ospitare i prigionieri, e considerati tutti gli extra parliamo di circa 50 mila dollari l’anno a detenuto, un business spaventoso con molti risvolti».

Per esempio quali? «Il valore delle azioni sale e scende in base all’occupazione delle carceri, quindi se uno entra per soli otto giorni, dicono che ha guardato male un secondino per affibbiargliene altri 20, è scioccante. Il governo francese all’epoca ha cercato di colonizzare la Guyana, e per iniziare si doveva tagliare alberi, costruire strade e infrastrutture. Così la colonia di prigionieri è stato un modo per fare soldi approfittandosi della sofferenza di quegli uomini».

Ha dovuto perdere di nuovo molto peso, come era successo per Civiltà perduta. «La differenza è che allora mi sentivo in forma, qui invece ero molto giù. Per dimagrire di 18 chili in 10 settimane ho dovuto essere molto duro con me stesso, e per due giorni sono stato brutale, sul set».

Nella vita normale come si mantiene con i piedi per terra, considerato il lavoro che fa? «Cerco di rimanere il più presente possibile, e ci sono scorciatoie che mi aiutano. Se viviamo una vita sedentaria la chimica non funziona e diventiamo tristi. Per me l’esercizio fisico è molto importante, a Los Angeles corro e faccio escursionismo sulle montagne del Runyon Canyon, non è il posto più bello che conosca ma è proprio fuori dalla porta di casa».

Prima parlava di tristezza, ultimamente parecchi personaggi famosi, dallo chef Bourdain alla stilista Kate Spade, si sono tolte la vita, lei che idea si è fatto di queste drammatiche vicende? «Non posso entrare in vicende personali, né voglio banalizzare, ma ho letto che l’America ha un depresso su cinque e che il tasso di suicidi è cresciuto del 25 per cento dal 1999. Sono sicuro che se chi prende antidepressivi mangiasse anche bene e facesse esercizio fisico regolare starebbe molto meglio a livello di umore. Perché quando non utilizziamo le meccaniche di base con cui siamo progettati andiamo contro natura, mentre quando usi i muscoli senti subito le endorfine, che ti danno un senso di stabilità emotiva».

(Continua…)

Intervista pubblicata su Grazia del 21 giugno 2018.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Charlie Hunnam: «Per sfidare la natura ci vuole un selvaggio».

23 venerdì Giu 2017

Posted by cristianaallievi in cinema, Personaggi, Riflessione del momento

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Charlie Hunnam, cinema, Civiltà perduta, Cristiana Allievi, James Gray, Los Angeles, natura, Percy Fawcett, vita selvaggia

È STATO RE ARTU’, ADESSO E’ ESPLORATORE ALLE PRESE CON UNA MISSIONE IMPOSSIBILE. MA CHARLIE HUNNAM NON HA PAURA NE’ DI COMBATTERE NE’ DI TUFFARSI NEI FIUMI GELATI. PERCHE’, COME AMMETTE LUI STESSO, NON E’ PROPRIO FATTO PER LA VITA COMODA

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Charlie Hunnam, attore inglese, 37 anni (courtesy theritualistic.com)

Ha la barba incolta e gli occhi blu. Indossa una camicia azzurra e i jeans, e capisco al volo che non se la tira, Charlie Hunnam. Mi racconta che a 17 anni lo hanno notato durante un’improvvisazione in un negozio di scarpe, inscenata allo scopo di scegliere un regalo per uno dei suoi tre fratelli. È così che il nipote della prima ritrattista del Newcastle è finito in uno show televisivo, e poco dopo su un volo con destinazione Los Angeles. Vet’anni dopo ha già lavorato con registi importanti come Guillermo del Toro, Anthony Minghella e Alfonso Cuaron e parte di questo successo lo deve al motociclista molto sporco e molto grunge Jax Teller della serie tv Sons of anarchy. Ora è nelle sale come protagonista del pirotecnico King Arthur- Il potere della spada di Guy Ritchie e nei panni dell’altra icona inglese, Percy Fawcett, in Civiltà perduta, scritto e diretto da James Gray. Il film molto applaudito all’ultima Berlinale è basato sul bestseller di David Grann che racconta la vera storia dell’esploratore inglese che all’alba del ventesimo secolo ha scoperto una civiltà precedente, sconosciuta e avanzata, nel cuore dell’Amazzonia. Un vero maschio solitario che ha avuto tutto il supporto della moglie e del suo aiutante sul campo, interpretati nel film da Sienna Miller e da un ottimo Robert Pattinson.

