La festa per il settantesimo compleanno del festival di cinema più importante del mondo è iniziata sotto un sole insolitamente caldo ma la fredda accoglienza di Les Fantomes D’Ismael, di Arnaud Desplechin, che ha fatto da apripista. Degno di nota nella giornata inziale è stato invece il film passato fuori concorso che segna l’esordio alla regia di Vanessa Redgrave, Sea Sorrow.
74 minuti di documentario sulla crisi dei rifugiati (tema che quest’anno tornerà, per esempio in Happy End di Michael Haneke) di cui il figlio della Redgrave, Carlo Nero, è produttore, che colpiscono al cuore per la loro sincerità e coraggio. Siamo lontani dall’estetica che regala un effetto raggelante din Fuocoammare di Rosi, ma la semplicità della regia di questa attrice veterana e attivista politica, che si mette in prima persona davanti alla camera e dialoga con gli spettatori, parlando di sua figlia e mostrandone i disegni, è da vedere più come forza del film, che come limite.
Si parte con interviste a due uomini con due occhi scuri che trafiggono, uno arrivato dall’Afganistan e l’altro dalla Guinea. Entrambi raccontano nei dettagli il loro viaggio da incubo fino in Italia. L’attrice ottantenne parla poi della Dichiarazione universale dei Diritti umani, prima di spostarsi su immagini durissime: la telecamera puntano un barcone e quello che succede tra le urla di chi implora di essere raccolto e trasportato in un’altra vita. Il focus si sposta sui bambini e sulle loro madri, con un reportage molto forte dal caotico “Jungle camp” a Calais, in cui vengono letteralmente abbandonati a se stessi, senza alcuna assistenza. Una battuta dell’attrice inglese riassume la situazione: “mi sento tornata a Riccardo III, è terrificante quello che ho visto”.

L’attrice e regista Vanessa Redgrave, 80 anni.
A questo punto il film inizia un ping pong tra passato e presente in cui vari personaggi raccontano la loro esperienza di “rifugiati”, rafforzata da riflessione sull’importanza dei diritti umani. La Redgrave racconta la propria storia personale di bambina evacuata da Londra, durante la seconda guerra mondiale, per scappare alle bombe tedesche. Più avanti negli anni, quella di volontaria per aiutare gli ungheresi scappati dagli orrori sovietici. Un modo per continuare a sottolineare che quello dei rifugiati è un probelma antico. Subito dopo c’è Alf Dubs, un politico britannico molto attivo nella Camera di Lord che da tempo ispira molti a occuparsi di aiutare i bambini, lui che a sua volta è fuggito dall’occupazione nazista. Anche Ralph Fiennes, Emma Thompson e Simon Coates danno il loro contributo con scene uniche per i rifugiati, Fiennes è impegnato anche in una scena da La tempesta di Shakespeare, nella parte di Prospero.
Un ulteriore tocco al lavoro lo da la testimonianza di Martin Sherman, drammaturgo, a cui spetta il compito di sottolineare argutamente lo stato di shock in cui si trovano le migliaia di persone che scappano dalle bombe della Siria, dell’Afganistan o dell’Africa per affrontano un viaggio terribile. È l’adreanlina a guidarli attraverso un incubo, ma li sostiene solo fino al momento in cui si fermano: da lì in avanti si ritrovano in un campo profughi, con il mondo che gli crolla addosso e lo shock che sale nel corpo.
Insomma, è una materia talmente significativa quella che la Redgrave propone in Sea Sorrow, da farsi perdonare qualche ingenuità di regia.
Pubblicato su GQITALIA.it
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