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A 42 anni, con un passato importante di attore e produttore diventa regista sulle orme del grande capostipite di una famiglia che è sinonimo di cinema. «Racconto il viaggio di redenzione di un boxer irlandese che esce dal carcere: una storia di speranza e perdono».

di Cristiana Allievi

Il regista e attore Jack Huston, 42 anni (a destra) sul set di Il giorno dell’incontro con l’attore protagonista, Michael C. Pitt (courtesy Jeong Park).

«Il Natale per noi è un grande raduno.  A volte siamo in America e andiamo a pranzo da mia zia Angelica a Three Rivers, un posto bellissimo fuori Los Angeles. Altre volte voliamo in Inghilterra, dove vive l’altra parte della mia famiglia. Appartengo a una grande tribu’ e siamo un po’ degli zingari». Jack Huston si presenta all’intervista con un look total white, è alto e ha i capelli pettinati all’indietro. Soprattutto ha uno charme particolare. Da una parte Jack discende dalla dinastia cinematografica americana Huston composta da Angelica, Danny e John, dall’altra appartiene all’aristocrazia inglese che risale al primo ministro Robert Walpole e alla famiglia di banchieri Rothschild (nelle sue vene scorre anche  un pizzico di sangue italiano, quello della nonna paterna, la modella e ballerina Enrica Soma). I suoi genitori hanno divorziato quando aveva tre anni, e questo deve aver contribuito a fargli trovare  rifugio in un altro mondo, visto che è diventato attore a sei anni recitando in Peter Pan. Cresciuto a Londra, viveva a Notting Hill quando la sua carriera di attore partiva con il piede giusto,  la serie tv HBO Boardwalk Empire prodotta da Martin Scorsese. Da lì in avanti non ha fatto che volare alto, con quello straordinario gruppo di attori brit (vedi alla voce Robert Pattinson, Andrew Garfield, Sam Clafin ed Eddie Redmayne) che l’America ha ingaggiato al volo appena si sono affacciati sulla scena. Se glielo fai notare, il suo commento è british, «in Inghilterra abbiamo ottime scuole di recitazione». Con The garden of Eden, Wild Salomè di al Pacino e House of Gucci con Ridley Scott ha dimostrato di essere un ottimo attore, e dal 12 dicembre sarà nelle sale con il debutto da regista e una storia che ha scritto, diretto e prodotto, Il giorno dell’incontro (Movies Inspired), un lavoro glam in bianco e nero. Proiettato all’ultima Mostra di Venezia, dove avrebbe meritato di finire in Concorso, è la storia di Mike Flanagan (l’ottimo Michael C. Pitt), un boxeur un tempo famoso che vive il suo primo giorno di uscita dalla prigione. Si imbarca in un viaggio di redenzione in cui incontra e scioglie tutti i nodi del suo passato, mentre si prepara a tornare sul ring rischiando la vita per le persone che ama.  

È una storia  struggente, che ha scritto di suo pugno, come è nata? «Sono stato ispirato da un documentario di Stanley Kubrick del 1951, su un combattente della Seconda guerra mondiale che vince il suo incontro al Madison Square Garden ed esce dal tunnel buio in cui si trovava. Ho pensato di sviluppare il tema in un film di narrazione perché in realtà quell’uomo,  in vita sua, aveva combattuto per tutto. Mi interessava esplorare l’idea di cosa fai quando sei conscio di avere un solo giorno che ti resta da vivere. Mickey fa introspezione e fondamentalmente inizia un viaggio di redenzione in cui alla fine ritrova le persone che ama davvero, è una storia di speranza e di perdono».

(continua…)

Intervista pubblicata su 7 Corriere della Sera

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