Grazie agli ultimi due ruoli, quello di re Artù e dell’esploratore inglese, ha passato molto tempo nella natura selvaggia, le è piaicuto? «Vivo a Los Angeles ma sono cresciuto ai confini tra l’inghilterra e la Scozia, la natura mi ha sempre reso più felice. Soprattutto allontanarmi dagli aspetti superficiali della vita sociale e dalla pressione che c’è nello stare costantemente immersi tra gli esseri umani!».

E cosa fa quando sta in mezzo alla natura? «Cammino in montagna, faccio bagni nel fiume, cucino sul fuoco. E cambio ritmi, specie se è autunno avanzato o inverno. Lì ti svegli e fa freddo, devi prima accendere il fuoco, scaldarti, poi ti viene fame e devi iniziare a cucinare. A quel punto pensi a lavarti, così vai a cercare il fiume ed è gelato… C’è un’immediatezza nel vivere che rende tutto più naturale, semplice, e soprattutto ti allontana dalla nevrosi della vita sofisticata».

Lei ormai è un uomo di Hollywood, come mantiene questo equilibrio? «Facendo esercizio fisico, se viviamo una vita sedentaria la chimica non funziona, si diventa tristi! Quando produci endorfine ti senti bene, regala le stesse sensazioni che si provano stando in natura, senti una stabilità emotiva».

E del grande mondo là fuori, che cosa pensa? «Fra Trump, la Brexit e le elezioni francesi, ultimamente mi sono sentito consumato dalla continua percezione di un’Apocalisse in arrivo. In realtà gli ultimi vent’anni sono sempre stati così, tra i cambiamenti climatici e i modelli economici americani non c’è niente di nuovo, se non che la gente non crede più nei politici. Viviamo in un casino, credo che nei prossimi anni assisteremo a grandi e necessari cambiamenti».

Ha declinato 50 sfumature di grigio per lealtà verso un altro regista a cui aveva dato prima la parola: si è mai pentito della scelta? «Non ci ho più ripensato. Sono arrivato a un punto della carriera in cui il mio nome fa la differenza, quindi mi offrono un sacco di film. Il paradosso è che tutta questa scelta mi crea molta insicurezza e dubbi, e prendere decisioni per me è un incubo, ci metto molto tempo. Per questo una volta che decido non mi volto più indietro».

Com’è stato lavorare con Guy Ritchie a King Arthur- Il potere della spada? «Mi sono molto divertito, ha mescolato tra figure storiche e mi ha trsformato mell’archetipo di eroe. Guy è un tornado, non avevo mai lavorato come fa lui. Io sono molto lungo nella preparazione, lui fa funzionare tutto sul set, nel momento. Prende decisioni in tempo reale, le cambia in continuazione e funziona. È un modo di procedere molto sfidante».

 

Invece diventare un uomo realmente esistito, come Percy Fawcett, è più facile? «No, direi solo che è un modo diverso di procedere. Ho visitato la Royal Geographical Society, dove sono successe realmente cose importanti che il film mostra, e ho letto tutte le lettere che Percy ha scritto alla moglie Nina. Ho voluto anche indossare l’esatta replica dell’anello che indossava lui. Mi dicono che a volte esagero con i dettagli, ma questo era importante: Fawcett lo indossava quando è scomparso e molti anni dopo il suo anello è apparso in un negozio di pegni, una cosa che infittisce il mistero sulla fine della sua vita».

 

In Civiltà perduta ha una relazione particolare con suo figlio, nella vita reale vuole diventare padre? «È un istinto primario, fa parte del nostro essere animali. Ma non ho nutrito abbastanza la mia vita personale, sono stato in una specie di centrifuga di film, prima devo ribilanciare tutto. Perché se avrò figli voglio essere presente davvero nella loro vita, e dovrò imparare a bilanciare carriera e famiglia. Spero non sia troppo difficile».

L’ossessione di Fawcett è l’Amazzonia, la sua? «Negli ultimi tempi sono stato insoddisfatto dei film girati, non li sentivo all’altezza di ciò che volevo fare e non vedevo l’ora di rompere il circolo vizioso. In pratica volevo dimostrare a me stesso a che livello potevo arrivare dando tutto, e credo di esserci finalmente riuscito».

Intervista pubblicata su Grazia del 21/6/2017

© Riproduzione riservata 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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