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È LUI IL GIOVANE THE DONALD IN THE APPRENTICE: IL SUO NARCISISMO È L’EFFETTO DI UN PASSATO IN CUI SI È SENTITO IMPOTENTE. PER REAGIRE SI È RIPROMESSO CHE NON SARA’ MAI PIU’ iN UNA POSIZIONE DI INFERIORITA’
di Cristiana Allievi

L’attore Sebastian Stan sul green carpet del Zurigo Film Festival, dove ha presentato The apprentice– Alle origini di Trump, il film in cui interpreta l’ex presidente Usa diretto dal regista Ali Abbasi.
Quando ha raccontato alla madre che il suo prossimo ruolo al cinema sarebbe stato quello dell’ex presidente Trump, lei era felice perché il figlio si sarebbe dovuto radere. Diversa la reazione a Hollywood: quando ha chiesto un parere a publicist e ceo, gli hanno sconsigliato di accettare quel ruolo. Essendo però il super soldato della Marvel Bucky Barnes, Sebastian Stan (un astro del cinema d’autore, lo si capirà quando vedremo in Italia A different man) non si è spaventato. Si è affidato al talentuoso regista iraniano naturalizzato danese Ali Abbasi, e insieme hanno costruito il protagonista di The apprentice – Alle origini di Trump. Un film la cui genesi è durata sei anni perché le istituzioni di Hollywood non volevano finanziarlo, e che dall’anteprima mondiale a Cannes in avanti ha ricevuto minacce di denunce da parte dello stesso Trump, che pochi giorni fa lo ha dichiarato “un lavoro d’accetta politicamente disgustoso”. Abbiamo incontrato Sebastian Stan qualche giorno fa al Festival di Zurigo. È stato capace di restituirci un Trump meno conosciuto di quello che domina la comunicazione e spara sui social. Già diretto da grandi del cinema, da Ridley Scott a Steven Soderbergh, l’attore eccelle nella figura di un Trump ventenne nella Manhattan degli anni 70, che ha frequentato la scuola militare ed è determinato a uscire dall’ombra del potente e anaffettivo padre, facendosi un nome nel settore immobiliare. Ma le sue ambizioni sono superiori alle sue capacità, e gli serve l’aiuto di Roy Cohn (Jeremy Strong), un avvocato faccendiere che assomiglia a un demonio. La loro relazione è la chiave per comprendere il Trump che cresce imparando le regole che lo hanno reso famoso: l’inganno, l’intimidazione e la manipolazione mediatica. The apprentice è un invito a spostarci su un terreno di confronto più profondo dell’odi et amo che va per la maggiore, perché il giovane Trump, se ben compreso nelle sue dinamiche, spiega l’uomo di oggi, colui che con la sua reazione al film ha ribadito la prima lezione impartitagli da Cohn: “Negare, negare, negare”.
Lei ci restituisce un Trump che assume anfetamine, si sottopone a liposuzione e riceve un trapianto di capelli. Una versione in un certo senso “umanizzata” è un pregio o un difetto del film? «Ho pensato molto a questo aspetto. Credo che non ci si debba fermare alla riflessione che suscita, cioè che gli esseri umani hanno dei difetti. Se cresci insicuro e castrato da tuo padre quello è sicuramente un difetto, e da spettatore non basta osservare “provo un po’ di empatia per lui e la cosa mi sorprende…”. Occorre chiedersi “come farà, una persona così compromessa, a prendere in futuro decisioni che riguardano milioni di persone?”».
Per mesi molti si sono chiesti se avreste influenzato le elezioni, con il film. «Non è mai stato quello l’intento, anche perché per anni il progetto non ha trovato finanziamenti».
Ma crede che possa spingere più persone ad andare a votare il 5 novembre? «Credo che viverlo con il proprio istinto, con le viscere, abbia un forte valore in sé. Si tratta di guardare questa persona, e le altre persone coinvolte nella storia, chiedendosi: “Mi fido di questo individuo?”, “Di cosa è davvero capace?”».
Potremmo anche definire The apprentice come la genesi di un mostro agghiacciante? «È la quintessenza di un personaggio americano. Se il signor Trump fosse stato un costruttore di successo in Germania, con una moglie che veniva dall’Europa dell’est, sarebbe una di quelle cinque persone che prova a mettersi in politica e forse fallisce, forse no. Ma nel darwinismo sociale americano tutto diventa un fenomeno diverso».
Non ha avuto paura delle ripercussioni del suo ruolo? «Trump si vanta di essere il leader di un mondo libero, mi chiedo se si può aver paura di un film come questo dopo che per anni ne abbiamo visti su personaggi ancora più controversi. Avere paura va contro quello che è il nostro lavoro di creativi, che è cercare di riflettere il più sinceramente possibile l’epoca in cui viviamo».
(continua…)
Intervista integrale pubblicata su 7 Corriere della Sera del 25 ottobre 2024
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