Con il suo Nomadland Chloé Zhao è la seconda donna e la prima regista asiatica a vincere la statuetta. Nel film ha raccontato del coraggio che serve quando la vita cambia all’improvviso. E dice: «Coltivate la bontà che avete dentro perché vi aiuterà sempre a combattere»
di Cristiana Allievi

È una donna delicata che parla piano, ma le sue parole hanno la forza della fiducia nel futuro e nella parte mi- gliore delle persone, quella che esiste in tutti noi. «Ho pensato parecchio ultimamente a come si fa ad andare avanti quando le cose si fanno dure», ha detto Chloé Zhao, stringendo la statuetta per la migliore regia di Nomadland, il titolo che, agli Oscar più difficili per via della pandemia, ha conquistato anche il premio al migliore film e alla migliore interprete, Frances McDormand. «In Cina con mio papà imparavo le poesie cinesi classiche e ne ricordo una la cui prima frase dice “Le persone alla nascita sono intrinsecamente buone”. Continuo a crederlo. Questo Oscar è per coloro che hanno fiducia e coraggio in ciò che di positivo han-
no dentro. E a tutti dico coltivate la vostra bontà». Trentanove anni, nata a Pechino ma cresciuta tra Londra e New York dove ha studiato, Zhao è la prima asiatica a vincere il premio come migliore regista e la seconda donna in assoluto dopo Kathryn Bigelow, nel 2009. La storia di Nomadland, che le è valso anche due Golden Globe e il Leone d’Oro alla mostra del cinema di Venezia nel 2020, è tratta dal libro della giornalista Jessica Bruder, che ha compiuto un viaggio attraverso l’America dei “nuo- vi nomadi”, persone che per un motivo o per l’altro si sono ritrovate a vivere in strada. Sullo schermo le conosciamo attraverso Fern, una straordinaria Frances McDormand che recita in un cast di non attori,
ma veri nomadi nel ruolo di se stessi. Fern parte con un furgone dopo aver perso marito e lavoro a causa di un tracollo finanziario. Raggiungerà, fra gli altri luoghi, il Rubber Tramp Rendezvous, un noto cam- po nomadi nel deserto dell’Arizona.
Per prepararsi alle riprese di Nomadland, anche lei ha trascorso tempo in una comunità di nomadi come quelli che vediamo nel f ilm?
«Sì, ho capito quello che significa la strada molto prima di ricevere il libro da Frances McDormand, che ne aveva acquistato i diritti. Ho un camper di nome Akira e in molte occasioni l’ho considerato la mia casa. Quello però era anche il modo di viaggia- re di una ragazza giovane».
In che cosa, invece, questo film è diverso?
«Io e lei potremmo diventare nomadi domani. Se compriamo una macchina e ci viviamo dentro, sia- mo nomadi. Puoi essere un broker di Wall Street, una persona che non ha mai avuto un lavoro, una madre single o un padre di dieci figli: tutti potreb- bero finire sulla strada. Nel film incontriamo Fern dopo il suo primo anno vissuto in questo modo, e scopriamo che cosa attraversa seguendola da vicino».
Come ha convinto dei veri senza tetto a girare il film? «L’ho semplicemente chiesto. La prima risposta è stata “Perché? Non sono una star del cinema”. Ma quando aiuti le persone a sentirsi al sicuro, accetta- no. E il legame intenso con Frances, ha aiutato molto gli altri ad aprirsi e a lavorare con noi».
Che cosa l’ha colpita di più di Frances McDormand?
«Vive davvero la vita che desidera, in questo mo- mento potrebbe essere nel deserto, per quanto ne so. Osservare il mondo attraverso i suoi occhi è stato un privilegio. Lei è un’attrice grandissima». Nomadland racconta l’America come terra dei sogni, e di come questi stessi sogni possono essere infranti velocemente. Venendo dalla Cina che visione e che effetto le fa tutto questo?
«In questo film parlo di una generazione, che oggi ha più di 60 anni. La mancanza di cura per i nostri anziani è un problema della società moderna in generale, non solo in America. Quelle sono le per- sone ricche di saggezza, ma alle quali i giovani sfortunatamente si disinteressano. Ma mentre noi li sottovalutiamo, in molte tradizioni culturali gli anziani so- no considerati la parte più importan- te della società. Vedo in loro molta resilienza e umiltà».
(…continua….)
Intervista integrale pubblicata su Grazia del 29 aprile 2021
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