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Cosa ha da raccontarci e quali dubbi apre oggi la vicenda che negli Anni Ottanta ha interrotto la corsa alla presidenza USA del candidato democratico Gary Hart

L’attore australiano Hugh Jackman sul set di The front Runner (courtesy Just Jared).
“Gary Hart ha la pettinatura giusta. È un bell’uomo e ha un dono: spiega la politica in un modo che tutti riescono a comprendere”. Vox populi, vox dei. Siamo nel 1987, in piena campagna presidenziale per gli Stati Uniti. Fra i democratici emerge un vero fuoriclasse, un uomo che ha idee nuove e le carte giuste per realizzarle. E che, tra una frittura di hamburger e una gara di tiro con l’ascia, fa capire quanto gli stiano a cuore questioni sociali, scuola, ecologia ed economia. Finché una pausa dalla stressante campagna elettorale lo porta a una festa su uno yacht, il Monkey Business, che tradotto significa “affari sporchi”. Su quell’imbarcazione accade qualcosa che Hart ritiene un affare privato, un errore che gli costerà molto caro.
Questo racconta The front Runner di Jason Reitman, filmone d’apertura del trentaseiesimo Torino Film Festival che porta sul grande schermo il primo caso di scandalo sessuale (mal gestito) che ha cambiato le sorti della politica Usa e che vedremo nelle sale dal 21 febbraio 2019.
The front Runner, la trama
In tre settimane il super favorito passerà dagli altari alle polveri, e la sua vicenda segnerà un’epoca, perché affiancata all’avvento delle nuove tecnologie e, con queste, di un nuovo atteggiamento della stampa.
Hugh Jackman è un convincente Gary Hart, accanto a lui ci sono il premio Oscar J.K. Simmons, Alfred Molina e Vera Farmiga. «Ho scritto questo film insieme a Matt Bai, corrispondente del New York Times che ha coperto cinque elezioni presidenziali, e a Jay Carson, consulente politico ed ex addetto stampa, fra gli altri di Hillary Clinton», racconta Reitman a Torino.
«Quando abbiamo iniziato a lavorare c’era ancora Obama, poi ci sono state le elezioni, e durante le riprese è nato il #MeToo: il mondo è cambiato sotto i piedi di Gary Hart, ma anche sotto i nostri. Durante le anteprime in alcuni festival, poi, ci sono state le elezioni di midterm ed è scoppiato il caso Cavanan, sono state allontanate e licenziate persone scomode all’amministrazione in carica. Le cose continuano a cambiare, basta pensare che quando abbiamo scritto la sceneggiatura pensavamo sarebbe stato un film ironico».
Al centro del film c’è un quotidiano locale, il Miami Herald, che raggiunto da una telefonata anonima che lo informa della relazione extraconiugale del senatore con Donna Rice, una modella conosciuta alla festa sullo yacht, decide in modo un po’ maldestro di cavalcare la faccenda. Complice un fotografo, becca la ragazza che entra nella casa del politico a Washington, e a quel punto la stampa importante, vedi il Washington Post, si trova costretta ad adeguarsi.Il risultato? Hart viene travolto in un polverone che ha al centro la sua vita privata, si rifiuta di cedere al ricatto di parlarne e arriva a ritirarsi dalla politica con un discorso di commiato straziante quanto terrificante, soprattutto nella chiusa: “tremo all’idea del giorno in cui il mio paese avrà il presidente che si merita”.
Il regista di Juno e Tra le nuvole sembra avere una domanda chiara in mente: cosa sarebbe successo se non avessimo dato attenzione a certi fatti e ci fossimo invece concentrati su quello che contava di più?
Breve riassunto di cosa è successo dopo il fattaccio:il Senatore si è ritirato dalla corsa presidenziale, è stato sostituito da Michael Dukakis che a sua volta è stato battuto da George Bush senior, che è andato alla Casa Bianca. Come dire che, senza scandalo erotico, oggi forse avremmo un altro mondo. «Ogni mattina ci svegliamo e sulle app delle news una storia sulle elezioni ha lo stesso peso di quella di Ariana Grande che si lascia con Pete Davidson, l’intrattenimento e il gossip sono allo stesso livello del giornalismo politico, e questo accade perché c’è una domanda dei lettori, vogliono soddisfare queste curiosità.
Sono anch’io un essere umano e non sono immune da certi desideri, come conoscere i retroscena delle vite delle persone celebri. Ma ho presente il diverso peso delle tematiche politiche e sociali. So distinguere».
Non a caso il regista ha deciso di raccontare la storia di un uomo come Hart. «Oggi in Usa abbiamo il presidente più indecente che la storia abbia mai conosciuto. La domanda “qual è il confine della decenza?” non ha nemmeno senso, perché lo fa ogni ora. Il senatore del Colorado aveva tutte le qualità per essere eleggibile, aveva un’intelligenza raffinata se si pensa che verso la fine degli anni Ottanta ha invocato per gli Usa la necessità di smettere di dipendere dal medio Oriente per la fornitura di petrolio, perché avrebbe portato a conflitti con i gruppi terroristici. Era un uomo che promuoveva l’informatica nelle scuole, capendo che l’uso dei computer avrebbe fatto la differenza. Poi, oltre a tutto questo, era un essere umano che ha commesso errori: ma in che modo questi errori sono diventati l’elemento specifico per renderlo inaccettabile sul piano politico?».
Questa è la domanda che Jason Reitman vuole suscitare con 153 minuti di film che fanno venire in mente nomi come Kennedy, o Lyndon Johnson, uomini che nella distinzione tra politico e privato non sono stati “disturbati”, come ricordano i dialoghi fra i giornalisti nelle redazioni. Per mostrare un campione di solidità, il regista non ha avuto dubbi su chi dovesse essere l’uomo che incarnasse un conflitto etico, più che politico: Hugh Wolverine Jackman.
«L’ho avuto in mente da subito. Perché gli assomiglia fisicamente, e poi è una star del cinema con un’etica professionale e un’onestà interiore solidissime. Ti porta sulla soglia di accesso e poi, in modo magistrale, riesce a non farti entrare. Come è giusto che sia, quando si incarna un enigma».
Recensione pubblicata su GQ.it
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