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Cristiana Allievi

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The front Runner, quando uno scandalo sessuale affondò gli USA

29 giovedì Nov 2018

Posted by cristianaallievi in arte, cinema, Cultura, Personaggi, Politica, Torino Film Festival

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Gary Hart, Hugh Jackman, interviste illuminanti, J.K. Simmons, Jason Reitman, media, recensione The front Runner, scandalo sessuale, The front runner - Il vizio del potere, Usa, Vera Farmiga

Cosa ha da raccontarci e quali dubbi apre oggi la vicenda che negli Anni Ottanta ha interrotto la corsa alla presidenza USA del candidato democratico Gary Hart

 

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L’attore australiano Hugh Jackman sul set di The front Runner (courtesy Just Jared).

“Gary Hart ha la pettinatura giusta. È un bell’uomo e ha un dono: spiega la politica in un modo che tutti riescono a comprendere”. Vox populi, vox dei. Siamo nel 1987, in piena campagna presidenziale per gli Stati Uniti. Fra i democratici emerge un vero fuoriclasse, un uomo che ha idee nuove e le carte giuste per realizzarle. E che, tra una frittura di hamburger e una gara di tiro con l’ascia, fa capire quanto gli stiano a cuore questioni sociali, scuola, ecologia ed economia. Finché una pausa dalla stressante campagna elettorale lo porta a una festa su uno yacht, il Monkey Business, che tradotto significa “affari sporchi”. Su quell’imbarcazione accade qualcosa che Hart ritiene un affare privato, un errore che gli costerà molto caro.
Questo racconta The front Runner di Jason Reitman, filmone d’apertura del trentaseiesimo Torino Film Festival che porta sul grande schermo il primo caso di scandalo sessuale (mal gestito) che ha cambiato le sorti della politica Usa e che vedremo nelle sale dal 21 febbraio 2019.

The front Runner, la trama

In tre settimane il super favorito passerà dagli altari alle polveri, e la sua vicenda segnerà un’epoca, perché affiancata all’avvento delle nuove tecnologie e, con queste, di un nuovo atteggiamento della stampa.

Hugh Jackman è un convincente Gary Hart, accanto a lui ci sono il premio Oscar J.K. Simmons, Alfred Molina e Vera Farmiga. «Ho scritto questo film insieme a Matt Bai, corrispondente del New York Times che ha coperto cinque elezioni presidenziali, e a Jay Carson, consulente politico ed ex addetto stampa, fra gli altri di Hillary Clinton», racconta Reitman a Torino.
«Quando abbiamo iniziato a lavorare c’era ancora Obama, poi ci sono state le elezioni, e durante le riprese è nato il #MeToo: il mondo è cambiato sotto i piedi di Gary Hart, ma anche sotto i nostri. Durante le anteprime in alcuni festival, poi, ci sono state le elezioni di midterm ed è scoppiato il caso Cavanan, sono state allontanate e licenziate persone scomode all’amministrazione in carica. Le cose continuano a cambiare, basta pensare che quando abbiamo scritto la sceneggiatura pensavamo sarebbe stato un film ironico».

Al centro del film c’è un quotidiano locale, il Miami Herald, che raggiunto da una telefonata anonima che lo informa della relazione extraconiugale del senatore con Donna Rice, una modella conosciuta alla festa sullo yacht, decide in modo un po’ maldestro di cavalcare la faccenda. Complice un fotografo, becca la ragazza che entra nella casa del politico a Washington, e a quel punto la stampa importante, vedi il Washington Post, si trova costretta ad adeguarsi.Il risultato? Hart viene travolto in un polverone che ha al centro la sua vita privata, si rifiuta di cedere al ricatto di parlarne e arriva a ritirarsi dalla politica con un discorso di commiato straziante quanto terrificante, soprattutto nella chiusa: “tremo all’idea del giorno in cui il mio paese avrà il presidente che si merita”.

