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~ Interviste illuminanti

Cristiana Allievi

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Le vittime segrete dei droni, raccontate da Sonia Kennebeck

09 mercoledì Mar 2016

Posted by cristianaallievi in cinema, Cultura, Festival di Berlino

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Cristiana Allievi, droni, Edward Snowden, Isis, Jesselyn Radack, National Bird, Obama, Renzi, Sigonella, Sonia Kennebeck, Wim Wenders

GLI AEREI AMERICANI TELECOMANDATI, E IMPIEGATI CONTRO L’ISIS, PARTIRANNO ANCHE DALLE BASI ITALIANE. MA QUESTA GUERRA A DISTANZA, OLTRE A COLPIRE ANCHE I CIVILI, HA CONSEGUENZE SULLA SALUTE DI CHI PILOTA. NE PARLA LA GIORNALISTA INVESTIGATIVA USA CHE LO HA MOSTRATO NEL DOCU-FILM NATIONAL BIRD

È stato il Wall Street Journal a informarci dei fatti: l’Italia ha dato il via libera a Obama sull’utilizzo della base siciliana di Sigonella per le missioni contro l’Isis dei droni Usa, gli aerei senza pilota. Lo stesso giornale fa sapere anche che il presidente americano sta tentando di strappare all’Italia l’autorizzazione a portare avanti operazioni offensive, oltre a quelle a scopo difensivo.

I droni, che vengono comandati da una base distante centinaia di chilometri dalla zona di intervento, sono un nuovo modo di fare la guerra di cui però l’opinione pubblica sa poco, perché le informazioni che la riguardano sono top secret. Ma la giornalista investigativa Usa Sonia Kennebeck ha lavorato tre anni con l’obiettivo di mostrate, per la prima volta, gli effetti su chi ne è coinvolto. Lo ha fatto con National Bird, il docufilm che ha appena presentato al festival del cinema di Berlino, prodotto da Wim Wenders.

Sonia_Kennebeck.jpg«Volevo che a parlare fossero direttamente giovani donne e uomini arruolati nelle zone più remote dell’America come militari per i programmi di droni. Heather, 20 anni, è un’analista di immagini il cui compito era confermare se i potenziali obiettivi erano reali. Lisa si è scoperta abilissima con i computer ed è diventata responsabile di una base, e Darrell è un’intelligenza operativa che ha rivelato aspetti sconcertanti del programma», spiega la regista. Sotto consiglio di Wender, i primi soldi racimolati per produrlo sono andati all’avocato scelto per tutelare le fonti, Jesselyn Radack, ex consulente etico del dipartimento di Giustizia americano, che oggi lavora difendendo gli informatori (Edward Snowden è un suo cliente).

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«I piloti di droni entrano in territori di guerra, uccidono vite umane, tutto restando al sicuro, poi tornano a casa e cenano con i loro figli, come niente fosse. Per molti i disagi iniziano come crisi di pianto incontrollabili, poi per qualcuno le cose peggiorano. A Heather è stato diagnosticato un disordine da stress post traumatico, termine originariamente associato ai sopravvissuti del Vietnam. Ma tre colleghi nella sua stessa base si sono suicidati, altri sono caduti in depressione o sono diventati alcolizzati. Gli studi parlano di ferite psicologiche della guerra, ferite morali: la mente umana non regge certi tipi di dubbi, e queste persone non sanno se colpiscono obiettivi militari o semplici civili». Nel 2010 sono stati uccisi 23 civili in preghiera, in Afganistan, è non si tratta di un errore isolato. Sono trapelati dati militari da cui si è scoperto che in alcune operazioni il 90% delle vittime non erano gli obiettivi prestabiliti. Eppure ancora mancano i trattamenti psichiatrici per chi guida i droni, perché non c’è ancora la competenza necessaria. «Finchè questa guerra resta segreta, le persone non possono essere aiutate come dovrebbero», commenta la regista.

 Pubblicato su Grazia del 9 marzo 2016

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

La cyberguerra di Zero Days, raccontata da Alex Gibney

02 mercoledì Mar 2016

Posted by cristianaallievi in cinema, Cultura

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Tag

Alex Gibney, Berlinale 2016, Bush, Cristiana Allievi, cyberguerra, Iran, Israele, nucleare, Obama, Stuxnet, Symantec, virus, Zero Days

Il docufilm presentato a Berlino dal documentarista americano svela retroscena inquietanti sul virus in grado di bloccare il programma atomico iraniano. Lo ha raccontato Gibney con un film in concorso che ha stupito

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Il regista Usa Alex Gibney, premio Oscar per Taxi to the dark side (courtesy of Hollywoodreporter.com)

«È stato chiaro da subito che non si trattava solo di un virus pericoloso rilasciato nel mondo, ma all’inizio nessuno voleva parlare. Dopo essermi sentito dire una serie di “no comment”, da amici che avevano lavorato alla Cia, mi sono immaginato di raccontare gli eventi come se fossero parte di una detective story, per questo ho cercato un detective vero. Poi, lungo il percorso, altri si sono rivelati ansiosi di parlare…». A cedere ad Alex Gibney, uno dei più prolifici e attendibili documentaristi d’America, sono stati nientemeno che Richard Clarke, consigliere dell’antiterrorismo di tre presidenti Usa (dal 1992 al 2003), il generale Michael Hayden direttore della NSA (dal 1999 al 2005) e della CIA (dal 2006 al 2009), e una sfilza di personaggi tra cui detective, analisti e attori resi irriconoscibili grazie a sofisticate elaborazioni grafiche, a cui sono state fatte pronunciare le parole più impronunciabili.

