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Cristiana Allievi

~ Interviste illuminanti

Cristiana Allievi

Archivi Mensili: Maggio 2024

Juliette Binoche, «Mangio, prego, amo»

10 venerdì Mag 2024

Posted by Cristiana Allievi in Attulità, Cannes, cinema, Letteratura

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Tag

Attrici, Benoit Magimel, cibo, Il gusto delle cose, interviste illuminanti, Juliette Binoche, preghiera, red carpet, tradizione, Tran Anh Hung

di Cristiana Allievi

Si muove agilmente tra i fornelli. Il vapore la affatica, andare in giardino a raccogliere le verdure migliori per il suo pot-au-feu la fa sudare. Ma non perde mai la grazia, e quando si cambia entra in salotto da regina: siede a tavola e si fa servire da un uomo che pende dalle sue labbra, in fatto di osservazioni culinarie e non solo.  La  Juliette Binoche di Il gusto delle cose è una luminosa e schiva cuoca dell’Ottocento che lavora da vent’anni per il famoso chef Dodin. Insieme i due creano piatti dai sapori sublimi, riuscendo a stupire nobili e altri illustri gourmant. Binoche ha appena compiuto 60 anni, e se si pensa che è stata anche Coco Chanel in una serie tv, possiamo dire che il 2024 abbia trasformato il premio Oscar in un’icona di cibo e moda, i simboli della cultura francese nel mondo. Nel film di Tran Anh Hung, in Concorso all’ultimo Festival di Cannes, recita accanto all’ex Benoit Magimel, padre di sua figlia, fatto che non succedeva da vent’anni. La loro intimità naturale è senza dubbio il cuore della storia che vedremo al cinema dal 9 maggio.

Come descriverebbe il suo personaggio, Eugenie? «È una donna che vive dando tutta se stessa.I suoi genitori sono morti molto giovani, e questa è la parte oscura della sua vita, il motivo per cui si da tanto agli altri. È il suo modo di resistere, di allontanare la tragedia potenziale della morte».

L’idea del film è quella di trasmettere sapori e ricette da una generazione a un’altra: sua madre le ha insegnato a cucinare? «Mi ha dato molte indicazioni. Per esempio quando ero una giovane attrice e vivevo di pasta, ero molto fiera di saper cucinare la besciamella, per me era già alta cucina! In generale mia madre mi ha insegnato la cura per i prodotti, andava a sceglierli già biologici, e parliamo degli anni Settanta».

Cosa le piace cucinare? «Da ragazza preparavo solo dolci, perché mia madre non li cucinava mai. Crescendo mi sono spostata verso il salato, ho rubato ricette anche dalle nonne e dagli amici».

È tornata sul set con il suo ex, Benoit Magimel, dopo vent’anni, com’ è  successo? «Ero impegnata con questo film già da un anno e mezzo, ma c’era un altro attore che ha lasciato il film, poi ne è arrivato un altro ancora, era un incubo… Finché Gaumont non ha pensato a Benoit, e lui ha accettato subito».

Come è stata l’esperienza? Sembrate molto affiatati… «All’inizio è stato molto complicato, alle prove mi sono detta “sarà dura…”. All’inizio del film Eugenie è la cuoca, ma Benoit voleva cucinare più di me. Quando ho fatto questa osservazione al regista, l’ha ripetuta a Benoit che si è arrabbiato. Poi ha capito, e le cose sono cambiate».

Come definirebbe questa esperienza con lui? «Liberatoria. Abbiamo avuto modo di stare uno alla presenza dell’altro, di fluire senza i blocchi emotivi di una volta. È stato bellissimo».