Il regista di Juno e Tra le nuvole sembra avere una domanda chiara in mente: cosa sarebbe successo se non avessimo dato attenzione a certi fatti e ci fossimo invece concentrati su quello che contava di più?
Breve riassunto di cosa è successo dopo il fattaccio:il Senatore si è ritirato dalla corsa presidenziale, è stato sostituito da Michael Dukakis che a sua volta è stato battuto da George Bush senior, che è andato alla Casa Bianca. Come dire che, senza scandalo erotico, oggi forse avremmo un altro mondo. «Ogni mattina ci svegliamo e sulle app delle news una storia sulle elezioni ha lo stesso peso di  quella di Ariana Grande che si lascia con Pete Davidson, l’intrattenimento e il gossip sono allo stesso livello del giornalismo politico, e questo accade perché c’è una domanda dei lettori, vogliono soddisfare queste curiosità.
Sono anch’io un essere umano e non sono immune da certi desideri, come conoscere i retroscena delle vite delle persone celebri. Ma ho presente il diverso peso delle tematiche politiche e sociali. So distinguere».
Non a caso il regista ha deciso di raccontare la storia di un uomo come Hart. «Oggi in Usa abbiamo il presidente più indecente che la storia abbia mai conosciuto. La domanda “qual è il confine della decenza?” non ha nemmeno senso, perché lo fa ogni ora. Il senatore del Colorado aveva tutte le qualità per essere eleggibile, aveva un’intelligenza raffinata se si pensa che verso la fine degli anni Ottanta ha invocato per gli Usa la necessità di smettere di dipendere dal medio Oriente per la fornitura di petrolio, perché avrebbe portato a conflitti con i gruppi terroristici. Era un uomo che promuoveva l’informatica nelle scuole, capendo che l’uso dei computer avrebbe fatto la differenza. Poi, oltre a tutto questo, era un essere umano che ha commesso errori: ma in che modo questi errori sono diventati l’elemento specifico per renderlo inaccettabile sul piano politico?».
Questa è la domanda che Jason Reitman vuole suscitare con 153 minuti di film che fanno venire in mente nomi come Kennedy, o Lyndon Johnson, uomini che nella distinzione tra politico e privato non sono stati “disturbati”, come ricordano i dialoghi fra i giornalisti nelle redazioni. Per mostrare un campione di solidità, il regista non ha avuto dubbi su chi dovesse essere l’uomo che incarnasse un conflitto etico, più che politico: Hugh Wolverine Jackman.
«L’ho avuto in mente da subito. Perché gli assomiglia fisicamente, e poi è una star del cinema con un’etica professionale e un’onestà interiore solidissime. Ti porta sulla soglia di accesso e poi, in modo magistrale, riesce a non farti entrare. Come è giusto che sia, quando si incarna un enigma». 

 

Recensione pubblicata su GQ.it

© RIPRODUZIONE RISERVATA

«Sono attratto dai personaggi estremi, come mia moglie». Intervista a Hugh Jackman

05 sabato Dic 2015

Posted by cristianaallievi in cinema, Senza categoria

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Tag

Australia, Ava Eliot, Barbanera, Christopher Jackman, Codice: Swordfish, Cristiana Allievi, Deborra-Lee Furness, Hugh Jackman, Hugh Jackman, Back on Broadway, I miserabili, Joe Wright, Nirvana, Oscar Maximilian, Pan, Smells like teen spirit, X-men

Lui è razionale e misurato, lei passionale, emotiva, dotata di un istinto infallibile. E lo ha trovato molto sexy nei panni del terribile pirata Barbanera (nel film Pan). Jackman parla della sua famiglia e dell’alchimia con Deborra-Lee Furness, che ha 13 anni più di lui, e che  funziona da un’eternità per gli standard di Hollywood. Grazie anche a una regola: non separarsi mai per più di due settimane «se no ci si abitua a stare lontani».

Sorriso sulle labbra, battuta pronta, voce sexy (l’avete mai sentito cantare?). E poi quel modo di fare terribilmente alla mano. Non si sente una star. Non gioca a sedurti come fanno attori di calibro molto, molto inferiore. Nell’intervista preferisce scherzare, sdrammatizzare, ridere, mostrarti il suo buonumore e la serenità conquistata dopo un’infanzia non proprio facile. A otto anni la madre, che soffre di depressione, abbandona la famiglia e si trasferisce in Inghilterra. Le sue sorelle la seguono, lui e i fratelli restano a Sydney con papà Christopher. Hugh è davanti a un bivio: può farsi divorare dalla rabbia o perdonare e andare avanti. Lui sceglie la seconda strada e si affida a suo padre. Che gli ha insegnato tutto: a prendersi cura dei fratelli, a usare il denaro in modo accorto, ad amare e rispettare gli altri, compresa la madre contro la quale non ha mai puntato il dito, tanto che i due sono rimasti in ottimi rapporti. Oggi Hugh vive a New York, dove lo si vede spesso passeggiare mano nella mano con Deborra- Lee Furness, sua moglie, e con i due figli, Oscar Maximilian e Ava Eliot, adottati dopo una lunga battaglia contro l’infertilità. Fa il possibile per stare tutti insieme, perché la famiglia è il centro della sua vita. Non come il crudele Barbanera, il pirata rocker che canta Smells Like Teen Spirit dei Nirvana e terrorizza i bambini, protagonista del suo ultimo film, Pan. Hugh i ragazzini li adora.