«Sono partito con l’idea di raccontare la storia di Stuxnet, il virus programmato per sabotare le centrifughe di uranio nella centrale nucleare di Natanz, in Iran, facendole esplodere. Nessuno, in teoria, si sarebbe dovuto accorgere che l’operazione era frutto di hackeraggio. Ma a causa di un errore di programmazione, il virus si è diffuso più estesamente, andando a colpire le aziende da cui provenivano le attrezzature per il programma atomico iraniano, in altre nazioni». Avrebbe voluto raccontare questo Gibney nel suo docu film Zero Days, proiettato in concorso all’ultimo Festival di Berlino. Ma strada facendo lui e il suo team di esperti si sono accorti delle conseguenze impreviste di portata planetaria di questa “risposta” all’espansione nucleare dell’Iran. «La dimensione internazionale, l’aspetto del thriller e il fatto che non si trattava solo di problemi “tecnici”, ci hanno spinto ad andare a Mosca, poi in Israele». Anche lo spettatore meno esperto di virus, hackeraggi e nucleare resterà inchiodato alla sedia per 116 minuti capendo che quelle che scorrono sullo schermo sono le immagini di una cyber guerra di cui fino a oggi eravamo all’oscuro. Un conflitto senza regole perchè tenuto top secret dalle amministrazioni Bush e Obama, che hanno minacciato di perseguitare chiunque aprisse bocca con i media in merito alla verità sulle scelte offensive della loro politica. «Avevo amici dell’amministrazione Obama che non mi hanno lasciato dichiarazioni, nemmeno riservate: erano terrorizzati», racconta il regista premio Oscar per Taxi to the Dark Side.

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Un’immagine di Zero Days, ultimo lavoro di Gibney, in concorso alla Berlinale 2016

Stuxnet è stato scoperto a metà del 2010 da Sergey Ulasen, un esperto di antivirus in Bielorussia, chiamato dagli iraniani preoccupati per i misteriosi eventi accaduti alle loro centrali. «Gli analisti di Symantec (azienda Usa nata per salvaguardare la sicurezza dei computer dagli attacchi informatici, ndr) hanno  lavorato a decodificare il malware e studiato come funziona il “verme”. Stuxnet può trasformare selettivamente macchine Siemens PLC, utilizzate per regolare motori, pompe e altri dispositivi di infrastrutture, facendole agire contro se stesse». Non solo Gibney e il suo team hanno verificato che dietro l’operazione c’erano Israele e gli Stati Uniti, con CIA e NSA, ma lavorando hanno capito che esisteva un programma più vasto: l’operazione Nitro Zeus, che è una vera cyber guerra in corso qui e ora. «L’estremo pericolo è rappresentato dal fatto che si tratta di virus che non sono attribuibili, perché non si sa da dove arrivino: gli iraniani per anni non sapevano che Stuxnet stava bloccando le loro centrali nucleari», continua Gibney. «Sappiamo dagli esperti che negli ultimi due anni il numero di attacchi programmati e di virus è cresciuto incredibilmente, e sappiamo anche che Stuxnet è disponibile per tutti, quindi è un pericolo: tutti possono potenzialmente studiarlo e riapplicare il bersaglio ovunque c’è un’infrastruttura». Mentre ci siamo distratti, l’America ha cambiato le regole del gioco e ci troviamo a dover fare i conti con questa nuova cyberwar. Zero Days suggerisce che il mondo ha poco tempo per chiarire la sua posizione, prima che la parte sbagliata si spinga oltre. Uno spiraglio di speranza Gibney lo lascia. «I tecnici di Symantec sono riusciti a penetrare un sistema teoricamente impenetrabile, ed è un fatto importante. Oggi c’è un’altra grande battaglia, quella tra la Apple e l’America, che vorrebbe controllare i computer di tutti con la giustificazione di individuare i criminali che li usano. La casa di computer si è opposta, ed è un altro fatto che mostra che non esiste un super potere a cui non si può dire di no: si può rispondere con lo stesso tono e ottenere risultati. Ho fiducia nel fatto che se le persone si focalizzano sui pericoli sanno trovare soluzioni. E il più grande pericolo è quando le cose restano segrete, e nessuno ne parla».

Articolo pubblicato su Panorama il 29 febbraio 2016

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

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