(continua…)

Intervista pubblicata su Donna Moderna del 9 maggio

@Riproduzione riservata

Viginie Efira, Le mille sfumature di una donna

06 lunedì Mag 2024

Posted by Cristiana Allievi in arte, Attulità, Cannes, cinema, Cultura

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Tag

attualità, cinema frnacese, Cristiana Allievi, figli, Il coraggio di Blanche, interviste illuminanti, madri, mariti, matrimonio, Niente da perdere, Valerie Donzelli, violenza, Virginie Efira

di Cristiana Allievi

«Ogni cosa, se osservata per abbastanza tempo, diventa interessante». La citazione di Gustave Flaubert sembra spiegare alla perfezione le scelte di Virginie Efira, attrice capace di gestire con grazia ruoli trasgressivi come quello di una suora italiana lesbica e ricca di fantasie erotiche, vissuta nel diciassettesimo secolo e poi accusata di blasfemia: la Carlini che ha incarnato in Benedetta. E proprio il regista del film, Paul Verhoeven, è stato colui che anni prima l’aveva trasformata da mattatrice della tv belga in una delle attrici più quotate Oltralpe, grazie a Elle (premio Cesar e miglior film straniero ai Golden Globe) e al ruolo di moglie dell’uomo sessualmente soddisfatto da Isabelle Huppert. Maggio è il mese della consacrazione di Efira grazie a due film in uscita: dal 2 è al cinema con Il coraggio di Blanche (Movies Inspired), film in Concorso a Cannes nel 2023. Tratto dal romanzo di Éric Reinhardt L’amore e le foreste (Salani), il lungometraggio di Valerie Donzelli è una storia di violenza domestica e psicologica, un viaggio nella mente di una donna che pensa di aver trovato l’uomo perfetto (l’ottimo Melvil Poupaud, che vedremo presto nei panni di un candidato alle presidenziali francesi nel film sul libro scritto da un ex primo ministro di Macron). Blanche lascia la sua famiglia e la sorella gemella con il sogno di farsi una nuova vita ma pian piano, e a fatica, realizzerà di avere accanto un uomo pericoloso che sta cercando di chiuderla progressivamente in una prigione. L’interpretazione di Efira è fisica, toccante e magnifica, e rende bene anche i rischi dell’immaginario in questo viaggio che è una specie di contraltare di Inferno di Chabrol, in cui il punto di vista della gelosia era quello maschile.
Dal 16 maggio sarà poi nelle sale anche Niente da perdere (Wanted cinema) un’altra storia di grande impatto emotivo in cui Efira si fa dirigere da una regista al primo lungometraggio, Delphine Deloget, per affrontare il dramma sociale della protezione dei bambini e l’ostilità di un sistema ottuso. Sylvie è una madre single di due figli difficili, una notte mentre è a lavorare e loro sono a casa da soli il piccolo ha un incidente domestico. In seguito a una denuncia, il bambino viene mandato in un istituto. Per Sylvie è l’inizio di un incubo che la rende instabile: combatterà con le forze che ha una lunga e dura battaglia amministrativa e legale per riportare a casa suo figlio e dimostrare la sua capacità di madre al mondo intero.

(continua…)

Intervista per Sette Corriere della Sera

@Riproduzione riservata

Wim Wenders, Il cielo sopra Tokio

02 giovedì Mag 2024

Posted by Cristiana Allievi in arte, Attulità, Cannes, cinema, Cultura, giornalismo

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Tag

Anselm, Anselm Kiefer, artisti, interviste illuminanti, Miti, Oggi settimanale, Perfect Days, pittori, registi, Wim Wenders

Dopo Perfect days, «girato in 16 giorni» e accolto da un successo di critica e pubblico, sta per uscire il suo documentario su Anselm Kiefer, artista «che si ribella all’idea di dimenticare». Qui Wim Wenders spiega che cosa teme: «ll nazionalismo, parente del razzismo»