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Hugh Jackman, 47 anni, è arrivato al successo internazionale con il personaggio di Wolverine in X-Men, nel 2000.

Si fida del suo istinto paterno?

«Sì, anche se sull’istinto forse è più forte mia moglie. Di fronte a un problema sa sempre qual è la cosa giusta da fare, e di solito ci azzecca sempre. L’intuizione è un dono, ma anche una responsabilità, perché ti connette con una persona a livello emotivo, ti fa preoccupare per lei».

Lei è un padre apprensivo?
«So che il mondo non è un posto facile, ma non voglio che i miei figli siano paranoici. Voglio che stiano attenti, che tengano gli occhi aperti, ma allo stesso tempo che vivano senza paure.
Quando ero piccolo mio padre non sapeva mai cosa facevo quando uscivo, con Oscar e Ava vorrei comportarmi allo stesso modo».

A casa la accolgono meglio quando fa il supereroe o quando si trasforma nel nemico di Peter Pan?
«Quando torno a casa i bambini vogliono il loro padre, se ne fregano dei miei personaggi. Mentre mia moglie mi ha detto: “Barbanera è uno degli uomini più sexy che tu abbia mai interpretato”. Diciamo che ho trascorso un’estate fantastica dopo aver girato il film (scoppia a ridere, ndr)».

Quando è sui set a lavorare, come mantiene i contatti con la sua famiglia?

«Non stiamo mai separati più di due settimane, è una regola che ci siamo dati io e Deborra. Se si sta lontani per molto tempo ci si abitua a vivere così. E a lungo andare ci si allontana. Quindi, fosse anche solo per 24 ore, torno sempre a casa. E quando voglio che i miei figli facciano i compiti, tiro fuori qualche premio, per ricordargli che papà è via per lavoro e che anche loro devono fare sempre il loro dovere».

Lei ha già vestito i panni del cattivo. Questo personaggio, Barbanera, che cos’ha di particolare?

«Ho fatto molti altri cattivi prima di questo, ma non ero mai stato così feroce! Mia madre, che ha assistito alla prima del film qui a Londra, ha detto a tutti: “Mio figlio è una vera minaccia!”».

A chi si è ispirato?
«Prima di iniziare a girare ho letto con mio figlio Oscar un sacco di cose sugli orsi su National Geographic per bambini. Lui adora gli orsi bruni. Ho chiesto a Joe Wright, il regista del film, se poteva andargli bene come modello, ma mi ha risposto di no: aveva sul cellulare un ritratto di Maria Antonietta coperta di rughe, era a lei che voleva mi ispirassi!».

Vista la sua carriera, crede nella fortuna?

«Il successo è un mistero. Quando mi hanno proposto il personaggio di Wolverine, l’ho accettato perché non mi arrivava niente di interessante. Di colpo mi sono ritrovato a Los Angeles a riorganizzare la mia vita e quella dei miei figli. Chi avrebbe detto che tutto sarebbe cambiato grazie a Wolverine? Oggi tutti mi offrono film!».

C’è qualcosa di cui si pente?

«Non aver girato Chicago, il film musicale di Rob Marshall. Ma ero molto giovane, c’erano battute adatte a un uomo più maturo. Però alla fine è stato giusto così: Richard Gere è stato fenomenale, in quel ruolo».

L’ho vista con i miei occhi ai festival di cinema, nei posti più glamour del mondo, mentre girava in bicicletta alle otto di mattina. C’è differenza tra essere un attore ed essere una star?

«Io voglio vivere davvero la vita. Amo le auto e gli hotel di lusso, ma per entrare in contatto col Paese in cui mi trovo ho bisogno di altre cose, come pedalare in bicicletta e tuffarmi in mare. Sono queste le cose che ricordo di un posto, più dei red carpet e dei premi. Ma posso essere anche un divo, non creda: quando voglio andare a nuotare chiedo che sgombrino la spiaggia!».
Scherza, ovviamente! È evidente che lei non crede al suo status di sex symbol. «Nemmeno un po’. Perché non me lo diceva nessuno quando lo ero davvero, a diciott’anni? Oggi che me ne faccio? Non posso dire a mia moglie: “Hey baby, vai tu a buttare la spazzatura!”, non è cosa per me».

 

È per questo che interpreta spesso personaggi estremi?

«Sono una persona moderata nella vita, credo sia il motivo per cui sono attratto da persone eccessive. Mia moglie è molto emotiva e appassionata, e questo continua a essere molto, molto stimolante per me».

 

articolo pubblicato sul n. 47 di F, in edicola il 18 novembre 2015

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

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