di Cristiana Allievi

Nell’ultimo anno ha viaggiato in tutto il mondo  con due film. Se si pensa che Wim Wenders, regista, produttore e sceneggiatore di Dusseldorf, ha 78 anni,  e potrebbe finire col vincere un Oscar, si intuisce che ci troviamo davanti a un fatto eccezionale. Ma facciamo ordine. Wenders stava lavorando ad Anselm, un mastodontico documentario sulla vita del pittore e scultore tedesco Anselm Kiefer. Non faceva un giorno di vacanza dal 2019, ed era ancora nel mezzo dell’opera, quando ha ricevuto un invito in Giappone per andare a vedere le nuove toelette pubbliche di Tokio disegnate da 20 firme dell’architettura  giapponese. Nonostante le sue iniziali resistenze, da quella visita è nato un gioiello come Pefect Days (che corre agli Oscar come film giapponese). È la storia di Hirayama (l’ottimo Koji Yakusho, Miglior attore all’ultimo festival di Cannes), un uomo che vive in una piccola casa circondato dalle piante e ha per passione i libri, la musica e la fotografia. È addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokio, si reca al lavoro con il suo minivan, e ciò che fa rivela a poco a poco il suo passato. Wenders ci ha messo solo 16 giorni a terminare le riprese, poi è tornato a Berlino a per terminare Anselm, che finalmente vedremo al cinema dall’1 maggio. Baffetti nuovi, soliti occhiali tondi e toni pacati e gentili, la conversazione che si legge qui sotto è stata fatta in due tempi, fra la Francia e la Svizzera.  

Gli ultimi quattro anni sono stai intensissimi per lei. Non bastasse la fatica  della lavorazione di due film, si è aggiunta la campagna in tutti i festival del mondo in cui ha accompagnato i suoi lavori. Come regge un ritmo simile? «Più invecchio meno le rispondo che è stato facile, sono al limite (ride, ndr)! A Cannes è stato magnifico, perché un film era all’inizio e l’altro alla fine, ma ho capito che due film  da promuove insieme sono davvero troppo».

Il prossimo che vedremo dall’1 maggio è Anselm e racconta un gigante di cui l’Hangar Bicocca di Milano ha la fortuna di conservare un’opera mastodontica come I sette palazzi celesti. «Ci ho lavorato dal 2019 al 2022 e la lavorazione del documentario è stata molto complessa, abbiamo girato sette volte in due anni e mezzo. Inoltre  il lavoro di editing è molto più lungo di quello di un lungometraggio».

Kiefer è un artista “duro” ma lei riesce a renderlo poetico, come se lo spiega? «In realtà Anselm ha lavorato moltissimo con la poesia, non c’è un’opera in cui non abbia usato parole di poesia come complemento. Tutti i suoi dipinti sono fatti con quell’ispirazione, e molte frasi dei suoi poeti preferiti sono suoi alleati, non potevo tralasciare questo aspetto nel mio documentario».

Però l’immagine che se ne ha è quella di un artista  durissimo con la sua arte: la brucia, la distrugge… «Kiefer si ribella all’idea di dimenticare, alle scorciatoie: lui espone la storia e le molte cose brutte che gli uomini si sono fatti gli uni con gli altri. Però capisco quello che dice, io ho voluto coglierne l’aspetto più dolce».

Perché un documentario su di questo artista proprio in questo momento? «Sento che il suo lavoro è molto contemporaneo. C’è la presenza della guerra, del crimine in generale e di un crimine contro la natura. Il terreno dei suoi paesaggi è come un deserto che non vede più acqua da tempo, e vista la situazione del pianeta in questo momento le sue “terre morte” sono più che contemporanee».

Cosa pensa del coinvolgimento di un artista in fatti politici, penso ad esempio ad Agniesza Holland e al suo Green Border presentato alla Mostra di Venezia (Premio speciale della giuria). «Stiamo assistendo a un ritorno di nazionalismo a tutti i livelli, e questo è il passato orrendo dell’Europa. Ogni guerra, e ce ne sono tantissime in Europa, è causata dal nazionalismo, viene sempre da un “non vogliamo questo, uccidiamolo…”. Il nazionalismo tira fuori il peggio della natura umana, è alleato del razzismo. Prima in America, adesso in Europa, la brutta faccia del nazionalismo è sempre una manipolazione dell’arte, che con la violenza vorrebbero glorificasse i dominatori… Quindi il nazionalismo è nemico dell’arte ed è nemico nostro, soprattutto è nemico delle donne, è “history”».

(continua…)

Intervista pubblicata su Oggi settimanale

@Riproduzione riservata

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